Cortese spirto,
il cui raro valore
Ben mostr'altrui, quanto
il suo merto avanzi
Ogni honor di fortuna,
ogn'alto stato;
Gli occhi di che parlai
mesto pur dianzi,
Come pietà mi spinse,
e puro Amore,
O' voler forse di benigno
fato,
Di più nobil ingegno,
e più lodato
Sono soggetto; e di più
chiaro stile,
Che'l mio sopra se stesso
non si stende;
Ma quell'alta virtù
ch'in voi comprende
L'altre già tutte,
e spregia ogni atto vile,
Di bel nodo, e gentile
M'hà stretto sì,
ch'io non rifiuto il peso,
Sol di desio, di sodisfarvi
acceso.
Il Rè del ciel, che
spesso il mondo adorno
Suol far, di chiari e gloriosi
numi,
Hora d'un vivo sole ornar
lo volse,
In cui non pur soavi, ardenti
lumi,
Da sgombrar l'ombre e menar
seco il giorno;
Ma d'ogn'altra virtù
celeste accolse,
Anzi per maggior pregio,
entro v'involse
Tanto del suo splendor,
ch'ivi natura
Si specchia, si compiace
e il desir queta;
lasso il lungo eclissar
di tal pianeta,
Non è senza mestier,
che vi pon cura;
Qualhor Phebo s'oscura,
segna strage, e ruina;
hor quando mai,
Fù presso Europa
à più dogliosi lai?
Ma ben ch'inditio sia d'ira
e di pianto,
Giusta cagion di rari effetti
e belli;
Esser ne può se
sapren bene usarlo,
Che Dio quantunque manda
i suoi flagelli,
Ne dà pria segno,
accioche l'huomo in tanto,
Con inchinarsi à
lui, possa placarlo;
Però di tutto cuor
ogn'hor pregarlo
Dovrebbe ogn'uno, e domandar
mercede,
Mentre la sua pietà
cosi ne sorge,
Ne questo sol, ma ne solleva
e porge
La man talhor, quando non
altri il chiede;
Deh pur con ferma fede,
Spiegiam là sù
de i pensier nostri l'ale,
Si vedrem poi mutarsi in
bene il male.
Quante il fato quaggiù
grazie comparte,
Tutte l'eterno Amor pose
in quest'una;
Ver cui Saturno in van
sue forze adopra,
Che mentre in piè
staranno e sole, e luna,
vivrà l'alta sua
gloria in ogni parte;
Ben che'l mortal di lei
terra ricuopra,
Esser non può, ch'in
breve ella non scuopra,
L'alme luci divine, per
cui fersi
Mille lamenti lagrimosi
indarno;
Che'n val di Tebro, e'n
sù la riva d'arno,
Chi con leggiadre rime,
e chi con versi,
In stili alti, e diversi,
Quasi spente le pianse;
e chi di quelle
Privò la terra,
e'n ciel ne fè due stelle. |
Vano timor, e chi non sà,
che'l sole,
Quantunque volte sua soror
l'adombra,
In sè non già,
non solo à noi vien meno?
Così quella importuna,
e torbid'ombra,
Che qual nebbia apparir,
e sparir suole,
Celò, non spense
il bel lume sereno;
Io non potrei signor mostrar
à pieno,
Di quanto, equal piacer
l'alma si pasce,
In ragionar di si soave
oggetto;
Altro dolce non è,
ne par diletto,
Provai dal dì ch'io
fui nodrito in fasce,
Quinci nel cuor mi nasce,
Un desio, che crescendo
d'anno in anno,
Bear potrebbe altrui s'io
non m'inganno.
Non fur pria conosciuti
si begliocchi,
Ne lor diè'l mondo
degni honori, e pregi
Ch'una aperta bellezza
è men gradita;
Ma poi che invido humor
d'oscuri fregi
Gli cinse, hebber timor
notturni, e sciocchi,
D'eterna notte e di già
morta vita;
E qual chè chiede
dopo al danno aita,
Corser tutti à quel
vago e bianco, e nero;
Poscia, che chiuso havean
del dì le porte,
Cosi quel, che non fè
benigna sorte,
Ecco l'hà fatto
il caso acerbo e fiero;
Human basso o pensiero
Non sale in Giove i suoi
screti ascende,
Da cui ne viene il tutto,
e non altronde.
Ma che sia mai? che di novelli
fiori
S'orna la terra e veste
hor d'herbe, quando
Fredda stagion devria recarne
il gielo;
E lieti oltra misura andar
scherzando
Veggio per l'aria pargoletti
Amori,
E seren farsi d'ogn'intorno
il cielo,
Certo Madonna havrà
disciolto il velo,
Che contendea di que' bei
lumi il raggio;
Che soli han qui trà
noi tanta virtute;
Hor in riso, chi pianse,
il pianto mute;
Hor si sollevi il mio stanco
coraggio;
Hor ogni dotto, e saggio
Sacri versi, alte rime,
e volga inchiostri,
A' lei, ch'eternar puote
i pensier nostri.
Sù la riva del Tebro,
ù la superba
Donna s'inchina, al vaticano
ogn'hora,
Vedrai Canzon il tuo signor,
e mio;
Dilli non hà'l poter
pari al desio
Colui, che sì la
virtù nostra adora;
Pur come può v'honora,
E nel difetto suo, di scusa
è degno,
Là, dove human valor
non giunge al segno.
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