L’UCCISIONE
DEL MAIALE
TRA
PSICOSI ED
ANTICHE
TRADIZIONI
di Carlo Grillo
Si può dire che ormai
la psicosi mucca pazza, dopo essere giunta a maturazione, ha preso la strada
della dimenticanza. Ma che periodo! Si è vissuto dappertutto un
allarmismo esasperato che ha condotto pian piano ad un allargamento del
fenomeno coinvolgendo anche caprini e ovini ( un caso di “pecora pazza”
si era verificato nei pressi di Reggio Emilia) nonché i suini. Per
questi ultimi la minaccia era partita dall’Austria tanto che il Giappone
aveva preso le giuste contromisure vietando l’importazione di carne di
maiale da questa nazione.
E noi che cosa abbiamo
fatto….siamo stati in grado di sostituire degnamente, da un punto di vista
nutrizionale, la rinomata fettina di vitello?
Sulla tavola dei calabresi
non sono mai mancati alimenti come polli, conigli, uova, ceci, fagioli
(molte famiglie che abitano in provincia coltivano ancora il caro orticello
con galline annesse) e soprattutto salsicce, capicollo, soppressate, prosciutto
che derivano dalla tanto amata carne di maiale.
L’allarme sui suini (per
la verità sempre privo di reale fondamento) non ha modificato, come
è avvenuto per la carne di vitello, l’abitudine dei calabresi.
Anche se l’uccisione del
maiale ha subito un notevole calo rispetto al passato (colpa forse del
colesterolo e dei trigliceridi), sono ancora tante le famiglie che amano
fare le provviste grazie alla sua carne pregiata.
Ricordiamo che un tempo
ci si cibava prevalentemente con erbe selvatiche e l’approccio con la carne
avveniva solo in qualche festa comandata, per cui il rito dell’uccisione
del maiale si caricava di enormi significati.
Questo animale, accudito
e governato per lunghi mesi, era capace di far fronte all’intera economia
alimentare della famiglia per un anno intero.
Oggi che il benessere economico
ha baciato quasi (sottolineamo il quasi) tutte le famiglie, questo rito
sopravvive come fatto culturale e di aggregazione.
La preparazione
Circa un paio di mesi prima
iniziano i preparativi degli ingredienti basilari necessari alla lavorazione
delle sue carni. Si pesta il sale, si prepara la passata di peperoni rossi,
si lava il vasellame con la lisciva ed altre operazioni.
C’è ancora l’usanza,
per la mattina dell’atteso evento, di coinvolgere parenti ed amici e ciò
per una duplice finalità: in primis perché all’atto dell’uccisione
c’è bisogno di braccia poderose che abbiano il sopravvento sulla
resistenza dello sfortunato animale, e poi perché assieme a loro
bisogna festeggiare.
Quando il maiale viene
prelevato è come se intuisse l’infausto destino per cui egli lancia
delle grida lancinanti che giungono alle nostre orecchie con tutta quella
sofferenza che possiamo solo immaginare. Ma, essendo le leggi della tradizione
scevre da momenti di commozione, si procede con l’affondamento del coltello
nella gola dello sventurato che procura la fuoriuscita del sangue prontamente
raccolto dalle donne in un recipiente. Questo sangue va rimescolato energicamente
con un mestolo per evitarne la coagulazione, servirà alla preparazione
del sanguinaccio a base di cacao e frutta candita. La caratteristica del
maiale è che tutte le parti del suo corpo, anche quelle cosiddette
di scarto, si utilizzano per un qualche cosa. Ad esempio, la lunga setola
è utile al calzolaio per infilare lo spago nella lesina e riparare
le scarpe.
Terminata la fase della
spellatura, che avviene con coltello ed acqua calda, il maiale viene appeso
al soffitto negli appositi ganci.
Segue ora un lavoro accurato
da parte delle donne che devono lavare per bene gli intestini con acqua
e limone. E’ inutile dire che in questo giorno il pranzo viene preparato
quasi esclusivamente con carne di maiale, ma sulle tavole dei buongustai
non mancano di certo i contorni adeguati e un buon bicchiere di vino.
La lavorazione della carne
inizia la mattina seguente con la triturazione e l’impasto con sale e pepe
rosso, indi si procede alla preparazione di salsicce e soppressate. Queste
prelibatezze vengono legate ben strette con degli spaghi e successivamente
appese, possibilmente in cucina, in modo da potersi asciugare al fuoco
del camino. Dopo ventiquattro ore le soppressate vengono rimosse e messe
soppo peso (da qui deriva il suo nome) poi di nuovo al suo posto e poi
ancora sotto peso. La soppressata, insieme alla salsiccia, è uno
dei simboli della gastronomia calabrese e si usa prepararla sia con pepe
rosso che con pepe nero.
Col maiale si preparano
ancora prosciutti e capicolli (per la verità non all’altezza delle
precedenti) ma anche la ‘nduja, detta “la salsiccia dei poveri” in quanto
si prepara con la carne di scarto, la pancetta che consiste in pezzi di
costolette ben salate, la gelatina (detta anche suzu)…..ecc..ecc. Quante
cose buone…..non per niente “’U pùorcu lìnchia la casa” (Il
maiale riempie la casa), dicono gli anziani contadini che di “maiale pazzo”
proprio non vogliono sentir parlare.