Un precoce anelito di libertà: Fabio Furci, congiurato di Tropea nel 1599
di Francesco Caracciolo
Sul finire del Cinquecento Tropea era una delle maggiori città della Calabria. Dal censimento del 1595 risultavano numerati in essa e nei suoi 24 casali 3879 fuochi o famiglie: aveva dunque una popolazione di circa 20 mila abitanti. Tropea è posta in un luogo pianeggiante le cui rocce sottostanti cadono a picco sul mare e da dove, quando il cielo è terso, si possono ammirare le isole Eolie e alcuni tratti della costa settentrionale della Sicilia. A quell'epoca la vita cittadina era molto irrequieta1, come quella delle altre città e della società del tempo. Nel suo territorio operavano numerosi banditi che rivelavano la loro presenza specie nelle frequenti lotte contro i soldati regi e le squadre di campagna. Vi erano nelle città continui contrasti tra le famiglie più facoltose e frequenti irregolarità nella gestione amministrativa, che riusciva ingiusta nei confronti di alcuni cittadini e generosa nei confronti di altri. I cittadini <<onorati>>, che componevano il secondo ceto sociale dopo quello dei nobili, avevano fatto ricorso al governo del regno nel 1567 per ottenere la costituzione di un loro seggio separato dall'unico seggio esistente, di cui facevano parte insieme con i nobili, che erano l'elemento prevalente e predominante del seggio. Il governo aveva accolto allora, come farà poi 57 anni più tardi, nel 1624, le richieste degli onorati. Ma in realtà, nel 1567 e nel 1624, la nobiltà di Tropea faceva deliberare all'unico seggio, al quale appartenevano nobili e onorati, la <<segregazione>>, cioè la chiusura all'accesso di elementi nuovi2. E i nobili restavano padroni del campo, cioè arbitri assoluti delle deliberazioni del seggio e anche della volontà e delle esigenze degli onorati. Le decisioni e gli interessi dei nobili avevano dirette ripercussioni sulle deliberazioni del consiglio cittadino, nel quale esercitavano il medesimo potere sui rappresentanti degli altri ceti sociali, compresi quelli degli onorati. Era un modo di governare in cui il ceto più potente imponeva la propria volontà nelle deliberazioni del massimo organo deliberativo dell'università, il consiglio, e nelle decisioni dei due sindaci che, quantunque fossero rappresentanti dei nobili e degli onorati, risentivano delle direttive del ceto superiore. Questi conflitti, allora comuni a ogni altra città calabrese e meridionale, danno un'idea della durezza della società di quel tempo. Prevaleva il più forte. E il ceto più forte, per privilegio, era allora quello dei nobili. I suoi componenti si avvalevano delle deliberazioni prese nella cosa pubblica per avvantaggiarsi e per ottenere un trattamento di favore, sovente non conforme alle leggi. Il ceto popolare, che esprimeva nel consiglio anche i rappresentanti degli <<artigiani>> e dei <<massari>>, quantunque fosse molto più numeroso di quello dei nobili nella società, non aveva la forza e la capacità di opporsi al malgoverno, perchè era in gran parte dipendente dai nobili, dalle loro concessioni di terre, dai loro affitti di beni, dal lavoro che essi davano. All'interno del ceto popolare, solo il ristretto numero di famiglie di onorati, cioè di elementi benestanti, di propietari, di professionisti, che non erano in possesso del titolo nobiliare, era in grado di reagire allo strapotere dei nobili, ricorrendo al governo per ottenere una certa autonomia. A Tropea l'autonomia degli onorati era indispensabile alla loro stessa esigenza. Le decisioni dei loro rappresentanti facenti parte dell'unico seggio cittadino dipendevano dalla volontà dei nobili. Questa subordinazione diveniva sovente insopportabile. Di solito i membri delle famiglie onorate erano titolari di professioni redditizie. Erano i migliori medici, avvocati e giudici della città. Avevano redditi considerevoli, che in pochi anni consentivano loro di acquistare ingenti proprietà immobiliari. E quando raggiungevano una tale posizione, era loro scomodo e disagevole continuare a restare nell'ambito del ceto popolare: cercavano con ogni mezzo di essere ammessi tra i nobili, avvalendosi della protezione di alcuni di essi e del loro potere in seno al seggio. Un cittadino che ottenne il privilegio dell'ammissione al seggio dei patrizi di Tropea nel 1624 fu il medico fisico Orazio Furci. La sua ascesa nei decenni precedenti, nonostante la tragedia che visse e le enormi avversità che dovette superare, è indicativa dei mezzi con i quali si poteva allora conseguire il successo, cioè si poteva ottenere il riconoscimento del proprio valore e della propria eccellente condotta civica e professionale ed essere ammessi nella cerchia dei cittadini nobili. Il padre di Orazio Furci, Tommaso, era benestante3. Aveva sposato intorno al 1550 Porzia Scrugli, appartenente alla famiglia più in vista tra quelle degli onorati4. Il 26 gennaio 1600 l'università di Tropea indirizzava al governo di Napoli istanza per ottenere una rettifica dei dati risultanti dal censimento effettuato nel regno, e dunque nella città di Tropea, nel 1595. Da quella numerazione era risultato che in Tropea esistevano 3879 fuochi o famiglie. In base al sistema fiscale del tempo ogni università era tenuta a corrispondere al governo regio i pagamenti fiscali, il cui importo si computava annualmente applicando un'aliquota fissa ad ogni fuoco e moltiplicando l'aliquota per il numero dei fuochi esistenti nelle università. Tropea faceva rilevare al governo di Napoli che il numero dei fuochi cittadini, rispetto al 1595, era diminuito per cause diverse. Anche tenendo conto del fatto che 11 famiglie erano immigrate nel frattempo, occorreva calcolare che vi erano in città 214 fuochi in meno. In base a tale diminuzione l'università sarebbe tenuta a corrispondere un importo inferiore di pagamenti fiscali. Erano dunque elencati nell'istanza le 214 famiglie e i loro componenti che non avrebbero dovuto essere più computati, che avrebbero dovuto cioè essere detratti dal numero dei fuochi censiti nel 1595. Al numero 16 dell'elenco si legge <<Orazio Furci, numerato 1152, redutto come unito con suo frate Fabio numerato 232>>5. Era una famiglia non più esistente nella città di Tropea, per la quale si chiedeva la detrazione. Nell'elenco è specificato in genere il motivo del venir meno dei fuochi mancanti. Per molti di essi è indicato il trasferimento in altre città del regno, dove sono stati poi numerati, o in città di altri regni, come Palermo. Per l'assenza dei fratelli Furci, invece, non era specificato il motivo. Occorre ricorrere ad altre fonti per individuarlo. E si tratta di un motivo la cui spiegazione ci induce a soffermarci per capire la causa del disfacimento di una famiglia e della sua successiva ricomposizione e affermazione per merito di un suo membro superstite rientrato in patria. Nel 1595, anno del censimento, Orazio Fulci era un giovane di 20 anni, Fabio Fulci aveva 18 anni. Solo Fabio viveva insieme con la madre e con la sorella monaca6. Un altro fratello, il primogenito Stefano, nato una ventina d'anni prima di loro, era membro del clero. La famiglia viveva di rendita. <<Nobiliter vivit>>, annotava il responsabile del censimento. le proprietà provenienti dall'eredità di Tommaso, morto quattro anni prima, consentivano un comodo sostentamento. Ai beni paterni si aggiungevano le proprietà dotali della madre Porzia. Il figlio cadetto, Orazio, viveva fuori di casa ed era avviato agli studi di medicina, in una delle tante scuole private del tempo. Conseguiva poi la laurea di <<artis medicinae doctor>> forse nell'ateneo messinese, la cui facoltà di medicina nasceva proprio in quegli anni di fine secolo7. Il fratello minore, Fabio, verosimilmente continuava a vivere a Tropea delle rendite della famiglia, insieme con la madre e con la sorella maggiore. Non sappiamo nulla dei suoi studi, nè se attendesse a qualche professione particolare: è probabile che cominciasse a curare gli interessi comuni. Accudiva alla gestione delle proprietà. Qualche fatto strano, qualche imprevisto determinava di lì a poco un'eventuale inconsulta reazione del giovane Fabio. Ne è prova l'intimazione a lui rivolta di presentarsi al giudice. Non essendosi evidentemente presentanto, fu dichiarato contumace. Era costume giudiziario del tempo. Bastava talvolta una mancanza, una lieve infrazione della legge per ricevere l'ordine di comparire davanti al tribunale, sovente presso l'udienza provinciale di Catanzaro, distante da Tropea molte decine di miglia. La presentazione per discolparsi non assicurava il chiarimento dei fatti; anzi, quasi sempre, si traduceva in carcerazione. E allora il carcere era duro e uscirne era pressochè impossibile se non si disponeva di sufficienti mezzi per ricorrere all'acquisto dell'impunità corrompendo aguzzini e giudici. Anche quando si trattava di un lieve reato, le conseguenze giudiziarie potevano essere enormi e richiedevano grandi mezzi per ottenere l'assoluzione. Probabilmente Fabio Furci non ebbe allora nè la voglia di passare mesi o anni in carcere per un'intemperanza, nè denaro per ottenere l'assoluzione. Non si presentò ai giudici e divenne <<forascito>>: viveva alla macchia, ma senza delinquere e senza far parte delle bande che allora infestavano il territorio. Se ne stava nascosto, per sfuggire alla farraginosa ed iniqua giustizia del tempo. Questo suo stato rivela che il giovane non era propenso a subire soprusi e che era piuttosto vivace e forse irrequieto. La sua fu certamente una vivacità non solo fisica. Qualche anno dopo lo troviamo infatti coinvolto in un episodio eccezionale che ci fa pensare a una vivacità di Fabio anche intellettuale, spirituale. Tra il suo ventesimo e ventunesimo anno di età egli fu fatto partecipe di un avvenimento che si stava preparando del tutto straorinario e fortemente rischioso: la congiura antispagnola di Tommaso Campanella. Nel corso del 1598 e nei primi mesi del 1599 Campanella aveva avuto numerosi contatti con gente di ogni condizione sociale, inframezzando il tempo che destinava alle sue prediche che annunziavano l'imminente mutamento di fine secolo con il tempo che egli destinava a ricevere nel convento di Stilo uomini di ogni specie, dal religioso al fuoruscito, e a fare visite in vari luoghi a uomini di primo piano, come feudatari e prelati suoi ammiratori. Aveva rapporti con gente varia e a tutti, come faceva nelle frementi prediche, indicava il prossimo cambiamento decretato dalle stelle, che egli studiava in qualità di profondo conoscitore dell'astrologia; e tutti incitava alla partecipazione diretta con ogni mezzo. Tra coloro che lo ascoltavano e lo seguivano ciecamente vi era un giovane nobile di Guardavalle, Maurizio de Rinaldis, anch'egli <<fuoruscito>>, che poi risultò essere il più attivo organizzatore della congiura. Il giovane de Rinaldis, generoso e destro d'ingegno, fece suoi senza riserve gli ideali di libertà contenui nel messaggio di cambiamento di Tommaso Campanella. Fu lui che fece da tramite con molti giovani dei luoghi più diversi e delle città più lontane della Calabria. Quantunque Tropea fosse posta al di là dei monti a molte decine di miglia da Stilo e da Guardavalle, anch'essa ebbe la sua parte nella congiura. Alcuni suoi giovani cittadini, come quelli di molte città calabresi, furono raggiunti dal messaggio di Campanella, forse attraverso la voce e l'azione di Maurizio de Rinaldis. Tra i cittadini di Tropea, che furono conquistati alla congiura e attendevano il segnale per unirsi, per marciare insieme e per iniziare la riscossa e dar corpo al mutamento annunziato da Campanella, c'era Fabio Furci8. La sua partecipazione e quella di altri non furono di poco conto. Le fila della congiura erano molte e ramificate: ciò emerse quando essa fu scoperta. Solo la delazione di due congiurati di Catanzaro, il nobile Fabio di Lauro e Giovabattista Biblia, mise a parte di quanto si stava tramando le autorità spagnole, le quali ebbero tutto il tempo di organizzare la reazione e di catturare i congiurati ancor prima che i tempi fossero maturi e che fosse dato il segnale di inizio della rivolta. Fu catturato lo stesso Campanella, fu imprigionato Maurizio de Rinaldis e furono presi molti altri congiurati, laici ed ecclesiastici, che vi erano esposti e che risultarono tali dalle rivelazioni dei due e di altri delatori. A Tropea, verso la metà di ottobre del 1599, con altri cinque giovani congiurati, fu arrestato Fabio Furci. Si trovava con loro un altro <<fuoruscito>>, Giovambattista Bonazza alias Cosentino, ricercato per delitti comuni. Insieme si erano rifugiati nel convento di San Francesco di Paola. Il Vescovo aveva manifestato agli ufficiali regi la sua volontà di processare nel tribunale ecclesiastico della diocesi i rei della congiura che avevano trovato asilo nel luogo religioso. Ma i fatti si erano rivelati molto gravi e i <<fuorusciti e ribelli>>, com'erano definiti, dovevano essere assicurati a ogni costo all'autorità regia. Fu circondato il convento e dopo un paio di giorni i congiurati furono presi, nonostante la scomunica lanciata intanto dal vescovo di Tropea contro gli ufficiali regi che avevano invaso l'ambito della giurisdizione ecclesiastica9. Dopo l'arresto, Fabio e gli altri furono condotti a Monteleone e poi a Gerace, dove furono consegnati al marchese Spinelli e verosimilmente vennero sottoposti ad un processo sommario. Fabio fu oggetto di un preciso verdetto: <<Confessato in tortura e condennato a morte>>. I congiurati o presunti tali furono tradotti in catene da Gerace a Pizzo Calabro, dove furono imbarcati su quattro galere che partirono subito alla volta di Napoli. Maurizio de Rinaldis, Fabio Furci, Scipio lo Jacono ed altri cinque furono giustiziati la sera dell'8 novembre 1599, al termine del viaggio, mentre le navi attraccavano ai moli del porto di Napoli. Ciò fu fatto a scopo dimostrativo, in esecuzione di un ordine impartito il 28 settembre dal vicerè, conte di Lemos, e anche <<perchè - come scriverà Campanella vent'anni dopo - si dicesse in Ispagna ch'era verificata la ribellione>>10. Il caso del giovane Furci è quasi del tutto sconosciuto. Se si eccettuano alcune righe del dettagliato lavoro di Luigi Amabile e qualche cenno in uno scritto di Luigi Firpo, non si fa menzione in altri lavori. Eppure è una vicenda toccante: un'esistenza, come quella di altri congiurati, stroncata dalla ben remunerata azione di pochi interessati esecutori di drastici ordini e al servizio della cieca ragion di stato. E la ragion di stato non poteva essere meglio applicata e difesa che dalla solerzia inesorabile del marchese Spinelli, feudatario calabrese, incaricato dal governo del regno di reprimere la congiura di cui si era venuti a conoscenza. L'incarico fu minuziosamente eseguito. Per catturare Fabio Furci, la soldataglia circondò il convento fino a strappare il giovane e gli altri congiurati di Tropea alla giurisdizione del vescovo. Fu del tutto inutile l'azione del prelato che cercò di appellarsi al diritto di asilo, di cui godevano i luoghi religiosi, alla competenza della giurisdizione ecclesiastica di cui egli presiedeva il tribunale vescovile, di giudicare coloro che vi si rivolgevano, anche se non erano ecclesiastici, e di processare in loco i congiurati. Sulla decisa condotta del vescovo influì certamente la pressione esercitata dal fratello maggiore di Fabio, l'abate Stefano, prelato di Tropea11 e capo spirituale della famiglia. Era un interessamento determinato dalla volontà del vescovo di sottrarre alla violenta punizione del potere regio la vita di innocui e ingenui cittadini, colpevoli di essersi cacciati in un affare molto più grande di loro. La loro partecipazione alla congiura può essere oggi compresa se si attribuisce alla sensibilità di quei pochi idealisti. Fabio Furci non aveva nè i mezzi nè l'esperienza per sobbarcarsi senza danni in un'impresa pericolosa e con molto poca speranza di successo. Il minore di quattro fratelli orfani di padre, di cui una monaca e un giovane studente, Fabio apparteneva a famiglia benestante ma non in grado di fare grandi cose per lui. La sua imprudente azione era frutto di esuberanza e di una forte dose di idealismo giovanile. Nient'altro lo aveva spinto a urtare gli enormi interessi dello Stato spagnolo, se non l'enstusiasmo per la libertà e l'innocente accoglimento delle prospettive dell'imminente mutamento e dei tempi nuovi, intraviste da Campanella e diffuse da seguaci entusiasti. La morte di Fabio Furci disgregò la famiglia. La vecchia madre e la sorella si trasferirono probabilmente nell'abitazione dell'abate Stefano. Il fratello Orazio era ora il nuovo capo della famiglia. Ma i suoi studi lo avevano portato fuori di Tropea. Nell'ottobre 1599, dopo aver conseguito la laurea, lo troviamo nel suo primo incarico di medico <<interino>>12 nella cittadina demaniale di Santa Lucia della Piana di Milazzo (oggi di Mela), a 30 Km da Messina. Nella nuova dimora svolge la sua attività professionale, superando qualche iniziale contrasto con i colleghi più anziani del luogo. Sposa una giovane di famiglia nobile di Messina ed egli fa diligentemente annotare in alcuni atti notarili del tempo la condizione sociale della moglie. Nello stesso tempo egli trasforma il suo cognome da Furci in Fulci e ciò va messo in rilievo giacchè può significare che egli abbia voluto così recidere ogni legame con il recente passato. Quei primi anni influirono certamente in misura notevole sul carattere e sull'esistenza del giovane Orazio: trasformarono lentamente il dolore, che lo aveva indotto ad abbandonare i luoghi di tristi ricordi, nella nostalgia per la città natale e per i familiari superstiti. Nel 1607 faceva ritorno a Tropea. Non era più un giovane spaurito e offeso nell'intimo, ma un professionista, un dottore fisico della scuola neo-galenica, un medico che esercitava altrove con successo la sua professione. Alle sue cure si affidava a Santa Lucia il vescovo Antonio Franco, che motirà il 2 settembre 162613. Anche a Tropea, ove gli studi di medicina erano tenuti in gran conto14, Orazio Fulci si conquistò rapida fama. Nella Chronologia Collectanea de Civitate Tropea ejusque Territorio, compilata dall'abate Francesco Sergi, in tre libri nel 1720, il Fulci è incluso tra i più illustri medici di Tropea. Egli è definito <<eruditissimus in sua professione, multis experientjis>>; è pure precisato che <<talis semper fuit apud omnes cives et nobiles huius civitatis>>. Questi giudizi e queste espressioni di stima resi alla memoria rivelano la competenza professionale di Orazio Fulci e il prestigio di cui egli godeva nel non facile e combattuto ambiente di Tropea. La professione gli rendeva anche meritati guadagni, sicchè, in capo ad alcuni decenni, egli aggiungeva ai beni che aveva ereditato dalla famiglia, nuovi ingenti beni che era andato acquistando15. Diveniva uno dei più rispettati e facoltosi cittadini di Tropea. L'universale prestigio di cui godeva lo induceva a chiedere e a ottenere nel 1624 l'ammissione al seggio degli aristocratici della città. E ottenere l'ammissione, come abbiamo visto, era allora molto difficile. Il seggio, che comprendeva nobili e onorati, era <<serrato>>. Già nel 1567 aveva deliberato la propria <<segregazione>>, aveva cioè deliberato di non ammettere elementi nuovi nè tra i nobili nè tra gli onorati. La deliberazione del 1567 fu reiterata, con altrettanto rigore, nel 1624. Ma nonostante la chiusura e i propositi dei componenti del seggio, il dottore fisico Orazio Fulci risulta ammesso, con altri quattro cittadini al seggio degli aristocratici di Tropea in un elenco di nobili e di onorati pubblicato nel 162424. La fama del valente medico e i progressi sociali e finanziari della sua famiglia insieme con la connivente amicizia di qualche importante nobile componente del seggio, resero possibile la sua ammissione nel novero dei nobili di Tropea. Orazio Fulci visse a Tropea sino a tarda età. Con l'andar degli anni, i viaggi in Sicilia si fecero più radi. A Santa Lucia, invece, mantennero salde radici i suoi figli Paolo, medico, e Tommaso, giurista. E mentre la discendenza del primo si esaurì quasi subito, quella del secondo è continuata sino ai nostri giorni. In tredici generazioni il vecchio ceppo della famiglia Fulci ha partorito eminenti giuristi, magistrati, diplomatici e alti ufficiali e, dal 1880, diede alla politica italiana quattro parlamentari, tra cui un ministro e un sottosegretario di Stato. Ad uno di essi, Lodovico17, deputato e senatore dal 1882 al 1934, Messina, città nella quale in parte risiedevano i Fulci, ha dedicato un monumento e una piazza, a ricordo del ruolo determinante da lui svolto per la sua ricostruzione dopo il terremoto del dicembre 1908. Anche Fabio Furci appartenne a quel vecchio ceppo. Ma egli ebbe un'esistenza breve e, nel 1599, una sorte sventurata. Fu coinvolto in un'impresa che fallì sul nascere e che lo rese meritevole del patibolo in giovane età, quantunque fosse stato spinto all'azione solo da un precoce anelito di libertà.
NOTE
1 Qualche decennio dopo, e precisamente il 21 aprile, Lorenzo Cenami, governatore della Calabria ultra, scriveva al vicerè di Napoli, descrivendo la situazione nel modo seguente: <<Domattina partirò per Tropea a farvi col nuovo sistema l'elezione del municipio [...]; mi si dice che si temono difficoltà e dissensioni, perchè certi motivi han fatto mutar parere a una parte della generale e concorde opinione con cui desideravano questa nuova forma. Procurerò che tutto proceda con tranquillità e soddisfazione, benchè temo che non avrò poco da fare, poichè faran conoscere a V.E. che razza di teste siano quelle tropeane>>. Quella volta l'elezione degli amministratori di Tropea non confermò il timore del governatore, e il Cenami se ne compiacque in altra lettera del 4 giugno seguente: L. VOLPICELLA, Epistolario Ufficiale del Governatore della Calabria Ultra (1623-1624), Napoli, 1613. 2Le eventuali pochissime ammissioni erano votate a maggioranza assoluta. Quando, un secolo dopo, nel 1703, gli onorati ottennero dal governo di Napoli di separarsi dai nobili e di costituire il loro seggio, che fu denominato <<Africano>>, il seggio dei nobili, che fu detto <<Portercole>>, deliberava la conferma delle precedenti <<capitolazioni>> dell'antico seggio compredente elementi dei due ceti sociali e denominato <<sedile magnum>>. Il seggio di Portercole decideva la propria chiusura pressochè ermetica, stabilendo la necessità di votare all'unanimità l'eventuale accesso di elementi nuovi; e i patrizi del seggio pretesero allora e per molti anni ancora di dare il loro consenso alle deliberazioni del seggio degli onorati di aggregazione di elementi nuovi e di esaminare i requisiti degli aggregandi a quel seggio: E. RICCA, Istoria de' feudi delle Due Sicilie di qua dal faro, III, Napoli, 1865, pp.334-539. 3Poco si conosce di questo personaggio, nato attorno al 1520-1530. Il suo nome appare, per la prima volta, preceduto dalla abbreviazione <<h>> (= <<honoratus>>), tra quelli dei testimoni, in un atto di compravendita stilato nella città di Tropea il 10 agosto 1551 dal notaio Francesco Scrugli. 4La famiglia Scrugli continuò ad essere molto attiva nel tessuto sociale di Tropea. Un suo componente, Napoleone Scrugli, fu ammiraglio, fu poi deputato nel 1881 e senatore nel 1861 ed era stato insignito nel 1877 del titolo di conte per sè e per i suoi discendenti. 5A.S.N. (= Archivio di Stato di Napoli), Sommaria, Deductionum focularium, Calabria ultra, f. 552v., a. 1600. 6L. AMABILE, Fra Tommaso Campanella, la sua congiura, i suoi processi e la sua pazzia, I, Napoli, 1882, p. 353, nota: <<Nella numerazione di Tropea (vol. 1398, anno 1595) abbiamo rinvenuto al n. 232 Fabio Furci, figlio de Mase, morto ab a. 4, an. 18; M. Faustina sore moneca an. 40; M. Portia Sgrugli matre an. 64; Giovanne de Casale Drapia famulo ab an. [...] an. 12. Nobiliter vivit, et in cat. fol. 162 [...]>>. Si deduce che nel 1595 Orazio non era nel nucleo familiare, nè viveva da solo: in quest'ultimo caso l'università avrebbe fatto richiesta della detrazione di due fuochi. Egli era probabilmente inserito in altra famiglia tropeana, forse di congiunti. Ipotesi che sarebbe suffragata dal fatto che Orazio impose ai suoi due primogeniti i nomi Delia e Paolo, e non quelli dei genitori. Al terzo figlio diede il nome del fratello maggiore, l'abate Stefano, e solo al quarto quello del padre, Tommaso. 7Gli archivi dell'ateneo messinese andarono completamente dispersi nel 1678, quando fu domata dagli spagnoli l'insurrezione di Messina, che si era schierata con i francesi. Furono aboliti gli antichi privilegi e le immunità e l'ateneo fu soppresso. Fu ripristinato solo altre un secolo e mezzo dopo, nel 1838. 8Con il Furci furono scoperti Scipio lo Jacono, Cola Politi, Conte Jannello e Marcello Barbieri di Tropea, nonchè Paparatto di Nicotera: L: AMABILE, op. cit., I, p. 353. 9Ibidem, I, pp. 352 sgg: I congiurati <<vennero assediati dal Soldaniero con la sua comitiva, ed anche da un Camillo di Fiore con un'altra comitiva; costoro promisero che catturando que' rifugiati li avrebbero consegnati nelle carceri Vescovili, ed invece, burlando il Vicario, li tradussero a Monteleone [...]>>. 10Ibidem, I, pp. 151, 326 sgg, 329-330: Già il 27 settembre 1599 due sospettati congiurati, Claudio Crispo e Cesare Milesi, erano stati giustiziati in una pubblica piazza di Catanzaro. L. FIRPO, Il supplizio di Tommaso Campanella, Roma, 1985, p. 274. 11Nell'aprile 1601 Stefano Furci fu nominato canonico con prebenda della cattedrale di Tropea: P.F. RUSSO, Regesto Vaticano per la Calabria, V, Roma, p. 291. 12Il documento più antico che testimonia il trasferimento di Orazio Furci in Sicilia risale al 24 ottobre 1599: si vedano i registri di battesimo della cattedrale di Santa Lucia del Mela. Quel giorno lo <<spectabilis Otatius Fulci, cotemporis medicus>> fu padrino di Joannis, nato da Francesco e Lucrezia Pulejo. L'anno seguente, nel settembre 1600, lo stesso <<magnificus Dominus Oratius Fulci medicus>> risulta padrino di battesimo di Pietro, figlio di Tommaso e Faustina Patti. Sia i Pulejo che i Patti erano tra le famiglie più cospicue della nobiltà luciese del tempo, che annoverava anche i rami collaterali di due note famiglie patrizie tropeane: i Galluppi ed i Carrozza. Inoltre non è forse solo una coincidenza che il vescovo di Tropea, Tommaso Calvo, fosse originario di quella zona del messinese. Furono probabilmente le credenziali del prelato a propiziare il rapido inserimento del giovane medico. 13Una relazione medica di Orazio Fulci del 1625 sul male che affliggeva l'alto prelato di origine napoletana è custodita nell'Archivio Vescovile di Santa Lucia: P. GIOVANNI PARISI, Il servo di Dio Mons. Antonio Franco, S. Lucia, 1965, pp. 206-207. La diagnosi del Fulci è intitolata: Relatio pro Rev.mo Domino D. Antonio Franco regio Cappellano Civitatis Sanctae Luciae et Referendario Apostolico Sue Catolice Maiestatis aetatis annorum quatraginta salsa destillatione correpto ad palatum et nares. Essa è tra gli incartamenti del processo di beatificazione di Monsignor Franco, apertosi da poco in Vaticano. 14Tropea fu la patria dei fratelli Vianeo che, nel secolo XVI, compirono i primi passi nel campo della plastica facciale, conquistandosi grande rinomanza in Italia. 15Il grado di agiatezza raggiunto dal medico Fulci si può stabilire dalla copia di un suo testamento, redatto a Tropea nel 1636 dal notaio Cesare Sava, custodita in A. S. N., Fondo Galluppi di Cirella, con cui Orazio Fulci istituiva tra l'altro uno <<jus patronato>> sotto il titolo di San Giuseppe in Tropea; dalle imposte corrisposte dal Fulci. Nei libri di apprezzo della città di Tropea, Orazio Fulci risulta gravato 94 ducati nel 1638 e 99 ducati nel 1638, figurando così tra i maggiori contribuenti della città: BIBLIOTECA COMUNALE DI DRAPIA, Documenti, Sagraf, Napoli, pp. 33-34; dal numero dei contratti di compravendita in cui egli figura acquirente: ARCHIVIO STORICO DI S: LUCIA, Giuliana Parisi. 16P. F. SERGI, Chronologia Collectanea sive Chronicorum de Civitate Tropea ejusque Territorio, Tropea, 1720; V. CAPIALBI, Memorie per la storia della Chiesa tropeana, Napoli, 1852, p. XXIV: <<L'anno 1624 a 28 maggio rinnovatasi la numerazione si trovarono 56 famiglie nobili, a cui si aggiunsero altre cinque degli onorati, cioè quattro dottori in medicina, ed una in legge, e le famiglie onorate furono riconosciute nel numero di 54>>; E. RICCA, Istoria, cit., III, Napoli, 1865, pp. 535 e sgg.; G.B. CROLLALANZA, Dizionario storico e blasonico delle famiglie nobili e notabili italiane, I, Pisa, 1886, p. 438; N. SCRUGLI, Notizie archeologiche e storiche di Portercole e Tropea, Napoli, 1891, pp. 86 e sgg. Il cognome di Orazio è Furci nel lavoro di N. Scrugli, è Fulci negli altri scritti. 17Dizionario Enciclopedico Italiano, V, alla voce Fulci.