LA MELANZANA
di Giuseppe Polimeni
Se il Maiale è l'indiscusso monarca della gastronomia calabrese1, la Melanzana ne è indubbiamente la regina. Completa la dinastia reale il Pesce Spada: l'<<imperatore dello Stretto>> con chiare funzioni di ministro della propaganda all'estero. La Corte risulta arricchita da tutta una serie di dignitari (legumi, ortaggi, verdure, etc.), apparentemente insignificanti2, ma che, trattati dalle sapienti mani delle massaie calabresi, assumono individualmente spiccate personalità. La cucina in Calabria si configura nel tronco della civiltà contadina: un tronco che affonda però le radici nelle nobili culture magno-greche e dell'Oriente mediterraneo. Questo albero fu arricchito comunque, nei secoli, dagli innesti apportati dalle numerose dominazioni straniere che si susseguirono al governo della regione. Tanti ed eterogenei furono infatti gli elementi e le tecniche culinarie che confluirono nella cultura gastronomica calabrese, anche se nella sua dinamica storica possono essere identificati tre importanti e fondamentali momenti: la civiltà magnogreca, la dominazione araba e quella spagnola, nel corso della quale il mondo allargò i propri orizzonti con la scoperta dell'America nel 1492. Dall'VIII a. C. in poi, la Calabria fu coinvolta nel vasto quadro della colonizzazione della Magna Grecia. I terreni, soprattutto quelli paludosi della fascia jonica, furono prosciugati con ingegnose canalizzazioni in coccio e trasformati in fertili giardini. Piante, innesti nuovi e tecniche agricole importati dai coloni greci diedero un sensibile impulso al parco floristico locale che, grazie anche allo spirito commerciale dei nuovi venuti, incrementò anche l'esportazione con indubbi apporti economici. Le nuove città (Rhegion, Lokroi, Sybaris, etc.) con le conseguenti <<corrispondenze>> tirreniche da esse create, elevarono i vertici della società anche nell'arte, nell'economia e nella politica. L'allevamento ne fu pure avvantaggiato: ovini, bovini ed equini moltiplicarono il loro numero con effetti benefici nei settori delle attività tessili e dell'alimentazione. La gastronomia, grazie anche ai contatti con civiltà evolute come quella etrusca e quelle orientali, raggiunse livelli considerevoli, soprattutto a Sibari. Nuovi prodotti e nuove tecniche culinarie caratterizzarono la vita sociale. A Sibari, ad esempio, i <<makaria>>, originati in Grecia come <<pranzi funebri>>3, entrarono nel comune uso alimentare. Ma l'espansione dell'egemonia romana (specie dal I sec. d. C.) mutò profondamente lo stato sociale delle comunità: le pianure del litorale jonico, venuta a mancare la regimentazione delle acque superficiali per incuria, furono riconquistate dall'acquitrino che motivò ancora una volta la diffusione del <<morbo plasmodico>>. Eserciti provenienti dal Nord (Goti, Visigoti, Ostrogoti, Unni) percorsero continuamente le due riviere determinando seri pericoli sociali e contrazioni demografiche. Nel V secolo il Sud dell'Italia subì una fase di riellenizzazione con la conquista bizantina. Nel VII la fascia collinare dello Jonio fu interessata dalla diaspora del monachesimo basiliano, profugo dall'Oriente per i pericoli dell'iconoclastia e della diffusione islamica. I <<basiliani>> apportarono nel mondo rurale incrementi colturali e culturali. Fondarono <<grange>>, <<laure>> e <<romitaggi>> che calamitarono l'attenzione delle comunità. Nello stesso secolo il nome Calabria si trasferì dalla penisola salentina all'attuale sito, unificando definitivamente Brutium e Magna Grecia. Naturali incrementi qualitativi e quantitativi interessarono pure la gastronomia con arricchimenti di carattere orientale. Dall'VIII secolo in poi, però, le connotazioni demografiche ed abitative della Calabria subirono un'ulteriore trasformazione: le comunità costiere per sfuggire le nefaste pericolosità dei litorali, crescenti anche per le minacciose apparizioni all'orizzonte delle vele saracene, preferirono ritrarsi sulle retrostanti colline, sia per trovare una maggiore salubrità, ma anche per fondare nuovi siti (Motte) più alti alla difesa dai temuti assalti dal mare. Sensibili contraccolpi subirono l'agricoltura, l'allevamento e l'alimentazione. Concentricamente al nuovo paese, si crearono delle fasce destinate alla coltivazione con colture intensive e di immediata autosussistenza, prevenendo di almeno un secolo quella che fu, geograficamente, la <<teoria del Serpieri>>. L'isolamento dei nuovi nuclei abitati, privi specialmente d'inverno delle possibilità di collegamenti con il litorale e con i confratelli centri collinari, costrinse la comunità a produrre in forma autonoma tutto ciò che serviva alla vita sociale. Furono questi i motivi, durati quasi fino agli inizi del XIX secolo, che fecero giungere integri fino ai nostri giorni usi, costumi, dialetti, artigianato, folklore e gastronomia. Serio condizionamento subì l'allevamento, soprattutto nella costa jonica. La fondazione dei nuovi paesi sulle alture, conseguì una trasformazione tipologica per le sopraggiunte difficoltà ambientali: alla pecora si sostituì la più rude capra, al cavallo l'asino, più resistente ai disagi del territorio, al bovino il suino. Queste nuove specie animali erano infatti più adattabili alla natura dei terreni e soprattutto riuscivano ad alimentarsi con i prodotti del sottobosco. Può così giustificarsi la persistente presenza nella gastronomia calabra delle carni suine e caprine. Un apporto qualitativamente sostanziale coincise con il diffondersi, dalla Sicilia, della civiltà araba. Ne fu interessato soprattuto il settore agricolo-alimentare per l'importazione di nuovi prodotti come il cotone, la canna da zucchero, il riso, i nuovi sistemi di tintoria serica e di irrigazione dei campi con le <<norie>> e le <<gebbie>>, l'uso degli itirya (pasta alimentare seccata al sole che evitava l'ammuffimento come nel caso della pasta fresca dei greci), ma soprattutto con l'importazione della melanzana o petronciana, o badanzana (dall'arabo bad-ingiam). Un ulteriore e definitivo ausilio alla alimentazione povera della società calabrese sopravvenne, nel periodo della dominazione spagnola (dal XVI secolo in poi) con l'introduzione di prodotti importati dal nuovo continente americano. Furono i fagioli, i pomidori, il mais, il tacchino che divennero nei secoli successivi l'asse portante dell'alimentazione nelle classi subalterne. Anche i vini si arricchirono qualitativamente con gli innesti provenienti dai vari paesi europei (Francia e Spagna soprattutto) succedutisi al governo della Calabria.
La Carta d'identità
Nome comune: Melanzana. Nome scientifico: Solanum Melangena L. Nome arabo: Bad-ingiam. Altri nomi antichi: Petronciana, petinciana, badanzana, melangena arabicum. Forme dialettali: Mulignana, milinciana, luminciana, etc. Età: indefinibile, anteriore comunque al Mille a. C.. Luogo di nascita: fu originaria dall'India, dove pare giunse dall'arcipelogo della Polinesia. Fu coltivata in diverse varietà ai Tropici e nei paesi temperati caldi e scopi alimentari. In Sicilia prima ed in Calabria poi, arrivò a seguito dell'occupazione araba (VIII/X sec.). Botanicamente può essere definita come <<pianta suffrutticosa annuale della famiglia delle Solanacee. Il suo fusto ha un colore porporino scuro, a foglie ampie, ovate, acute. I fiori sono violacei; i frutti a bacca voluminosa, ovata, oblunga, globosa. Il frutto varia dal violetto al nero con settori chiari nella parte alta: la buccia è spessa e lucida; la polpa è bianca con tendenza al verdognolo chiaro>>4. Contiene piccoli semi morbidi e commestibili. La sua semina ha luogo in primavera in semenzai a letto caldo. Viene trapiantata poi in dimora a solchi, in posizione soleggiata con abbondanti irrigazioni e ben concimata naturalmente (letame) o chimicamente (perfosfato e solfato ammonico). La sua raccolta avviene solitamente in estate-autunno e per una produzione scelta è bene avvenga la cimatura delle piante. I frutti vanno raccolti a 2/3 del loro sviluppo. Ovviamente la coltivazione in serre ha annullato oggi i limiti della semina e della raccolta stagionale. La melanzana viene coltivata anche in varietà ornamentali come la bianca o <<pianta delle nevi>> o la Madras a frutti violetti, gialli, verdi e variegati di giallo e di bianco. Per la sua appartenenza alla famiglia delle solanacee, durante l'ultima guerra mondiale, le sue foglie venivano seccate al sole ed usate poi, in sostituzione dell'introvabile tabacco, per la confezione di sigari e, tranciate, di rudimentali sigarette presso i ceti contadini e pastorali.
A tavola
La melanzana, come tutte le solonacee (dal tabacco alla patata) contiene la solanina, un alcaloide di natura glicosilide. Questa sostanza è amara, tossica e poco solubile in acqua, alcool ed etere. Essa è discretamente tossica per via digestiva e provoca forme di avvelenamento che si manifestano con dolori colici, vomito, diarrea, cefalea, dilatazione pupillare, tachicardia, stato di incoscienza5. Per questi motivi si credeva, in epoca anche recente, che la melanzana causasse la pazzia, tanto da giustificarne il nome come derivante da male insanum. Queste credenze ne ritardarono notevolmente l'uso alimentare nel Centro-Nord. Diversamente accadde al Sud, in quanto la forte insolazione dei terreni favorì la volatilizzazione degli esteri dall'interno del frutto. Completò l'opera di...bonifica alimentare della melanzana la tecnica della pressione sotto sale e della spremitura preventiva operata dalla massaia prima della cottura: con l'espulsione della salamoia (<<salmura>>) veniva eliminata ogni sostanza tossica. Lo stesso avviene, in forma più blanda, con prebollitura in acqua salata. Nelle cucine povere delle classi subalterne calabresi, la melanzana sostituì, a tutti gli effetti, la carne bovina. Questa si preferiva vederla sui mercati per la prelibatezza del sapore e per sostenere l'economia familiare. Molto ricercate, infatti, erano le carni dei bovini cresciuti soprattutto nei pascoli silani ed aspromontani. Un documento del 1410 informa che, per il pranzo nuziale del figlio di re Carlo I a Foggia, furono acquisite centinaia di bovini della Sila6. La melanzana, di facile ed abbondante produzione, divenne il fulcro della gastronomia calabrese. Nella regione si conoscono almeno ottanta maniere diverse di preparazione culinaria. In qualche zona della provincia cosentina si cucinava addirittura commista a cioccolata e pinoli. Nei primi piatti essa accompagna la pasta integrando la preparazione della salsa di pomodoro, oppure frammischiata in fette fritte sugli spaghetti, oppure ancora foderando i tegami e ricoprendo quindi i timballi di pasta. Prebollite e divise a metà e scavernate, ospita pasta lunga condita con la salsa di pomodoro e basilico e quindi <<passata>> in forno. Allo stesso modo, però farcita con pezzi di pomodoro, origano, capperi si usava cucinarla nell'alto Jonio cosentino. Si gusta anche tagliata <<a polipo>>, lessata e condita con olio, aglio, aceto, origano e foglioline di menta. La melanzana diventa protagonista importante nella preparazione di secondi piatti che, sovente nel passato e nella comunità contadina, rappresentavano talvolta l'unica portata. Da sola si mangiava fritta, arrostita sulla brace, a scarpece con olio e aceto, sfritta con aglio, olio e origano ed ancora nelle gustose parmigiane. Questa preparazione risale al '700, all'epoca in cui fu introdotto l'uso della salsa di pomodoro, inventata a Parma agli inizi di quel secolo e diffusa successivamente e velocemente nel Sud. Come la pasta al forno, la parmigiana veniva farcita con pezzi di formaggio, di salame di uova sode. La tecnica era quella introdotta dagli spagnoli della <<tiella>>, basata sulla sovrapposizione di strati diversi di prodotti. La melanzana si combina con altri ortaggi, dando vita a saporiti e robusti piatti come le frequenti caponate (<<ciambotta>> o <<cianfrotta>>) che assomma in gigantesche fritture anche l'utilizzazione di patate, pomodori, peperoni, cipolle. Naturalmente il sistema di preparazione varia nelle diverse località, come del resto quasi tutti i piatti della cucina calabrese. Nei paesi della Piana di Gioia si usava seccarla al sole tagliata a bastoncini e conservarla poi in sacchetti di carta con grossi grani di pepe nero. Diffusissima era inoltre, in tutta la regione, la conservazione sott'olio o sott'aceto, oppure in saporite giardiniere frammischiate ad altri ortaggi e peperoncini piccanti, per essere quindi consumata d'inverno, se non come <<companatico>>, almeno come piatto di mezzo nei pantagruelici pranzi in occasione della <<festa del maiale>>. Lo scopo era quello di eccitare e dilatare le pareti dello stomaco provocando, con i movimenti peristaltici, lo spazio per le successive portate. Impossibile sarebbe comunque elencare tutte le maniere di cucinarla, poichè l'enorme diffusione regionale è stata ed è veramente notevole e variata. Essa costituì l'elemento base di ogni famiglia contadina ed è per queste...benemerenze che acquisì il titolo di regale benefattrice del popolo, ben meritando quindi l'appellativo di Regina della cucina calabrese.
NOTE
1 GIUSEPPE POLIMENI, La festa del maiale, Calabria Sconosciuta, 61, Reggio Calabria, 1994. 2 GIUSEPPE POLIMENI, Lineamenti storici della gastronomia calabrese, Calabria Sconosciuta, 20, Reggio Calabria, 1982. 3 In Grecia i <<makaria>> venivano considerati come <<cibo divino>>, poichè nascevano dalla <<morte>> del grano (molitura) e <<rivivevano>> nell'impasto e nella cottura. Il simbolismo è evidente! GIUSEPPE POLIMENI, Lagane, vermicelli e maccheroni in Calabria, Calabria Sconosciuta, 53, Reggio Calabria, 1991. 4 ENCICLOPEDIA HOEPLI, (voce: melanzana), Milano, 1971. 5 ENCICLOPEDIA HOEPLI, op. cit.. 6 GIUSEPPE POLIMENI, Lineamenti..., op. cit..