di Luigi Romeo
Luigi Romeo nasce il 20 settembre 1926 a Tropea, dove completa nel 1945 gli studi superiori. Emigrato nel 1950 in Brasile e poi nel 1953 negli USA, vi completa - all'Istituto Cultural Franco-Brasileiro (1950-1951) e all'Istituto Cultural Brasil-Estados Unidos (1951-1952) di Belo Horizonte - gli studi universitari, intrapresi all'Istituto Orientale di Napoli (1947-1948). Nel 1957 consegue il diploma di BA in Lingue e Letterature romanze all'Università dello Stato di Washington e nel 1959 e 1960 quello di MA e PhD in Lingue e Letterature romanze all'Università di Washington. Docente in Linguistica (1965 al 1984) e in Lingua Italiana (1965-1968) all'Università del Colorado, ben presto diviene un ricercato studioso internazionale di Semiotica, facendo parte di diversi comitati nella standardizzazione della materia a livello mondiale sia come presidente che come membro. Presso lo stesso Ateneo, è fondatore e componente del Dipartimento di Linguistica (1968-1975), del Circolo di Semiotica (1966-1968), di vari comitati consultivi internazionali sugli Studi Medievali (1965-1969) e di Letterature Romanze (1972-1975), dei quali Organismi è anche Presidente. Instancabile propositore in America e nel mondo della cultura letteraria italiana, svolge nel 1975 una memorabile funzione organizzatrice in diverse manifestazioni di tributo ad Eugenio Montale in occasione dell'assegnazione del Premio Nobel. Nel prosieguo della carriera, Luigi Romeo, continuerà l'attività di docente in diverse Università degli Stati Uniti e del Canada, viaggiando in tutti i continenti, dalla Cina in Sud Africa, per portare alle nazioni il proprio autorevole contributo culturale nelle scienze dell'umano sapere. L'Istituto Superiore Europeo di Scienze Umane di Urbino nel 1969 lo vuole insignire Professore Onorario. Migliaia sono le pubblicazioni che il Prof. Romeo ha prodotto nella lunga e portentosa carriera sia in singoli testi sia in articoli in Riviste altamente specializzate come pure nelle comunicazioni raccolte negli innumerevoli Atti dei vari Comitati/Commissioni di cui ha fatto parte. Abbandonata l'attività dell'insegnamento, dal 1983 in poi ha profuso il proprio estro letterario dedicandosi alla narrativa 'quavellistica' in lingua inglese sotto lo pseudonimo di Miguel Orio (anagramma del suo nome), ottenendo un lusinghiero successo. A tale proposito, viene qui ricordata la trilogia "Torn Tiki", "The Feather Chest: Te Waka Huia", "Ark of Ao Tea Roa". Nel 1998 pubblica "Poesie Canadesi". Dal 2001 vive nella sua città natale. Poesie Canadesi/Canadian Poems è una raccolta lirica ed evocativa di quaranta poesie. Utilizzando un mélange di stili e di forme, essa esplora il retroterra culturale e metafisico del ventesimo secolo in una successione di pensée irresistibili che inveiscono contro le conseguenze distruttrici della modernizzazione e dell'imperialismo culturale. Ricordandosi della massima di Keats che "Ciò che è creativo deve prima creare sè stesso," l'autore ha incorporato Note Esplicative e Storiche che delineano gli antecedenti intellettuali ed emotivi dei poemi. Il contenuto di Poesie canadesi è una vibrante e stimolante antologia di una intensità primordiale, la potente visione della fugacità della natura intravista dall'autore viene pennellata in un modo allo stesso tempo sconvolgente e delicato. Le cadenze e gli Abklingen scaturiscono da uno sfondo culturale completamente diverso da quello, diciamo, di John Keats, essendo i versi di Romeo animati sia dall'ira che da una meditazione metafisica. Le Note Esplicative e Storiche forniscono una testimonianza genuinamente affascinante del processo greativo, il tutto essendo tanto più importante in funzione dell'autorità dell'intuito intellettuale che sta alla base della sua opera.
Perchè il titolo Poesie Canadesi? Certo non perchè siano state scritte in 'canadese', in quanto questa lingua non esiste. Analogamente, nessuno parla o scrive il guatemalteco, il cileno o il belisano. Nè si parla il messicano o il brasiliano, quanto meno da un punto di vista glotto-genetico, benchè si possa con facilità affermare che il brasiliano si differenzia dal portoghese del Portogallo, così come il messicano è diverso dal castigliano parlato in Spagna. Forse un giorno le lingue del colonialismo si differenzieranno a tal punto che ogni idioma acquisterà uno status indipendente. Prendiamo in considerazione la situazione negli Stati Uniti, dove gli animi si scaldano davanti a 'solo inglese', e non 'americano', dopo secoli di uso allomorfo. E' ironico notare come, anche quando il linguaggio aborigeno viene ufficialmente utilizzato, sia esso l'inuit o il checiua, il suo nome non corrisponda ad una precisa nazione di appartenenza, come ad esempio l'italiano corrisponde all'Italia od il francese alla Francia. Situazioni più complesse tendono a generare entità astratte come quelle in Svizzera, dove non esiste uno 'svizzero' standard, come del resto non esisteva uno 'jugoslavo' nell'ex Jugoslavia. Per quanto riguarda il sottotitolo, dunque, devo ammettere di provare un certo disagio nel dover scegliere solo l'inglese, escludendo il francese come 'bicomponente' ufficiale della presente edizione. Perchè allora non scegliere il cree o un altro idioma aborigeno? Il Canadà possiede più di una lingua viva, sia natia che importata. Così ho scelto l'inglese come bicomponente non latino, preferendolo al francese semplicemente per potermi permettere di rivolgermi ad un pubblico più vasto che, diversamente dai Francesi, non ha una particolare propensione verso la lettura della poesia 'Romanza' in lingua originale. Se mi fossi avventurato verso un maggiore policulturalismo, la vastità del mio progetto iniziale avrebbe certamente superato i confini di una possibile pubblicazione per un pubblico più ampio rispetto a quello degli anglofoni. Pertanto, a riguardo dell'aggettivo 'canadesi', mi si conceda l'utilizzo di tale termine per il semplice motivo che le mie poesie sono nate nel Canadà britannico, anche se poi sono state filtrate da un linguaggio quasi-politico denominato 'italiano'. Ciò non è altro che un adattamento di un dialetto pan-toscano dominato dal fiorentino, la seconda lingua che io appresi a scuola mentre mi formavo come Homo politicus in una nazione di sessantacinque anni controllata contemporaneamente dalla monarchia decrepita dei Savoia, dalla tirannia del fascismo dittatoriale e dall'indottrinamento dogmatico di una potenza straniera conosciuta come il Vaticano. Si può dire che, un paio di generazioni fa, tutti gli Italiani erano almeno bilingui. Oggigiorno, a causa della mobilità sociale, il bilinguismo 'interno' è diminuito benchè molti abitanti dell'Italia possano tuttavia definirsi bilingui in quanto parlano, anzi, perfino scrivono, il loro idioma natio finchè non apprendono a scuola un linguaggio comune ed artificiale denominato italiano. Questo vale specialmente per quelle 'isole etniche' dove il greco, l'albanese, il piemontese ed altri linguaggi erano ancora le prime lingue di casa. La mia prima lingua materna fu il calabrese, termine improprio se considerato da un punto di vista genetico, poichè bisognerebbe ricordare che la Calabria geograficamente si collocava non dove la si trova attualmente. Il nome originale sarebbe dovuto essere qualcosa come Bruzzio, poichè tale terra era stata abitata dai Brutii come i Romani avevano chiamato i popoli all'estrema punta dello stivale. Così non sarebbe erroneo dichiarare che Cicerone non era stato in Calabria, pur essendo stato a Vibo Valentia, l'antica Hipponium. Dieci secoli fa la Calabria era nella Terra d'Otranto d'oggi. Per essere preciso, quindi, dovrei dire che la mia prima lingua reale fu il tropeano intra muros, in quanto sia mio padre che mia madre erano nati all'interno delle mura medievali di quella città pre-cristiana che circondavano la cattedrale normanna tuttora esistente. C'era una notevole differenza fra la lingua parlata all'interno delle mura e quella parlata fuori. Nell'immaginazione di mia madre, pochi metri fuori Porta Nuova, abitavano solo i barbari poichè dicevano 'imà' invece di 'mamma' per madre. Così, fino all'età di tre anni, ho utilizzato il tropeano, uno stadio del latino volgare che si era imposto su fossili ellenici, cioè uno sviluppo del latino portato dai cafoni romani che invasero la Magna Grecia circa ventiquattro secoli fa. Più tardi, mi furono insegnati i rudimenti di un toscano colle aspirate sorde fra vocali da un'esule chiamata 'Maestra Nalini' prima che io fossi ammesso alla seconda elementare dove una tale Maestra Bogliaccini mi corresse facendomi cambiare le aspirate nelle occlusive. In un anno avevo fatto salti mentali paradigmatici passando dalle sorde del mio dialetto alle aspirate della Nalini e finalmente alle sonore della scuola fascista, monarchica, e cattolica apostolica romana. La scuola elementare di Tropea, quindi, m'insegnò anche l'italiano scritto imposto da un decreto regio dopo che i Piemontesi avevano vinto una guerra non dichiarata contro il Regno delle Due Sicilie (sotto il cui dominio erano nati entrambi i miei nonni paterni e materni) con l'aiuto di un mercenario ed avventuriero che portava il nome di Giuseppe Garibaldi, il quale era al servizio di un imbroglione, tale Camillo Benso di Cavour, che aveva venduto la sua anima politica agli interessi francesi e britannici nel Mediterraneo. Ironicamente, alla scuola elementare dovetti metter da parte non solo tutti gli etimi greci, ma a volte anche quelli latini, per cui cominciai a dire 'mucca' invece di 'vacca', il che è cosa piuttosto assurda dato che quest'ultimo termine amato da Virgilio e Orazio fu scalzato da un barbarismo portato dal vento linguistico del nord. Ovviamente con la toscanizzazione della mia anima greca, tutti i miei etimi vennero rimpiazzati da parvenu latini e così passai da cuchia a gràndine e da naka a culla per adattarmi ad un dialetto volgare italico che aveva acquisito una posizione coloniale. L'ironia suprema vuole che proprio il mio cognome sia stato spiegato etimologicamente come 'pellegrino che va a Roma' da Romeus invece che dal greco rhomaios, il nome con cui un Greco, dopo l'estensione della cittadinanza romana a tutti gli abitanti dell'impero, soleva chiamarsi. Ciò era avvenuto almeno dodici secoli prima che i pellegrini andassero a Roma, e non certo dalla Calabria dei Cesari. Altrimenti l'ingegnere Vincenzo Romeo avrebbe fatto costruire l'Alfa Romeo a Roma, e non a Arese (Milano). Ho qualificato la mia poesia come 'canadese' semplicemente per il suo diritto di nascita. Unicamente per questo. Infatti le mie poesie furono concepite e nacquero nel Canadà durante gli anni dal 1961 al 1965, quando insegnavo all'Università di Toronto. Benchè il contenuto comprenda temi cosmici, le poesie sono una proiezione retrospetiva di quella breve frazione della mia vita vissuta fra il Canadà ed altre parti del mondo, specie in Italia, nel Brasile e negli Stati Uniti. Durante tale periodo, il Dipartimento di Studi Italiani ed Ispanici, la Scuola Graduata, nonchè tutta l'Università di Toronto, stavano attraversando un periodo quasi rivoluzionario in termini di progettazione, riorganizzazione e persino di crescita fisica. Molte case vecchie situate intorno al tradizionale campus interno vennero demolite per far posto a nuovi uffici accademici, moderne aule e centri di ricerca. Una di queste strutture era la Sidney Smith Hall, un grande edificio che ospitava il cosiddetto 'Godless College', così definito poichè non era affiliato a nessun santo della religione cristiana, diversamente da quelli tradizionali, in cui gli studenti erano soliti indossare quotidianamente berretti universitari e cappe per partecipare alle lezioni. La Sidney Smith Hall, completata nell'autunno del 1961, ospitava fra gli altri alcuni dipartimenti di lingue e letterature straniere. Sotto la guida dell'instancabile Professor G. L. Stagg, un essere umano dinamico, colto ed estremamente affabile che era stato 'importato' dall'Inghilterra dopo la Seconda Guerra Mondiale, il Dipartimento di Studi Italo-Ispanici fu ampliato e ristrutturato grazie al 'nuovo sangue' proveniente particolarmente dagli Stati Uniti e dall'Europa. Arrivò anche un preside della scuola graduata dall'Università di Chicago per attirare professori americani. Per un capriccio del destino, dopo aver avuto un colloquio con il Professor Stagg a Chicago durante la MLA Convention nel dicembre del 1960, ebbi l'onore e la fortuna di essere scelto per insegnare italiano antico, fonetica e poesia medievale. Provenivo dall'Università di Washington, dove avevo conseguito il Ph. D. e dove avevo trascorso l'anno accademico 1960-1961 come assistente in sostituzione del mio direttore di laurea che aveva preso un periodo di aspettativa per insegnare a Montpellier, in Francia. Quindi, di punto in bianco, mi trovai in un ambiente saturo di novità ed estremamente dinamico. In un certo qual senso mi sembrava di essere in Inghilterra, data la presenza di tradizioni tipiche della vita accademica medievale che mancavano sulla costa occidentale americana, anche se nel campus dell'Università di Washington certi edifici, come la Biblioteca Suzzallo, di struttura gotica, conferivano un certo senso di antichità. A Toronto, persino alcuni termini medievali come aegrotat e numerus clausus, venivano utilizzati nelle riunioni accademiche che erano condotte con una formalità che mi incuriosiva e divertiva allo stesso tempo. Altri termini medievali contribuivano a creare in me una sorta di patina immaginaria del savoir faire più squisitamente britannico, delle procedure amministrative che ricordavano quelle nel Parlamento, nonchè della condotta tipica del gentleman. Ma non fu tutto rose e fiori. Fui scioccato dal linguaggio quotidiano, di quell'agire indiretto fra colleghi e studenti (gli Inglesi avevano paura di essere chiamati per nome e 'my dear colleague' era la forma di moda), per non parlare dell'ortografia e delle espressioni idiomatiche che mi erano del tutto estranee. In particolare dovetti adattarmi a dozzine di dialetti inglesi parlati da coloro che provenivano dal British Commonwealth in via di dissoluzione politica. Mi fu più difficile capire i vari tipi dell'inglese dell'Inghilterra che quelli della Nuova Zelanda o dell'Australia. Ricordo specialmente la lingua quotidiana di un mio caro collega che proveniva da Birmingham. Lui insegnava russo, ed io preferivo comunicare in russo che avevo studiato alla Washington State University sotto la guida del Professor Igor Kosin. Questi era scappato dall'Unione Sovietica ed era andato a finire in Cina, dove aveva parlato Sciangainese durante la sua gioventù. Di una rigorosità scientifica estrema (era professore di agronomia, ma assunto temporaneamente per insegnare il russo onde sopperire alle necessità linguistiche di una America 'parrocchiale' avversa alle lingue straniere), dopo il primo semestre d'insegnamento richiedeva che i suoi studenti leggessero Guerra e pace nell'idioma ottocentesco di Tolstoi. I quattro anni trascorsi all'Università di Toronto furono fondamentali per convincermi che l'insegnamento era una piacevole missione per pochi eletti, non soltanto perchè si era a contatto con colleghi colti che provenivano da tutte le parti del mondo ma anche grazie allo scambio culturale, e non solo, che esisteva con gli studenti. Essi, contrariamente ai discepoli americani, erano una miscela di vecchie tradizioni europee e di cauta sperimentazione canadese. Non ho alcuna esitazione ad affermare che sia a livello di studenti che di laureati, gli allievi canadesi furono i migliori che io abbia mai incontrato nelle mie attività accademiche in vari istituti. Diversamente dai programmi americani, quelli a livello graduato erano ancora in fase di esplorazione. In genere era compito del professore scegliere i corsi di laurea, ovviamente da un curriculum già approvato, e tenerne il corso o seminario come attività accademica supplementare parallelamente alla ricerca scientifica scelta dall'insegnante. Quindi, provenendo dall'ambiente 'Far West' di Seattle (la Fiera Mondiale non era stata ancora inaugurata), mi trovai immerso come un pesce fuor d'acqua nel grande calderone della vita di Toronto, tanto cittadina quanto accademica. All'Università sfruttai ciò che stava esplodendo a livello di scienze e lettere umane. Ad esempio, l'informatica si era già affermata, forse anche in modo più attivo rispetto agli Stati Uniti, quantomeno per quanto concerne le sue applicazioni alle lettere umane. Io stesso, anche se per natura diffidente verso l'elettronica, tentai perfino, senza successo, di svelare alcuni enigmi danteschi come quelli riguardanti Papé, Satan ed Aleppe. Avevo fondato il circolo linguistico dell'Università di Toronto (la linguistica era ancora in fasce), ed una delle prime conferenze riguardava le premature nozze di Dante con l'informatica che culminarono coll'immediato annullamento delle stesse da parte della Sacra Rota dell'Ontario che aveva sede a Massey College. Alla poesia era concesso sposare solo la musica e non i computers, particolarmente sotto la rigida sorveglianza dei dipartimenti d'inglese e di francese. Forse solo Marshall McLuhan aveva rivolto il suo sguardo benevolo all'informatica dai piedi d'argilla nel suo villaggio globale di Massey College. Ironicamente, quando arrivai nel 1961, Toronto come città che circondava l'università era più simile ad un grande paese di prateria al di fuori della vita universitaria, un paese con limitazioni di natura sessista che influenzavano anche la vita del campus, senza dubbio un retaggio della mentalità da club privato tipicamente britannica. Avevo cominciato a capire il significato della British privacy che, dopo la burocrazia alle basi di un grande impero e del formaggio Stilton, era stata la più grande invenzione concepita, formulata tacitamente e usata in quell'isola a sentinella di un'Europa decadente. Ricordo ancora chiaramente le restrizioni imposte alle mie colleghe. E quanto mi sentii triste quando, appena arrivato con i panni ancora umidi per aver attraversato l'Atlantico, mi fu permesso di pranzare alla Tavola Alta di Massey College, mentre alle mie colleghe ciò non era consentito se non di mercoledì e se accompagnate da un membro del corpo insegnante di sesso maschile. Quando invitai a pranzo la Professoressa Beatrice Corrigan, la collega più anziana del mio dipartimento, una dolcissima signora di una cultura enorme, mi sentii come un Virgilio fasullo che stava varcando il limbo dell'assurdo. Lei era canadese a tutti gli effetti ed io ero solo 'landed immigrant'. Ebbi l'occasione di riscattarmi da quel complesso di pena e di vergogna in parte quando la Professoressa Corrigan, più anziana di mia madre, mi onorò della sua presenza permettendomi di ospitarla nel Colorado come normale cittadina poco prima della sua morte. La vita 'paesana' di Toronto all'epoca mi colpiva per cose che negli Stati Uniti avevo dato per scontate. Non potevo comprare un giornale di domenica. Non ne uscivano. La domenica non accadeva nulla. Le strade della città erano deserte. Toronto sembrava come una scena di On the Beach. In un qualsiasi luogo pubblico, come ad esempio un cinema, bisognava alzarsi, prima e dopo il film, per guardare la regina d'Inghilterra scendere la scala di un aereo. Non conoscevo la storia del paese e subito mi resi conto che esistevano ancora delle regine. Contai ogni gradino della scaletta mobile, nauseato dall'odore del popcorn, affascinato ed incuriosito dall'osservare come alcune persone tenessero la mano sul cuore per porgere omaggio ad una donna così lontana da Toronto. E pensavo ad un'altra donna, come Beatrice Corrigan, che aveva fatto conoscere nel Canadà la cultura italiana ed aveva ispirato due generazioni di studenti, la donna che era stata il fulcro di studi e di ricerche nell'intera provincia dell'Ontario (non esisteva nulla ad ovest di Toronto), la donna cui non era permesso entrare a Massey College. Forse inconsciamente stavo proiettando la mia emozione su un'altra donna, mia madre, il cui nome era pure Beatrice. Firenze, Toronto, Tropea erano diventate un'immagine stereoscopica in cui si frapponevano tre figure chiave di donne sul mio animo non ancora completamente macchiato dalle sozzure umane. Fu in un supermercato di generi alimentari che cominciai ad imparare il vero processo della burocrazia britannica e delle tradizioni puritane. Dopo aver chiesto dove si trovasse del vino rosso di cui avevo bisogno per preparare del boeuf à la bourguignonne, fui guardato come un marziano. Ma fui gentilmente indirizzato, ed i canadesi di origine britannica sono veramente signori, verso un negozio 'Provinciale' dove osservai il dovuto iter che era senz'altro più impegnativo di quello necessario ad ottenere una patente di guida. Poi dovetti compilare un modulo indicando la bottiglia scelta da una lista appesa al muro in inglese e francese, pagarla in anticipo alla cassa ed attendere di essere chiamato da un altoparlante per ricevere la bottiglia ben confenzionata in una busta marrone. Mi sentii quasi di aver fatto del contrabbando more islamico. Solo dopo essere arrivato a casa mi sentii psicologicamente libero di capire che cosa avessi comprato con tanto di bolli provinciali. E perfino a casa propria non si poteva sorseggiare del vino sul portico a meno che questo non fosse coperto da qualche sorta di tetto, fosse questo fatto perfino di carta. Non si voleva far sapere alle deità abitanti in cielo che sulla faccia terrestre si potessero commettere crimini da sibariti. Nonostante ciò che in un primo momento avevo considerato divertente, la vita culturale a Toronto cominciò a mutare rapidamente in progressione quasi geometrica. In quei quattro anni fui testimone dell'immigrazione di persone da molte parti del mondo, e specialmente dall'Italia. Quasi immediatamente anche i termini relativi al cibo cominciarono a cambiare e si passò, ad esempio, da 'macaroni' a 'paste', che poi diventò 'spaghetti' ed infine 'pasta' come nome generico per tale basilare nutrimento italiano. 'Dago squash' divenne 'zucchini squash', fenomeno che generò una serie di doppioni come 'ricotta cheese', 'prosciutto ham', e 'pizza pie'. Non era un processo linguistico nuovo, chè anche i Romani, infatti, fecero qualcosa di simile, con il caseum formaticum, iecur ficatum in culinaria e via strata in edilizia, lasciando in eredità sia cacio che formaggio, come pure fegato e strada (quest'ultima assorbita perfino dalle lingue germaniche come l'inglese). Insieme alle novità relative al cibo, ci fu una rivoluzione nelle attività delle arti e delle lettere umane. Pittori, poeti e scultori approdarono alla stessa riva con stilisti, cuochi, sarti e artigiani. Attori ed attrici seguivano da presso ballerine e musicisti come riflesso dei film italiani proiettati perfino in sobborghi come Willowdale e Don Mills. La vita quotidiana del paese Toronto divenne quella di una grande città adolescente che si stava sviluppando in una metropoli dopo le attività culturali cominciate attraverso l'O'Keeffe Centre. Ci fu così interazione, specie a livello di scambi culturali, fra la vita accademica universitaria e la vita sociale di Toronto, fatta di fiere artistiche, mostre, sfilate, conferenze, programmi televisivi e via di seguito. Perfino i poliziotti di origine irlandese andavano a scuola serale onde imparare l'italiano. Una delle organizzazioni più dinamiche era The Dante Society of Toronto, ed il Presidente del suo Publication Committee era il Professor Julius Molinaro. Un'altra organizzazione era The Goethe House che cominciò ad affermarsi timidamente quando i Canadesi decisero di iniziare a mettere da parte la loro acredine verso certi episodi della Seconda Guerra Mondiale come quelli di Dieppe. Fra le varie febbrili attività che permeavano l'Ontario meridionale, ebbi la fortuna di trovarmi a contatto con molte persone. A livello universitario potevo approfittare degli incontri quotidiani durante la pausa per il caffè che aveva sostituito in parte il rito del tè inglese a metà mattinata al terzo piano di Sidney Smith Hall. Arrivavano colleghi dai vari dipartimenti che avevano sede in quell'edificio ma c'era una prevalenza di professori provenienti dai dipartimenti di storia, filologia, letterature europee e scienze sociali. Oltre a scambiare opinioni con Julius Molinaro, mi incontravo spesso con Giovanni Sinicropi e, talvolta, con Geoffrey L. Stagg, Ulrich Leo ed Erich von Richthofen. Più spesso incontravo in maniera informale i miei cari colleghi Michael Ukas e Maddalena Kuitunen, spiritualmente più vicini a me, il primo per discutere di poesia, traduzione (cercavamo di lanciare in inglese la poesia di Arturo Fornaro di Zurigo, che aveva scritto in italiano e tedesco), e lingua inglese, mentre la seconda per parlare di pedagogia italiana, biculturalismo (era sposata con un Finlandese) e frammenti giornalieri di vita italiana contemporanea. Entrambi riversarono su di me gentilezza e comprensione con assoluta generosità malgrado il loro stress personale e i pressanti impegni accademici e familiari. Fuori dell'università avevano luogo moltissimi incontri con poeti, pittori, chefs, musicisti, importatori di prodotti gastronomici e ristoratori. Mi piacerebbe poter ricordare tutti i loro nomi per ringraziarli della loro collaborazione con i colleghi dell'università, per aver portato una ventata fresca di vita italiana insieme alla febbre del 'miracolo italiano'. Dopo aver trascorso molti anni fra il Brasile e la costa occidentale degli Stati Uniti, mi sentii completamente rinnovato ed in grado di condividere più da vicino la vita italiana. Durante la pausa per il caffè avevo modo di conversare con Sinicropi di poesia tradizionale e, a volte, anche di poesia sperimentale. Eravamo soliti citare a turno, ed in maniera del tutto casuale, alcuni versi di poesie italiane per poi seguire con tutto il resto. Era come intonare un passaggio musicale dopo le prime note. Io mi ero fermato alla stazione Carducci, incantato dal magico Professor Tavella, un prete che, una volta entrato nella mia aula a Catanzaro, si toglieva la casacca ed obbligava gli studenti ad imparare a memoria lunghe serie di versi da Dante a Carducci. Ho solo un vago ricordo di Pascoli, anche perchè sotto l'influsso del repubblicano Carducci non ero assolutamente in grado di recepire la sensibilità da fanciullino di un'anima poetica. I suoi contemporanei furono appena menzionati, nonostante il nome di d'Annunzio ricorresse una volta malgrado l'opinione allora comune che lo tacciava di essere solo parolaio (forse Tavella era antifascista). A dire il vero a me d'Annunzio piaceva e lo citavo spesso dopo aver sentito più tardi alcune registrazioni di Arnoldo Foà. In particolare mi ricordo 'La passeggiata' recitata insieme al secondo movimento del Concerto per Violino n. 3 di Mozart. Ma il trio più giovane che avevo afferrato nelle mie scorribande e serbato nella mia memoria grazie ad alcune sporadiche letture (Ungaretti, Montale e Quasimodo) emergeva in modo alquanto timido, benchè l'ultimo poeta si facesse sempre più affine al mio bagaglio genetico di immagini poetiche, temi cosmici di sfondo greco e ritmi fonici di languore mediterraneo. E, tra i molto giovani, avevo appena scoperto Francesco Costabile e il suo libro La rosa nel bicchiere che mi lasciò senza parole poichè, nel leggere l'intera raccolta, mi sentii come se fossi stato riportato di colpo nella mia nake. Sinicropi aveva portato con sè dall'Italia le ultime conquiste della cultura e dell'erudizione. Aveva una conoscenza solida ed un senso critico estremamente acuto ed era pertanto in grado di trasformare in Ateneo anche una qualsiasi pizzeria. Era, se non superiore ad alcuni suoi professori, visto che stava lavorando per conseguire un Ph. D. nel mio dipartimento, almeno allo stesso livello per quanto riguardava gli studi italiani tradizionali. E in più germogliavano in lui i semi di qualcosa che sarebbe nato qualora si fosse trovato in un ambiente molto diverso dove emulare e produrre paradigmi nuovi e rivoluzionari. La sua presenza mi rivitalizzava al di là della mia formazione filologica e quindi mi mettevo improvvisamente a scrivere poesie come colpito da una creatività anormale che si sviluppava parallelamente ad alcune sessioni estive che trascorsi negli Stati Uniti. A causa del timore per l'influenza dei Sovieti nella tecnologia e nelle lingue, il governo statunitense organizzò diversi 'istituti di recupero' per formare insegnanti capaci di dissipare quell'atteggiamento ristretto, se non arretrato, degli Americani contro il plurilinguismo. Infatti, l'America a questo riguardo potrebbe essere classificata fra le nazioni del terzo mondo. Così approfittai di tale opportunità ed insegnai presso tali istituti frequentati da professori di scuole medie che venivano da tutti gli stati americani. A dire il vero mi sentivo non tanto di poter stare al passo dei Sovieti, in quanto avevo già avuto l'impressione che tali palliativi estivi erano solo una goccia d'acqua nel mare, quanto di poter mantenere i contatti con colleghi americani e per incontrarne altri, come Glauco Cambon, Itala Vivan, Laura Lilli oltre a coloro che mi furono presentati dal Professor Arthur Selvi e dalla Professoressa Margherita Marchione che si impegnavano moltissimo per mettere a fuoco i contributi delle tante personalità venute ad illuminare le menti transatlantiche. Incontrai fra gli altri il cantante Pavarotti, il quale si ostinò a tenersi addosso il giaccone del suo frack nonostante che a Paterson, New Jersey, la temperatura arrivasse a 99 gradi Fahrenheit e l'umidità a 98. Io capii perchè, ma i miei studenti non avevano nessuna idea di tale formalità. Tutto ciò avvenne molto prima del divampare degli studi sul biculturalismo in tutto il Paese. Fu presso alcuni di questi istituti, come al Central Connecticut State College e alla Fairleigh Dickinson University, che ebbi il piacere ed il privilegio di conoscere il Professor Joseph Tusiani. Così d'inverno giocavo in una palestra intellettuale con i Canadesi e Giovanni Sinicropi mentre d'estate facevo altrettanto con gli Americani e Joseph Tusiani. Erano Sinicropi e Tusiani diversi ma entrambi stimolanti ed appaganti. Tusiani era l'ultimo della specie, l'uomo che aveva portato negli Stati Uniti l'ultima frazione di formazione italiana superiore acquistata prima della Seconda Guerra Mondiale. Era nutrito di cultura classica e non solo era un poeta nato, ma anche un poliglotta ed un uomo di lettere. Era in grado di comporre qualunque tipo di opera poetica in greco, latino, italiano, spagnolo ed in inglese aulico. Aveva un senso innato della sintassi comparata e della metrica che gli permettevano di tradurre da e in qualsiasi di quelle lingue, indipendentemente dalle costrizioni culturali che normalmente emergono durante tali imprese piuttosto masochiste. Ma per Tusiani era un piacere accingersi a tali imprese anche se ad un tavolo di una pizzeria di New Haven, Connecticut, o nella New York Public Library. Era un dotto della filologia, come lo si intendeva in epoca rinascimentale, perchè in grado di rendere disponibili in lingua inglese tutti i classici della letteratura italiana pubblicati negli Stati Uniti. A lui si deve anche il merito di aver fatto conoscere agli Italiani alcuni classici americani a cominciare dalla poetessa Emily Dickinson, le cui poesie erano state tradotte in italiano quando la sua poesia era conosciuta a malapena nella sua patria. Il merito di Tusiani a rendere noto il patrimonio culturale per mezzo della letteratura completava quanto era già stato iniziato da Giuseppe Prezzolini per mezzo della storia e della cultura sotto gli auspici della Casa Italiana di New York. Sono certo che un giorno il contributo di Tusiani verrà compreso ed apprezzato come merita, poichè egli era una persona modesta e timida che fuggiva la volgarità della divulgazione e preferiva la sua attività certosina lontano dalle meschinità della vita accademica delle cosiddette università di élite. La pubblicazione dei suoi 'Collected Works' sarebbe un regalo assai gradito alla cultura italo-americana e alla storia della civiltà umana. Sinicropi era un prodotto della cultura italiana post-Seconda Guerra Mondiale. Portò nel Canadà nozioni dell'Italia lasciata a brandelli da quei voltagabbana della famiglia Savoia. Come Tusiani, Sinicropi incarnava geneticamente la tradizione greca essendo nato e cresciuto nella Magna Grecia, ma fu costretto nel Canadà dai confini 'britannici' piuttosto conservatori entro i quali erano legate le sue mani, così come lo erano quelle della prima generazione di pensatori. Potrei dire che Tusiani era un compositore letterario, come Sinicropi era un musicista letterario, nonchè un direttore, un critico, uno storico ed un interprete, se mi si può perdonare la metafora musicale. Ed infatti Sinicropi fu tanto generoso da voler analizzare la mia poesia incipiente e scrivere una prefazione di tre pagine per Battesimo. Tusiani era un poeta che può star benissimo vicino ad Anacreonte, Pindaro, Catullo ed Orazio nonchè al Petrarca ed al Tasso. Sinicropi era il prodotto dell'intelligentsia europea da Benedetto Croce ad Umberto Eco. Mentre Tusiani preferiva rimanere all'interno delle tranquille mura dello Hunter College a New York, benchè potesse senza dubbio essere accolto dalle università della Ivy League, Sinicropi al contrario scelse la vita turbolenta universitaria americana dopo aver lasciato il Canadà e quindi cominciò ad insegnare ed a pubblicare saggi di alto valore nonostante le pratiche idiosincratiche che affliggono il sistema 'democratico' alla mercè della politica schizofrenica statunitense. Purtroppo persi i contatti con entrambi una generazione fa e pertanto i miei commenti e i miei ricordi possono apparire rozzi e imprecisi. Ho fatto lo stesso con i miei studenti. Colpa mia, ovviamente, a causa della mia 'filosofia' di vita che mi obbliga a vagare per il mondo alla ricerca di me stesso. Ma non li ho mai dimenticati, come non ho mai dimenticato i miei studenti canadesi che non voglio nominare per diverse ragioni, con la sola eccezione di Angelo Gualtieri che aveva l'anima di un poeta e che mi ha seguito alla University of Colorado per conseguire un Master's Degree presso il Dipartimento di Studi Italiani dell'epoca. In quei quattro anni di febbrile attività a Toronto riuscii, durante i grigi weekend dell'inverno canadese, a scrivere, raccogliere e pubblicare due volumetti di poesie. E così ecco i prodotti finali: Battesimo e Trìade americana. Il primo fu sponsorizzato da The Dante Society of Toronto e distribuito dalla libreria della University of Toronto Press. La generosità di Julius Molinaro mi ha permesso di essere il primo in una lunga serie di pubblicazioni sotto gli auspici della The Dante Society. Il secondo fu invece pubblicato in Italia e pertanto fu soggetto a vari errori, di stampa e non, in quanto non mi fu mai data neanche la possibilità di vedere le bozze. Fu Albert Mancini, che incontrai a Napoli durante le mie 'vacanze' italiane, che mi fece rilevare la dubbiosa, se non addirittura falsata natura politica di una certa Alleanza di Scrittori e Giornalisti Latini che pubblicò il secondo volume. Se è così, ringrazio ancora una volta Mancini e non posso fare a meno di recitare un mea culpa a chiunque possa aver frainteso la sponsorizzazione di una casa editrice di cui io sapevo poco o nulla. Semplicemente non ero ancora stato iniziato ai misteri dell'editoria in Italia. Questi due volumi, esauriti da molti anni, vengono ripubblicati in un unico volume bilingue. Nonostante si tratti, fondamentalmente, di un errore giovanile, essi rappresentano comunque un frammento di quanto provavo quando ancora non avevo conosciuto le vicende di una vita in esilio. Ero uno scarto di un'ennesima guerra europea, riuscito a malapena a sopravvivere fisicamente ma non tanto psicologicamente. Qui appaiono con poche modifiche questi due volumetti. Le poesie mantengono il sapore originario dei miei anni canadesi 'poetici'. Tanti anni dopo trascorsi altri quattro anni a Victoria, nella Columbia Britannica, ma lì invece cominciai a scrivere romanzi sotto uno pseudonomo. La mia traduzione in inglese è un'interpretazione pressocchè letterale per facilitare la lettura agli anglofoni in mezzo ai quali trascorsi la maggior parte della mia vita adulta. Solo l'introduzione si distacca a volte in quanto nella versione italiana ho aggiunto alcune osservazioni che sarebbero state irrilevanti per un lettore anglofono. La presenza degli accenti, insolita per il fatto che gli Italiani peccano di anarchia grafica, potrebbe essere utile per quei lettori inclini a cadere nella trappola fonetica dei 'Solisti venéti (sic)'. Per agevolare la lettura della poesia in un contesto storico, al termine di ciascun componimento poetico appare una nota esplicativa. E' consigliabile al lettore leggere dapprima il testo, in italiano o in inglese, senza fare alcun riferimento circa la sua genesi. In seguito, un'analisi comparata e complementare fra quanto il lettore ha inteso e le note esplicative può rivelarsi utile in termine di apprezzamento senza la necessità di ricorrere alla decostruzione che ci starebbe come il cavolo a merenda. Per finire, alcune parole sulle dediche sono necessarie. Battesimo era stato dedicato a Joseph Tusiani ed a Ruth Slonim. Quest'ultima era stata la mia protettrice linguistica informale e non ufficiale durante i mei anni di studi alla Washington State University. In qualità di insegnante di inglese specialista in poesia e come membro del Foreign Students Committee, ha seguito i miei anni più burrascosi a vari livelli. Seppi solo molto più tardi che era lei l'anonima benefattrice che lasciava cesti pieni di cibarie davanti alla mia porta quando, per tentare di sbarcare il lunario, lavoravo come lavapiatti alla mensa universitaria di giorno, e presso un ristorante cinese nel centro di Pullman, Washington, di notte. In Qualità di poetessa, ha infuso in me elementi di sensibilità attraverso i suoi versi pubblicati e non. Essi, ed ancora non lo sapevo, riflettevano echi della poesia di Emily Dickinson e della sua universalità. Arrivando dalla giungla del Brasile, dove lavoravo come interprete per Morrison-Knudsen, trovai nella professoressa Slonim una sorgente limpida di protezione sororale che alleviò il mio shock iniziale durante il passaggio dall'idealismo latino al pragmatismo americano. Per quanto riguarda Trìade americana, la dedica a Ninina, un essere umano che mi ha senza egoismo salvato da vari desideri di farla finita nella mia burrascosa esistenza, è solo il segno di gratitudine ed ispirazione. Il volume aveva in copertina un'incisione fatta dal mio benamato professore di poesia latino-americana, Carlos Garcìa-Prada, all'Università di Washington. Purtroppo non si può riprodurre a causa di difficoltà tecniche. Benchè entrambi i volumi mantengano, nello spirito, la dedica originaria, la presente edizione viene dedicata alla memoria di mio fratello Pasqualino, il giorno del prino anniversario della sua scomparsa prematura a Tropea dove, dopo aver trascorso una vita esule anche lui a Milano, era tornato a visitare le tombe dei nostri genitori. La versione italiana della prefazione e delle note esplicative è stata curata dalla Dottoressa Edvige Romeo, alla quale l'autore è molto grato. Il testo, però, è stato a volte da me modificato onde evitare di fornire informazioni che sarebbero superflue per gl'Italiani.
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