"I
TRI DA CRUCI"
(LINEE
STORICO-RELIGIOSE)
di
Antonio Sposaro
Roma, Basilica di S. Croce in Gerusalemme: S. Elena.
Particolare
dell'affresco absidale "Inventione (ritrovamento) della Croce"
Antico è il culto
della Croce. Risale, infatti, al IV° secolo, quando Silvestro I°,
papa dal 314 al 335, decise di renderla degna di onore e di venerazione,
forse ispirato dal ritrovamento dei resti della Croce di Cristo.
Secondo una tradizione,
Elena, madre di Costantino il Grande, eletta poi all'onore degli altari,
nel 326 intraprese un lungo pellegrinaggio in Palestina per visitare i
Luoghi Santi e con il pio desiderio di trovare reliquie di Cristo.
E difatti, sotto il tempio
di Venere, che l'imperatore Adriano aveva fatto erigere sul Calvario, trovò
alcune croci, una delle quali, avendo palesato proprietà taumaturgiche,
fu ritenuta quella su cui Cristo aveva sofferto i gravi tormenti del suo
martirio.
Il ritrovamento dovette
avvenire durante i lavori di sterro che si stavano effettuando là
dove sorgeva quel tempio che Costantino, volendo cancellare ogni segno
pagano, intorno al 325 aveva deciso di abbattere e farvi sorgere una basilica
detta Anastasi per ricordare, come vuole significare il nome di Anastasis,
non solo la Resurrezione di Cristo, ma anche quella finale dei morti.
Si tramanda ancora che
Elena, ritornata a Roma, avrebbe portato con sè una parte di quella
Croce che sarebbe stata collocata nella Basilica di Santa Croce in Gerusalemme
da lei stessa fondata.
E
così, entrata nelle liturgia cristiana, per tanto tempo la Croce
fu festeggiata dalla Chiesa il 3 maggio1 di ogni anno con il
titolo "In Inventione Sanctae Crucis", ridotto per il calendario romano
in "De Inventione" o semplicemente "Inventione", a ricordo del suo ritrovamento,
ed inoltre il 14 settembre, con il titolo "In Exaltatione Sanctae Crucis".
Lungo il corso dei secoli
sempre più crescente divenne, nel mondo cristiano, la venerazione
della Croce che fu considerata come simbolo di sacrificio e di trionfo,
oltre che motivo di arte, tanto che si ebbe, nel tempo, una grande fioritura
di crocifissi, anche ad opera di grandi artisti.
Recentemente però,
e precisamente l'11 aprile 1971, con Decreto della Sacra Congregazione
per il Culto Divino la festa della "Inventione" fu eliminata dal calendario
generale, ma restò ferma nelle patrie memorie di quella gente che,
come quella tropeana, legava ad essa particolari momenti della sua storia.
Le origini del culto della
Croce a Tropea si perdono, purtroppo, nella profondità del tempo.
Si sa soltanto che era già in atto nel 1120.
Roma, Basilica di S. Croce in Gerusalemme. L'intera
sequenza dell' "Inventione (ritrovamento) della Croce".
Infatti lo storico tropeano
Francesco Sergio (1642 - 1720)2, parlando della consacrazione
dell'antica chiesa di S. Maria de Latinis, che sorgeva dove attualmente
è ubicato il Calvario, dice che tale funzione religiosa si svolse
nel mese di maggio di detto anno e precisamente, secondo alcuni, nel giorno
della "Inventione", perchè i fedeli, prima di entrare in chiesa
per assistere al sacro rito, recitando preghiere giravano tre volte intorno
ad una croce piantata alla porta, proprio come si soleva fare, per antica
tradizione, soltanto nella ricorrenza della "Inventione".
Roma,
Basilica di S. Croce in Gerusalemme.
Le
sacre reliquie della Croce:
1
chiodo;
il
Titolo [una tavoletta con incise e dipinte in rosso le lettere in latino,
greco ed ebraico:
J(ESU)S
NAZARENUS RE(X JUDAEORUM) che Pilato fece appendere sulla Croce];
2
Spine della Corona;
Una
parte della Croce.
Il
reliquiario della Croce è del Valadier (1803).
Le
Reliquie vengono mostrate al popolo nella quarta Domenica di Quaresima;
il Venerdì Santo
e
il 14 settembre, festa dell'Esaltazione della Croce
Era un semplice atto di
devozione che si protrasse nei secoli, come ci fa sapere ancora il Sergio
quando afferma che, se in passato a girare intorno alla croce erano soltanto
le donne, alla sua epoca c'erano anche gli uomini, ed in numero sempre
più crescente.
Quando,
dopo il 1783, anche per il peso della sua secolare età, crollò
quella chiesa di cui nel 1843 non era rimasto altro che un solo muro perimetrale,
il culto del Sacro Legno fu praticato in un tempietto a tre coni, in cui
vertici erano affettuosamente chiamati dagli abitanti della zona "I tri
gugghicei" (Le tre piccole guglie).
Nell'interno, a breve distanza
l'una dall'altra, vi erano allineate tre croci di legno, più alta
quella centrale, che erano oggetto di venerazione soprattutto il 3 maggio,
cioè il giorno della "Inventione".
Sorgeva,
quel piccolo sacro sito, nella zona alta dell'attuale Via Umberto I°
che, ottenuta con l'interramento di una parte del difensivo ampio fossato,
serviva per allacciare al centro urbano il rione Baracche, costruito nel
1785 per sopperire alla tante case distrutte dal disastroso terremoto del
5 febbraio 1783.
Dopo che quel tempietto,
già in precarie condizioni statiche, andò in rovina nel 1875
a causa di un collerico temporale, la venerazione della Croce fu continuata
nella chiesa del Purgatorio che era stata consacrata nel 1854.
Ma fu per poco tempo perchè,
come se i borghigiani ne volessero fare una loro particolare tradizione,
riportarono quel culto nella propria borgata, ricavando nella facciata
di una casa una "conulea" (piccola edicola) dove fu posto un quadro ad
olio della Pietà.
Era lì che, fino
ad alcuni anni fa, verso il tramonto convenivano le donne del rione per
fare, in preparazione della festa del 3 maggio, la novena che consisteva
nella recita del rosario, intercalato ad ogni posta dal versetto: "Evviva
la Croce e chi la portò".
Si concludeva quella devota
pratica con il canto della strofa della Via Crucis:
Io ti adoro, o Santa Croce,
duro letto del mio Signore.
Io ti amo con il mio cuore
e ti lodo con la voce.
Io ti adoro, o Santa Croce.
La festa della "Inventione",
che in passato aveva avuto solo un carattere religioso, nel corso dell'Ottocento
ebbe dei contorni dal chiaro riferimento alla pirateria turca che per diversi
secoli aveva terrorizzato i Tropeani.
Quando, tra il '500 ed
il '600, quell'area dell'Africa Settentrionale, che comprendeva l'attuale
Libia, l'Algeria, la Tunisia e il Marocco, fu sede degli Stati Barbareschi
e nel contempo base della pirateria islamica che era vista da quegli Stati
come una loro considerevole fonte di vita, i più importanti porti
di quelle regioni furono covi degli spietati corsari.
Salpando da quei porti
con le loro navi, i pirati razziavano le coste dell'Italia e della Spagna,
spinti con fanatico furore anche da quel principio della guerra santa che
giustificava il saccheggio e gli atti di pirateria compiuti contro gli
infedeli.
E
poichè, oltre al saccheggio, miravano anche alla cattura dei giovani
per venderli come schiavi nei mercati orientali, onde sottrarli a quella
triste sorte, gli abitanti, come si usava a Tropea, ricavavano sotto casa
dei cunicoli ben camuffati che servivano da nascondiglio, specialmente
per le belle ragazze che erano preda pregiata.
La scia di crudeltà
che i pirati lasciavano dietro di sè aveva talmente terrorizzato
la gente, che l'avvistamento di una nave corsara era sempre motivo di rinnovata
angoscia per la sorte dei propri cari e delle proprie cose.
Naturalmente lo stesso
grave sgomento agitava anche i Tropeani quando vedevano spuntare, all'altezza
dello sperone roccioso di Riaci, una imbarcazione che veniva subito identificata
per corsara dai suoi particolari connotati, come la vela latina, le sue
dimensioni ed i suoi tanti remi che la sospingevano.
Era
uno sgomento che trovava le sue ragioni nell'amara esperienza fatta nel
corso di una serie di atti di pirateria compiuti, lungo il volgere del
tempo, contro Tropea e le sue immediate contrade.
Tanto funesti, quanto clamorosi,
furono quelli che ebbero come protagonista il ben noto corsaro barbaresco
Kair-ed-Din o Kaireddin, detto Barbarossa, il più crudele e perciò
il più temuto dei corsari.
Quantunque dimorasse a
Tropea, dove veniva a trovarla, quella Flavia Gaetani che, figlia del governatore
di Reggio Calabria, secondo Ludovico Antonio Muratori gli era stata data
in moglie, nel 1543 e 1544, mise a sacco e fuoco la stessa città
ed altri centri litoranei, portando inoltre con sè, come parte del
suo bottino, molti giovani per essere utilizzati come schiavi.
Altro famigerato corsaro
fu Dragut Rais, anch'egli del XVI° secolo.
Una sua paurosa incursione
a Parghelia è ancora testimoniata da un elmo di ferro che, catturato
ad uno dei suoi corsari messisi in fuga alla vista di alcuni uomini armati,
si trova custodito nella chiesa di Portosalvo.
Ancora degli uomini di
Dragut Rais fu una scorreria a Ciaramiti mentre, di sera, si stavano festeggiando
le nozze di due giovani.
Un improvviso, misterioso
e prolungato suono di campane li mise in fuga dal centro abitato di S.
Domenica, che stavano saccheggiando durante il ritorno alle proprie navi
ancorate nella contrada marina "Le Formicole", costringendoli ad abbandonare
la preda umana di cui facevano parte gli stessi novelli sposi.
Si era radicata nell'animo
dei tropeani una tale inquietudine, che il solo passaggio, lungo il mare,
di navi corsare dirette verso altri lidi era sempre motivo di grande spavento.
Accertato, durante una
sua visita in Calabria, che le popolazioni erano veramente in balia dei
corsari perchè le città erano indifese, Pietro de Toledo,
vicerè di Napoli dal 1532 al 1553, propose all'imperatore Carlo
V° la costruzione, lungo il litorale del reame di Napoli, di alcune
torri come punto di avvistamento e di difesa.
A tutto il 28 aprile 1638,
come si rileva da una relazione fatta al Vicerè dal vicario spagnolo
Tomaso Blanc, nell'area tropeana erano state costruite le seguenti torri:
1)-"La torre de Santa Maria
de Loreto de Tropeia";
2)-"La torre nel Cabo de
Vaticano territorio de Tropeia";
3)-"La torre de Rufa territorio
de Tropeia";
4)-"La torre de Santa Domenica
territorio de Tropeia";
5)-"La torre de Zambrone
territorio de Tropeia".
Il centro abitato di Tropea
aveva la Torre Lunga del Castello.
Purtroppo non si ebbero
i risultati sperati; nè con la vittoria della Lega Cristiana sui
Turchi nella battaglia di Lepanto (7 ottobre 1571), cui parteciparono tre
galere tropeane, si riuscì a porre fine per sempre alla disumana
attività della fanatica pirateria musulmana.
Infatti
una violenta azione corsara si ebbe a Tropea il 29 giugno 1638, poco dopo
il terribile terremoto del 27 marzo. Era, per quei pirati, una norma cinicamente
preferita quella di saccheggiare i centri costieri dopo una tremenda calamità
naturale, quando la gente era ancora attonita e disperata per i danni subiti.
Un'altra scorreria si ebbe
l'8 agosto 1676 sul lido di Briatico dove però, come narra G. B.
Marzano nella Cronologia della famiglia Lombardi Satriani, i corsari furono
ricacciati sulle loro navi, lasciando tre morti.
Si dava la caccia, per
catturare i giovani pescatori, anche alle piccole imbarcazioni da pesca,
generalmente condotte da padre e figli.
In proposito, dal vecchio
mondo marinaro di Tropea è stato tramandato un singolare fatto accaduto
nel corso del Settecento in prossimità delle Formicole.
Alle
incerte luci dell'alba, tutto intento com'era a tirare le reti che non
l'avrebbero ripagato delle sue fatiche, quell'esiguo gruppo di pescatori
non si era accorto di essere l'obiettivo di una nave che aveva tutti i
segni per essere identificata per corsara.
Furono presi dal panico
i più giovani quando si accorsero della grave minaccia che incombeva
su di loro; ma non si perde d'animo il più vecchio che, conoscitore
- da vero lupo di mare - dei più insidiosi siti marini, fingendo
di voler velocemente accostare alla riva, immise la sua barchetta, sempre
più tallonata dai corsari, in una specie di stretto canale, i cui
fianchi rocciosi erano coperti dall'alta marea.
I corsari, che stavano
assaporando armai la gioia del trofeo, non sospettando della trappola che
stava per attanagliarli, acceleravano sempre più il ritmo delle
remate fino a quando la loro nave non andò ad incastrarsi con forza
entro quel canale, producendo quei rumori tipici di una barca che si sfascia
tra gli scogli.
Le loro scorrerie erano
finite per sempre grazie ad un umile pescatore che era riuscito a gabbare
i turchi.
Da quel momento quella
località è denominata Gabbaturchi.
Ancora. Come riferisce
il generale Giuseppe Bardet di Villanova, ingegnere "delli Reali Eserciti,
Piazze e Frontiere di Sua Maestà", in un raporto del 15 aprile 1783,
una incursione di vaste proporzioni e di grande spavento per le popolazioni
si svolse nella zona di Tropea, Briatico e Pizzo il 20 marzo 1783, poco
dopo - come era la prassi dei corsari - il funesto terremoto del 5 febbraio
1783.
Erano le prime ore del
giorno quando nelle acque delle tre cittadine si presentarono dei bastimenti
corsari che, bordeggiando verso la riva, davano la caccia alle "minaite"
che stavano rientrando dalla pesca notturna.
Allarmati, i Tropeani si
disposero per respingere eventuali assalti dei predoni che in effetti,
con il solito fanatismo musulmano, attaccarono la città.
E' comprensibile il grande
terrore della gente che durò fino a quando, verso sera, uno dei
tre reparti di 200 militari, fatti affluire in aiuto dei tre centri costieri
dal generale Bardet, acquartierato a Monteleone con le sue truppe, non
ricacciò, anche con l'intervento di volontari locali, gli assalitori
sulle loro navi.
Questo
clamoroso fatto d'arme si poteva considerare l'estremo colpo di coda della
pirateria, anche se isolate scorrerie continuarono ad insidiare i nostri
lidi, tanto che il regno di Napoli, ravvisata la necessità di sorvegliare
più attentamente le coste, il 22 febbraio 1821 istituì la
Guardia di Sicurezza Interna nella quale dovevano prestare servizio obbligatorio
i cittadini dai 21 ai 40 anni.
La nefasta attività
dei corsari barbareschi si concluse per sempre nel primo ventennio del
XIX° secolo.
Quando le scorrerie dei
pirati e la paura delle genti divennero sempre soltanto un brutto ricordo,
i borghigiani inserirono nel consueto programma religioso, per la celebrazione
della "Inventione", alcuni elementi profani, propri del mondo dei predoni
musulmani, e cioè: "u camiu" (il cammello) di cartapesta, "u camiuzzu
'i focu" (piccolo cammello di fuoco), vero mostro che spruzza fuoco pirotecnico
da ogni parte, ed una barca corsara fatta di carta colorata incollata su
uno scheletro di canne.
Si intendeva ricordare,
con festoso dileggio, ciò che nel tempo era stata causa di tanta
disperazione.
Infatti, a dispetto della
passata tracotanza corsara, di giorno, al ritmo frenetico di tamburo e
grancassa, per le vie della città veniva ballato da un esperto "u
camiu", che ricordava quello vero di cui si servivano gli arabi per riscuotere
con atti vessatori i tributi nelle terre occupate3.
"U camiuzzu 'i focu", per
essere di effetto con le sue luci, veniva ballato di sera nella strada
dove si svolgeva la festa.
La barca, poi, armata di
bengala, veniva fatta esplodere, a conclusione della piacevole serata,
per significare che le scorrerie dei corsari lungo i nostri lidi erano
finite per sempre.
Allietata anche da musiche
di occasione, eseguite dal locale complesso bandistico, e conclusa dai
fuochi artificiali dalle tanti luci, quella era una popolare festicciola
di colore che aveva un grande significato: il trionfo della Croce sulla
musulmana Mezzaluna, e quindi del Cristianesimo su quell'Islamico che aveva
giustificato, in nome della guerra santa, quegli atti delittuosi dei corsari
di cui anche i tropeani avevano fatta triste esperienza.
NOTE
1 Da questa
data fu tratta poi la denominazione della festicciola tropeana: "I tri
da Cruci".
2 F. Sergio,
Chronologica Collectanea De Civitate Tropea Eiusque Territorio, Lib. 3°,
cap. V°, 1720.
3 Gli Arabi
occuparono Tropea, Amantea e S. Severina, dove si organizzarono in emirati,
dall''840 all'882; occuparono ancora Tropea dal '946 al '952.
BIBLIOGRAFIA
Crispo F., Incursioni barbaresche
in Calabria alla fine del XVIII° secolo
Gabrielli F., L'Islam nella
storia, Bari, 1966.
Gabrielli F., I Saraceni
in Calabria. Almanacco Calabrese, Roma, 1959.
Galibert G., Storia dell'Algeria
antica e moderna, Napoli, 1846.
Scrugli N., Notizie archeologiche
e storiche di Portercole e di Tropea, Napoli, 1891.
Sergio F., Chronologica
Collectanea. Lib. III°, ap. V°, 1720.
Sposaro A., Storie e leggende
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Toraldo F., Del Castello
di Tropea. Gazzettino di Tropea del 25 luglio 1905.
Toraldo F., I calabresi
a Lepanto, Tropea, 1912.
Toraldo R., Città
di Tropea. Guida Turistica, Catanzaro, 1966.
Valenti G., Le torri costiere
della Calabria, Cosenza, 1960.