UN MAUSOLEO
DI
ANTONELLO GAGINI

IN TROPEA

di Felice Toraldo


Il valoroso storico dei Gagini di Sicilia, l'abb. Gioacchino di Marzo1, nella sua dotta opera a pag. 175 narrando di una statua gaginesca in Nicotera, esce in questa frase:
<< e ben farebbe mestiere più di una gita in quell'estremo lembo della terraferma d'Italia a discoprirvi e richiamarvi in pregio ampli tesori d'arte, che dalla Sicilia vi provennero e che adesso vi giacciono in profondissimo oblio>>.
Purtroppo questo dolce rimprovero ha un grande strato di verità! Non vi ha dubbio che il gusto del bello vi fu sempre in Calabria, ma non vi è lo srcittore ancora che ne illustri le opere artistiche sparse in tutte le tre provincie calabresi. Vi sono qua e là delle succinte monografie, dei forti studi storici, ma che di proposito trattino dell'arti belle calabresi, non ancora se ne sa l'esistenza.
E' da augurarsi che la nascente Società di Storia patria calabrese ne imprenda anche questo studio, che rivelerebbe il genio artistico della regione, e intanto mi fo avanti con questo mio modesto lavoro per far conoscere agli studiosi dell'arte l'esistenza in Tropea di un'opera gaginesca, e forse non sola...., che si ammira nel Duomo di questa Città.
Entrando in detto Duomo dalla porta piccola che si apre sulla via del Seminario, a sinistra nel breve androne che immette nella navata destra della Chiesa, si vede un cenotafio in marmo bianco con due personaggi distesi dormienti nel forte sonno dell'eternità.
Essi posano su due basette riunite, quella inferiore con un pentametro, fiancheggiato da due scudi uguali; quella superiore con un esametro accantonato da due puttini alati, alle cui spalle seguono due leoni anche alati.

Sovrasta al blocco marmoreo, con breve distacco, un alto rilievo senza coronamento (ndr: attualmente si trova all'interno della Cattedrale sulla porta laterale prospiciente su Largo Duomo), raffigurante il momento della Risurrezione del Cristo Gesù, pure in marmo bianco, racchiuso fra due lesene laterali poggianti su breve mensola scorniciata e sulla quale è scolpito il motto: Ne recorderis peccata mea Domine du veneris indicare seculu per ignem.
Non mi diffondo ancora nella minuziosa descrizione del cenotafio artistico, chè la tomba in cui riposano certamente le ceneri dei personaggi rappresentati nel marmo, resta in altro punto dello stesso Duomo, presso la cappella di S. Filomena, e riprendo a narrare quanto il di Marzo dice nella citata opera a proposito dei lavori di Antonello Gagini.

Scrive il dotto illustratore, a pag. 360, dopo aver descritto il bel monumento sepolcrale di Antonio Scirotta, opera del più bel gaginesco stile, che nella medesima chiesa di S. Cita << è un altro alto rilievo in picciole figure della Resurrezione di Cristo, che in S. Cita tuttora si vede in una delle laterali cappelle della destra nave, e che apparteneva ad un sepolcro non più esistente, che quivi era dinanzi in non so qual cappella dei Corbera, pregevole scultura pur esso del più bel gaginesco stile, e che tanto più è da tenere in pregio, perchè il Risorto ed i tre soldati di guardia dattorno alla sua tomba vi son rappresentati appunto nei medesimi atteggiamenti, come Antonello li fece al naturale in centro alla sua grand'opera della tribuna del Duomo palermitano, avendone qui, in piccolo, ripetuto a capello il soggetto >>.
Ora confrontato il lavoro esistente in Tropea con quello di S. Cita, è evidente la quasi identica conformità, la mano del Gagini si rivela chiara e precisa. Il Cristo Gesù risorto posa sul coperchio della tomba, avvolto nel panneggiamento un po' rigonfio che lascia vedere i piedi con breve stinco e la parte destra del petto col braccio alzato additante il cielo. La mano sinistra sostiene un gran vessillo che attaccato all'asta, svolazza e si ritorce in essa.
Il volto del Risorto, la modellatura del petto, la forma dei piedi ricordano molto bene le statue del Battista di Antonello Gagini che il di Marzo riporta nel suo secondo volume, con esatte incisioni, e così pure le lesene che leggiadramente inquadrano la scena dei tre soldati, uno che ancor dorme seduto su di un sasso, col capo poggiato sul ginocchio destro, gli altri due, caduti per terra, si fanno scudo con le mani sugli occhi per la gran luce che il Redentore diffonde! La corettezza e delicatezza con cui il lavoro è condotto fanno non dubitare che il marmo fu scolpito dal sommo artista, non già ripetuto da alcun suo scolaro di bottega.
Dall'alto rilievo gaginesco di S. Cita, afferma il di Marzo << può ascriversi in sorte che ben tuttavia si conservi un sì rilevante e primario avanzo della decorazione di un altro sarcofago del Gangini, quando che il sarcofago stesso andò perduto del tutto >>.
Resta così constatata la identità dell'applicazione dei due lavori del grande artista, in S. Cita e nel Duomo di Tropea, con la fortuna, per Tropea, di conservare anche il sarcofago, mentre che a S. Cita non si vede più quello che doveva sottostare all'alto rilievo suddetto.
Segue poi il di Marzo e scrive: << Ma forte poi è a dolersi, che fin qui niuna notizia si abbia del luogo e della esistenza di un altro monumento sepolcrale ch'egli (il Gagini Antonello) per atto dei 9 di gennaio 1528, si obbligò fare di suo marmo in Palermo con analoghi scudi ed ornamenti ad un Pietro d'Agostino, maestro razionale del regno di Sicilia... promettendo... poi sopraintendere a collocarlo, senza dir dove... Ma comunque... non ostante il ritardo quel sepolcro venne eseguito, non riman pure indizio del sito, dove andò posto, e se più esista oggigiorno >>.
A questo lamento dello scrittore siciliano, così appassionato dei Gangini suoi conterranei, mi è caro di poter rispondere che il monumento sepolcrale creduto disperso si trova nel Duomo di Tropea!
Addossato alla parete su cui sta fissato in alto il rilievo gaginesco sopradetto, vi è il sepolcrale monumento di casa Cazetta, curato da Paolo Cazetta alla memoria del figlio Geronimo e della figlia Antonella, giovani speranze deluse dell'amor paterno !

Come ho accennato in principio, son riprodotti i due personaggi coricati e dormienti. Geronimo sta immediatamente sotto l'alto rilievo della Resurrezione, in una semplice e solenne posizione in figura quasi intiera, col capo coperto da piccolo caschetto, il braccio destro poggiato su di un doppio cuscino e sul dorso della mano, ferma la guancia. La mano sinistra arriva sull'addome e dolcemente trattiene sull'elza lo spadone di cavaliere, mentre lo stinco della gamba sinistra lievemente si accavalla alla lama, verso il piede, accostato ad un leone sdraiato che, con la testa rivolta, scruta le sembianze del dormiente. Il panneggiamento dell'abito cavalleresco, del lenzuolo funebre che riveste la breve mensola, i cuscini, le mani e le sembianze dell'uomo, sono condotte con la soavità, una dolcezza tutta propria del sommo Cagini, e perciò non cade alcun dubbio che questo pezzo del mausoleo sia opera sua.
Non così però può dirsi del secondo pezzo, sottostante al suddescritto marmo! Il volto della donna è poco bello; la mossa del braccio sinistro che si nasconde sotto il capo è stentata ed inverosimile; le mani pien di carne e quella di sinistra che sorregge una corona del rosario, non penzolante, come sarebbe naturale, ma distesa in largo verso il drappo, son condotte con poca naturalezza. Tutto ciò fa dubitare che il Gagini non ha potuto da sè eseguire il lavoro e su la sua idea ne affidò agli scolari una parte, tanto armonizzano i due lavori nell'insieme, ed il ritardo accennato dal Di Marzo risulta chiaro dalla data del contratto di lavoro del 1528 e quella scolpita sul monumento del 1530.
Al di sotto di questo secondo alto rilievo, si vede una prima targa con i lati corti inchiavati e fiancheggiata da due puttini alati di una graziosità e perfettezza di natural posa e maestria, che fa ritornare a comparire agli occhi dello studioso la mano del primo artista.
Seduti sul piano poggiano i gomiti sui ginocchi e sostengono con una manina il capo dolente con una tal quale spontaneità di mossa che non si dubita sia lavoro gaginesco.
E ne avvalora questa opinione anche la iscrizione latina in esametro, forse non di puro stile..., e come il Gagini ha usato nel sepolcro di Lorenzo Selvaggio nel cappellone dirupato della famosa chiesa della Gancia in Palermo, e dal Di Marzo riferito nella magistrale sua opera a pag. 282 del primo volume.
E' questa la prima iscrizione:

HIC CAZETTA VETU PROLIS HIERONIM OMNI
VIRTUTE INSIGNIS NOBILIS ECCE IACET
ENO SOROR QUO CU PULCHRA ANTONELLA QUIESIT
HEU PIETAS IUVENES MORS TULIT ATRA DUOS.

Il distico, se non di buon latino, è perfettamente scolpito, ed ormai senza mastice o piombo, ha questo di singolare: la terza lettera consonante del cognome non è in carattere lapidario, come tutto il resto dell'iscrizione, ma più piccola, rotondetta e più in alto dalle altre lettere, sicchè fa nascere il dubbio se quella sia la prima consonante dell'alfabeto - B. - come sembrerebbe a prima vista, oppure l'ultima, z. Però il dubbio deve escludersi, giacchè nella parola nobilis il - b - è scritto lapidariamente, mentre nel secondo distico lo stesso cognome è scolpito in quella forma stessa de - z - precedente.
In ultimo, sul pavimento poggia la base di tutto il già descritto monumento, resta una seconda targa in cui è scolpito nel centro un esametro, fiancheggiato da due scudi eguali a punta ed accartocciati nel centro superiore con nel campo tre teste di leoni, due sopra affrontate, ed una sotto rivolta a sinistra.
L'esametro dice:

MAGNIFICUS HIERONIMO CAZETTE ET ANTONELLA FILIIS
MAGNIFICUS PAULUS INFELIX PATER NO SINE LACHRIMAE
FLUMINE STRUI FECIT HOC SEPULCRU - MDXXX.

Tutto il mausoleo ha la dimensione precisa in cui il Gagini si obbligò di farlo con l'istrumento notarile riportato dal Di Marzo nel secondo volume, pag. 144, 145 e cioè << palmorum settem cum dimidio vel circa... >>. Si può obbiettare che il contratto non fu stipulato col Cazetta, ed invece con un Pietro de Augustino, ma è a credersi però che questi, calabrese certamente, chè tuttavia esiste tal cognome in Nicotera ed altri paesi vicini, non fu che un commissionario, un rappresentante del vero ordinatore del lavoro, che conoscendo per fama il Gagini, ne incaricò quel magistro racionale, il quale servendosi della gran via del mare, spedì la bella opera in Calabria a Tropea, città marittima, non restandone traccia in Sicilia, come lamenta il Di Marzo. E si noti ancora che appunto per Nicotera, il Gagini lavorò una bella statua della Madonna prima del 1499 e che si ammira in quel Vescovado.
Dubitare che il lavoro non sia stato del Gagini in massima parte non è possibile, al semplice ben riflettere della eleganza e purezza ineffabile che traspare da tutto il lavoro, e, se non fu tutto eseguito dal sommo artista, certamente fu da lui tutto ideato.
Accertata così l'opera gaginesca che Tropea ha il vanto di possedere e numerare nel suo tesoro artistico, non resta che dire qualche accenno sulla famiglia che ebbe la sorte di poter avere tanto splendore di arte a maggior suo lustro.
Le due monografie antiche manoscritte che mi fu dato compulsare, assai brevi parole dicono della famiglia Cazetta, anzi ne viziano la ortografia stessa del cognome, mutando la prima lettera da C in G e raddoppiando il - z -. Quegli scrittori2 senza aver avuto il pensiero di leggere bene i due distici perfettamente scolpiti nel monumento, che pur dichiarano di famosa e mirabile scultura, dicono che tale famiglia Cazetta era tutta una che la famiglia Pugliese, della prima numerazione delle famiglie patrizie di Tropea, fatta nel 1567. Però consultata tale notizia con quella numerazione in atto autentico, nulla risulta di tale unicità. Fatta minuziosa ricerca nell'Archivio del Rev.do Capitolo cattedrale di Tropea, in una sola vecchia carta in un informe elenco di canonici di detto Capitolo con inventario di messe, si legge:
<< 1529 - Abbate Antonio Bazzetta Puglisi canonico della Cattedrale >>, ma quel foglio non è proprio in tal data. La famiglia Bazzetta vi è stata veramente a Novara3, ma con uno stemma tutto differente da quello che si vede scolpito dal Gagini per i Cazetta in Tropea. E così pure a Bologna4 anche vi è stato un cognome Cazetti, ma con arma assai diversa. E' quindi da escudersi l'origine da quei lontani luoghi, della famiglia Cazetta di Tropea, e per quante altre riceche io avessi fatto in molte opere genealogiche-araldiche, su questa famiglia, nulla mi è riuscito di rintracciare. Forse fu originaria Tropeana ed estinta nella prima metà del 1500.
Ed un'ultima osservazione mi resta a fare sulla terza parola dell'esametro. Essa è abbreviata ma non segnata dalla solita lineetta superiore, come in diverse altre parole dei due distici, ma da una forma di sigla, quasi un 3 messo all'angolo superiore dell'u.
Affido questo mio modestissimo studio alla critica artistica dei volenterosi, ben lieto se da essa ne risulterà approvata la mia tesi di riconoscersi, cioè, nel mausoleo dei Gazetta nel Duomo di Tropea un'opera del sommo artista siciliano Antonello Gagini finora ritenuta dispersa.

Tropea, 1917
 

NOTE

1 I Gagini e la scultura in Sicilia, Palermo, 1880.
2 F. SERGIO, Collectanea Chronologica, sive Chronicorum... , 1720; A. CAMPESI, Collectanea...civitatis Tropaeae... , 1736.
3 CROLLALANZA, Dizionario Araldico, Pisa, 1886, pag. 105.
4 LUMAGA, Teatro della nobiltà, Napoli, 1725, pag. 835.