'Poesie' di Luigi Barone (1857)LUIGI BARONE

di Giuseppe Cortese
(1939)


Abbiamo sott'occhi, un fascio di carte ingiallite e polverose: sono i manoscritti assieme al volumetto di poesie stampate nel 1857, favoritici dal memore figlio, Giovambattista, del poeta tropeano, Luigi Barone (1817-1905), anche lui, come tanti altri di nostra terra, coperto della polvere dell'oblio!
Essi contengono i lavori poetici che non furono, in gran parte, dati alla luce e che pur posseggono concetti elevati, sentimenti nobilissimi, ma tristi tanto! di vita famigliare e civile, e accenti entusiasti di idealità patriottiche.
Perchè il Barone non solo fu Accademico degli Affaticati, insegnante in varie scuole medie della Calabria e scrittore di drammi, ma fu, più che altro, poeta: poeta autentico a cui <<Tutto gli è sprone al canto: Dio, l'uomo, ei stesso, la Natura, il mondo - La morte, il riso, il pianto - l'odio, l'amor.. >>. Difatti Giovanni Andrea Cordopatri (un altro dimenticato Calabrese!) scrivendo al Barone, nel 1847, da Palmi, dicevagli tra l'altro: <<mi confermo (il Cordopatri aveva letto l'Ode che il Barone aveva composto in morte del Galluppi) ognor più nell'idea che da voi ho preconcetta, cioè che voi siete dalla natura sortito ad essere poeta non comune >>.
Il Barone era padrone specie della Canzone e dell'Ode, che gittava non solo, come s'è detto, nella fucina di sentimenti familiari e degli ideali patriottici (si leggano quelle: al Padre, l'Esule, Una pagina di Storia, il Re d'Italia, Napoleone, ecc.); ma di quelle forme poetiche si serviva ancora per ricostruire dati e avvenimenti luttuosi (si leggano quelle in morte del Galluppi e del Ruffa). Mentre per esternare i sentimenti religiosi del suo cuore (poichè era profondamente cattolico) usava spesso il Canto in terza rima (si legga quello per l'Incoronazione della Madonna di Romania). Come per intessere la trama dei suoi affetti umani gentili e cavallereschi, rispecchianti sempre però un cielo di beltà e di purezza di sposo, di padre e d'amico, maneggiava il sonetto. Si legga tra i tanti quello soavissimo ad una giovinetta, che comincia così: <<quando tra i vostri ulivi un dì sorgea - la modesta e felice mia casetta >>.
Il poeta ricorda il tempo trascorso, come insegnante, in uno dei paesi della Piana. Per cui il sonetto serra tutta la melodia religiosa che emana dalle pianure coltivate d'ulivi, dove le sane fanciulle lavorano tra i canti spiegati, mentre il paesaggio s'allarga e il cielo sorride di mistero.

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Ma, leggendo attentamente i canti del Poeta tropeano, specie alcuni di quelli inediti, ciò che colpisce è un senso indefinito e persistente di tristezza, sebbene cristianamente pacata, che è diffusa sulla vena poetica di lui. Come balza agli occhi ancora un vivo e sincero amor di Patria. Amor patriottico, amore verso l'Italia schiava e divisa, che invano cercheremo negli altri poeti tropeani che vissero sino al 1870. Ci sbagliamo?
Il Barone comincia la canzone per la morte del Ruffa: <<Perchè sempre sussurrano le corde - Da la mia lira un canto di tristezza?>>
Ma una nota distinta, tutta sua, vissuta e sofferta, che balza dai suoi canti è l'amore all'Italia. La sorte ria, che per il pane quotidiano lo cacciava di paese, in paese, Palmi, Bagnara, Polistena, Crotone, dove uno stuolo di spiriti eletti nutriva la mente e il cuore delle idealità della Patria in catene e da liberare, mise il Barone a contatto con quei patrioti e con loro soffrì, combattè e scrisse perchè il sogno di Dante si avverasse.
Sono di quei tempi le <<Memorie ed aspirazioni (canti)>>. In esse canta: <<Adolescente ancor, dal natio - Mio loco udia le fere - Sue sventure soventi... - >>
Ma dicevamo ancora che la sua poesia, il Barone, la inondava di una tristezza profonda e sincera, che meraviglia noi stessi. <<Ha dettato dei versi, ma che sempre scaturirono da una vena inaridita ed uniforme, qualè quella del dolore. Lacrime e disinganni ha colto in mezzo al sentiero della vita, ed in essi ispiravasi>>. Così nella prefazione alle poesie stampate nel 1857, a Napoli.
Si leggano nel libro delle Poesie le canzoni: alla Tomba di Teresa (Dal dì che più non sei - Straziante agonia mi fu la vita); alla sorella Antonia
(... logorata dei mali e del cordoglio - questa mia vita stanca - sorella, a poco a poco si consuma); alla Madre (O madre, io agonizzava, non di fatto, ma col cuor colla mente, or volge un anno).
Il suo dolore non era una posa o una corrente letteraria. Ma la conseguenza della sua vita nomade, che consumava nell'insegnamento per avere un pane, che spesso era scarso ed amaro. S'aggiungano le varie sventure familiari, specie la perdita immatura del primo suo figlio - anima squisita di poeta e bella promessa nel campo delle lettere . Infine il vivo amore per l'Italia derisa e calpestata, unito alla nausea che gli suscitava lo spergiuro borbonismo in Calabria, sua terra.
Il ricordo di Luigi Barone lo vive, con animo che mai non cangia, solo il figlio prof. Giovambattista, il quale conserva come reliquie gli scritti del buono e illustre padre; scritti che, glielo diciamo da amici e, sopra tutto da discepoli, dovrebbe regalare alla Sezione <<Calabria>> della Biblioteca Comunale di Reggio, se vuole che non vadino sperduti assieme alla memoria del suo genitore. Ma tra i tanti colti di Tropea chi lo ricorda e lo apprezza? Pochisimi: Ne siamo certi. E questo fa pena! Perchè tanti altri concittadini aspettano d'essere tolti dall'oblio dove li gittò la patria irriconoscente. Sono tutti valorosi poeti dimenticati che, purtroppo, segnarono la fine delle nobili tradizioni della nostra città. Pochi oggi sanno (parliamo di quelli che per dovere dovrebbero e che purtroppo fermano le loro ambizioni alla conquista del pane materiale... ) pochi sanno, diciamo, della vita e delle opere di sì grandi maestri quali furono l'Ippolito, il Ruffa, lo stesso Barone, e (quello che è sconfortante... ) ignorano anche Galluppi!
Purtroppo dobbiamo confessare che, alla fine del secolo, si è assistito al lento disperdersi di tutto ciò che è amore alle lettere, alla scienza, alle arti. Tropea, rispetto al suo passato, chè è illustre quanto remoto, ha subito una decadenza non indifferente e ciò per quel senso apatico di abbandono che oggi pare rappresenti un suo segno distintivo sia nel campo culturale come in quello materiale.
Se le forze ce lo permettessero e venissimo aiutati da quanti ebbero la ventura di conoscere tanti illustri maestri e potessimo fare anche qualche sopraluogo nelle vecchie monche librerie tropeane, noi sebbene vissuti in un'altra generazione, ricorderemmo la vita e l'opera di questi dimenticati
poeti.
Intanto il tempo passa. La polvere si accumula alla polvere. Si sfaldano le preziose librerie. Si attenua la potenza del ricordo, e la ruina sulla decadenza culturale di Tropea diventa più vasta.
Anche noi, a dir la verità conoscevamo poco del Barone: solo i tre sonetti che vennero stampati, accanto a quelli bellissimi di Mons. Morabito nel Numero Unico per il Giubileo sacerdotale del defunto Mons. Taccone Gallucci. Ma ora che abbiamo avuto tutta la produzione poetica del nostro, ci è grato, con questo scritto, che vuole essere solo un cenno commemorativo, e non un saggio critico, ci è grato, ripetiamo, additarlo ai figli, non sempre troppo memori di Tropea perchè ricordino, uno - schiena dritta - e carattere fermo di cattolico e di italiano che nel campo della poesia, senza parlare d'altro, onorò ed onora la sua patria.