Edmondo De AmicisUna visita
a
Edmondo de Amicis
 
 
 
 

di Nicolino Capry-Gabrielli
 
 



 
 

L'articolo è apparso sul "Gazzettino di Tropea" il 22 marzo 1908, in concomitanza della morte del De Amicis
avvenuta qualche settimana prima.
L'autore, Nicolino Capry-Gabrielli di Tropea, aveva consegnato questo contributo al Gazzettino parecchi anni
prima che lo scrittore morisse, per portare una testimonianza, quella di essere andato a far visita a casa del "Commendatore".
Petracca Scaglione, il direttore del giornale, a premessa dell'articolo, scrive:
<<Un bravo e buon giovine caro alle lettere e a tutti i buoni, il quale ci onorava di sua speciale benevolenza,
nel tempo che passò a Tropea; ci regalava, parecchi anni orsono, lo scritto che qui diamo.
Esso, in occasione della morte di Edmondo De Amicis, torna di attualità,
in quella che ci ricorda un caro defunto Nicolino Capry-Gabrielli>>.

Lo conoscevo già per lettere ma non l'avevo ancora veduto. Andai perciò a trovarlo una sera di febbraio dello scorso anno. Entrato nel portone sotto ai portici di Piazza Statuto e saputo del portinaio ch'egli era in casa, salii le scale in preda a un parossismo nervoso e coll'animo in tumulto premetti il campanello elettrico della porta d'ingresso su cui in una laminetta di ottone lucidissimo eravi inciso modestamente il suo nome. Mi venne ad aprire un vecchio servitore, che mi domandò nel più schietto piemontese:
- Chi cerca?
E io, facendo le viste di non sapere che il De Amicis era in casa:
- C'è il Commendatore?
- C'è.
- Si potrebbe riverire?
- Se mi desse la sua carta da visita, fè il cameriere mezzo sospeso e mangiando le finali.
Tirai fuori un mio biglietto e facendovi una piega.
- Favorite consegnargli questa cartolina e vi sarò grato se verrete poi a dirmi come l'ha ricevuta.
- Ma sicuro, e si ritirò.
Dopo pochi minuti ricomparve tutto premuroso dicendomi:
- La venga avanti, il Commendatore l'aspetta.
Non aveva ancor finito che mi venne incontro il grand'uomo porgendomi affettuosamente la mano e facendomi entrare nel suo salottino da studio. Fece poi atto di andar per una seggiola, ma io mostrando che non lo avrei mai permesso, fui più lesto di lui e me la presi da me.
Mi fè cenno che sedessi e anch'egli sedè al suo posto avanti allo scrittoio.
Io lo guardavo senza aprir bocca. Alla fine ruppi il silenzio ringraziandolo di vero cuore della sua ultima lettera che s'era degnato mandarmi con tante belle parole d'incoraggiamento per le quali ne andavo superbo.
Debbo ringraziarla io, mi rispose con quella bontà che è propria degli uomini veramente grandi, per le sue lettere affettuose e debbo chiederle scusa se non ho risposto sempre con sollecitudine. Son tante le visite che ricevo e le lettere che mi arrivano da ogni parte che mi riesce difficile ricordarmi di tutti, non che la memoria non mi aiuti più, grazie al Cielo sento d'averla ancora fresca come quando ero giovine, ma le molteplice cure della famiglia e dello studio non mi permettono di tenere ben desta l'attenzione su tutto.
E siccome m'ero seduto in maniera che restavo un pò nell'ombra:
- Segga qui vicino a me, disse, ch'io la veda bene, viene di Calabria, è vero? Bella la gioventù calabrese, forte coraggiosa, intelligente. La sua terra è gloriosa, ha dato all'Italia uomini illustri e ingegni fervidi, robusti... Quanto mi piacerebbe visitare ancora una volta quelle parti, ma ci andrò, ci andrò, aggiunse poscia come parlando a se stesso.
Volevo dirgli tante cose, ma non sapevo cominciare e lo guardavo estatico, mi tumultuavano nella mente tanti pensieri, ma la frase mi mancava e rimanevo muto.
- Ecco, mi rispose, sono un pover'uomo che lavora, lavora col desiderio di fare un pò di bene, lavora sempre massime in questi giorni che son dietro ad una nuova opera e m'additò alcuni fogli manoscritti sul suo scrittoio. E' il Primo Maggio, che fu già annunziato dai giornali e chi sà quando potrò portarlo a termine. Soffro colla vista, anni dietro ebbi un avvelenamento agli occhi pel troppo fumare e ora lo scriver molto mi stanca. Stamane un tale mi portò una traduzione della vita di G. Cristo dall'inglese per leggerla e dargli un giudizio, mi rifiutai. Cospetto! più che 700 pagine, un volumone.
Discorrendo del suo stupendo libro Sull'Oceano e ricordandogli la simpatica figura della Signorina di Mestre egli disse:
- Ho conosciuto ai bagni quella gentile signorina e nel racconto della mia traversata finsi di averla trovata a bordo. Era tanto buona, tanto mesta. Non la vidi mai ridere, celava forse qualche segreto doloroso.
E dopo breve reticenza:
- Ah quel viaggio! quel viaggio mi trapazzò non poco, lo feci all'84 e ancora ne sento le conseguenze. Mi ha strapazzato, lasciandomi impressioni profonde, incancellabili. Cospetto! viaggiare per 48 giorni di seguito con due sole fermate e veder sempre mare, mare, mare!
Interrogandolo io che ne pensasse della letteratura di oggi:
- Scrivono molti, rispose, pochissimi scrivono bene. Studii Macchiavelli e Dante o sì Dante!... Veda, l'indirizzo delle nostre scuole oggi è sbagliato, si pensa male, si studia male, si scrive male, e chi sà fino a quando.
- E del Manzoni? chiesi timidamente.
- Grande, grande e gli fanno la guerra oggi... già la nuova scuola... egli sapeva come si fà a fare un libro.
E s'interruppe guardando l'orologio a pendolo che aveva di fronte.
Mi alzai per andarmene ed egli con gran bontà mi prese per mano e:
La ringrazio della visita, mi disse, venga ancora una volta a trovarmi, mi darà piacere.
E mi accompagnò fino all'uscio. Gli volli baciare la mano ma egli nol permise e strinse la mia tra le sue fortemente.
Quando uscìì i primi fanali di luce elettrica cominciavano a brillare in Piazza Statuto e sul corso, la brezza della sera diveniva razzente: m'avviai frettoloso, contento d'aver soddisfatto un desiderio vagheggiato per tanti anni, d'aver visitato un uomo che ho sempre amato ed ammirato.