SONO STATO PER QUARANTA MINUTI A TROPEA DI GRECIA
di Salvatore Libertino
Per il turista “classico” che abbia programmato un viaggio in GRECIA ed inizialmente approdi a PATRASSO, è d’obbligo immettersi sulla strada che verso Sud collega la vicina OLIMPIA, il primo sito importante dei tanti da vedere. Lasciata OLIMPIA, e al fine di raggiungere velocemente verso Est l’Argolide per visitare le altre non meno importanti vestigia elleniche (ARGO, SPARTA, ecc.), lo stesso turista è costretto a prendere la strada che dall’ELIDE si arrampica ben presto sulle montagne dell’ARCADIA, attraverso la vallata del fiume ALFEO. I monti dell’ARCADIA non hanno nulla di idilliaco che quel nome acquistò poi per i romantici. In antico, l’ARCADIA era nota invece per il carattere retrogrado e crudele dei suoi abitanti, che trovava una imperfetta contropartita solo nella istruzione musicale obbligatoria. E quasi a metà strada tra OLIMPIA ed ARGO c’è un bivio che verso Nord permette di arrivare dopo una manciata di chilometri a TROPAIA; questa volta seguendo il fiume LADON. Qui il paesaggio è decisamente alpino e la vegetazione è particolarmente rigogliosa. Nei pressi del paese infatti sorge un lago artificiale nato da uno sbarramento del fiume. L’acqua si precipita sotto terra e percorre così nove chilometri fino alla centrale che fornisce l’elettricità a tutto il Peloponneso. Il lago, che con l’andamento tortuoso delle sue sponde somiglia a un fiordo norvegese, è chiuso fra ripidi monti coperti di pini ed è stato qualche anno fà provvidenzialmente popolato di pesci. Il 10 luglio 1987, ho visitato TROPAIA assieme alla mia famiglia. Vi siamo arrivati verso le quattro di pomeriggio facendo però il percorso alla rovescia, provenendo da ARGO per andare a visitare, in chiusura di un lunghissimo tour classicheggiante ( niente mare...), OLIMPIA e rientrare il giorno successivo in Italia in nave con imbarco a PATRASSO. Avevamo quindi le ore contate ma non mi sono fatto sfuggire l’occasione di dirottare su TROPEA di GRECIA. Ero a conoscenza della sua esistenza fin dal tempo in cui frequentavo la scuola media e da allora mi ha sempre affascinato l’idea di conoscerla di persona. Sul segnale del bivio ed in quello all’inizio del paese vi era scritto TROPAIA, con l’accento sulla O . Sulle carte geografiche internazionali la città viene evidenziata con il nome di TROPEA, nell’idioma inglese.
Imboccato il bivio, prima di arrivarci, tra filari di alberi, siamo passati attraverso un paio di piccolissimi villaggi attraversati dalla strada. Mi rimase impresso il fatto di aver visto nel primo di essi la scritta su di una porta: “Farmakeio” (Farmacia). Tra il primo villagio e l’altro si stagliava non lontano dalla strada un comprensorio di nuova costruzione: era una chiesa con a fianco il campanile, in mezzo alla campagna. E siamo finalmente all’entrata di TROPAIA, tutto sommato simile a quella di tanti paesi dell’entroterra calabrese. Ai bordi della strada, ad intermittenza: case e spazi riservati ad orti o giardini. Case vecchie, fatiscenti o nuove ma non finite.
Noi andavamo piano per assaporare meglio le prime impressioni, nel più assoluto silenzio, cercando forse di scoprire ogni accostamento possibile con il nostro paese in Calabria. Una donna anziana ci attraversò la strada con una scopa in mano: cercava di pulire il selciato. La strada non era asfaltata. Si vedevano già i primi negozi con delle sedie vuote davanti alle porte da cui pendevano a mo’ di vetrina le merci: ceste di vimini e borraccioni di plastica di varia consistenza. Il fruttivendolo, che esponeva fuori dalla porta le cassette piene di ciliegie ed ortaggi. Nel muro sulla porta era scritto forse il nome del venditore: E. Stairopoilos. Intanto sulla via: qualche camion e qualche trattore fermi. Rare le macchine. Una donna tirava una corda attaccata alla briglia di un poderoso cavallo che sopportava sul dorso un carico di masserizie. La strada era tortuosa ed in salita, in zona decisamente scoscesa. Ora per accedere alla porta delle case, occorreva salire su di una breve rampa di scalini.
E finalmente siamo sbucati sulla piazza, non grande, dove erano parcheggiati un paio di pulman modello anni ’50: il cordone ombelicale del paese con il resto della Grecia. La chiesa, il cui accesso non era sulla piazza, pur incombendo sulla stessa, appariva moderna, con qualche ingrediente orientaleggiante. Un grande orologio, sulla parete prospiciente sulla piazza, segnava le 1620. Al centro, un monumento ad un notabile locale, mezzo busto con cravatta, nato nel 1883 e morto nel 1954: Aristomenes D. Xeniades. Individuato lo spazio per parcheggiare, sono sceso dalla macchina con l’intento di fare qualche ripresa con la telecamera. Sapevo che avevo poco tempo. Il mio primo pensiero è stato quello di entrare comunque nella chiesa, immaginando che avrei trovato qualche “traccia” interessante.
Mi trovavo in quel momento davanti ad un bar e vi entrai. Aveva l’aspetto di una bettola con all’interno pochi tavoli circondati da sedie. Solo qualche cliente seduto a bere un bicchiere di vino o intento a mangiare qualcosa da un piatto o da pezzi di carta adagiati sul tavolo. La padrona, sorridente, mentre io filmavo, mi chiedeva qualche cosa e con insistenza, ma io non capivo. Una musica orientale proveniva dal qualche radio che non riuscivo a vedere. Fuori del locale quattro signori di mezza età erano seduti lungo il muro. Guardavano incuriositi ma senza parlare. Mi allontanai e nelle vicinanze scoprii le sezioni dei partiti comunista e socialista e poi la banca. Mi fu facile individuare anche di lì a poco la barberia. Il barbiere mi salutò, mentre lo filmavo, con la mano alzata chiedendomi di accomodarmi. Tirai fuori dalla tasca il passaporto e lo feci vedere a lui che lesse la mia località di nascita: Tropea. Capì al volo che si trattava di un paese italiano e che aveva a che fare con un curioso........ di storia. Mi pregò di sedere sulla poltrona. Io lo feci. Intanto potevo vedere i miseri strumenti del mestiere disposti con ordine sull’unica mensola sotto lo specchio che mi stava davanti. Prese il rasoio e fece finta di radermi la barba. A questo punto pregai un tipo in canottiera, che era sulla porta a guardare la scena, di scattarmi una foto.
Mi recai poi davanti alla chiesa, che, data l’ora particolare, era chiusa. Incontrai una ragazza che parlava la lingua inglese. E’ stata l’unica giovane in assoluto incontrata. Domandai di potersi interessare per farmela aprire. Lei andò spedita verso la casa del prete e chiese ad una donna affacciata alla finestra la chiave, che dopo un po’ venne lanciata alla ragazza. Nella chiesa entrai assieme ad una decina di persone incuriosite come lo ero io in quel momento. Ho incominciato a filmare senza però guardare cosa. Continuavo a farlo traguardando nel mirino della camera: statue di santi, quadri, dipinti, icone variopinte, merletti, altarini, candelabri, lampadari.
Ogni cosa era curata al massimo e tenuta in perfetto ordine. Sembrava tutto di bella fattura. Più che in una chiesa l’impressione era di trovarmi in un raffinato negozio di antiquariato. Mi ricordo un affresco di S. Giorgio che domina il drago ed un dipinto di una Madonna col Bambino con il manto “alla greca” che ho accostato nella mia mente alla Madonna di Romania. Eccetto il viso della Vergine ed anche la posizione del Bambino non c’era sostanzialmente alcuna similitudine con la nostra Madonna. Eppure continuavo a pensare alla Madonna di Romania e che mi trovavo in quel momento a poco più di cento chilometri da Neapolis, la vecchia Nauplia, nell’Argolide: la ROMANIA di un tempo! E’ di lì che la leggenda popolare vuole provenisse la nostra Madonna Bruna. Ora mi sovviene di aver visto anche un dipinto raffigurante due Santi che molto assomigliavano ai Santi Cosma e Damiano. Intanto mi sentivo stanco.
Il caldo era atroce, il peso della telecamera si era fatto insopportabile ed il rischio di non riuscire ad arrivare ad OLIMPIA e poterla visitare in serata mi facevano già capire che l’avventura di TROPEA di GRECIA era terminata. Dopo aver ringraziato e salutato le persone (erano una cinquantina!) che ormai mi avevano circondato sul sagrato, compreso il barbiere che forse aveva chiuso bottega, mi indirizzai verso la macchina dove mi aspettava la famiglia. Le ultime immagini di Tropea di Grecia: il Municipio, un uomo che beve alla fontanella, un anziano che brinda alzando la botiglia di birra, una coppia di signori che commentano sorridendo, un paio di insegne incomprensibili. Alle 1700 abbiamo ripreso il viaggio nell’ARCADIA. All’uscita del paese, il piccolo Centro Medico con autombulanza pronta a partire, ed il cartello, oltre che in lingua greca, in inglese : “ Health Center of TROPEA”. Quale migliore occasione per farmi fare ancora una foto con tutta la famiglia ?
Il giorno successivo ci imbarcammo a PATRASSO. E appena uscimmo dal Golfo, l'ultima emozione regalataci dalla Grecia mentre attraversavamo le stesse acque che videro protagonisti tanti secoli fa molti Tropeani che hanno combattuto e stravinto, nella più grande e cruenta Battaglia Navale, quella di LEPANTO, l'Armata Turca. Erano: i TORALDO, i BARONE, i FAZZARI, i FREZZA, i GALLUPPI, i CARROZZA, i PORTOGALLO. Ma questa è un'altra storia!