L'ARCIPRETE
DI
PARGHELIA
Don
FRANCESCO
RUFFA
O. S. C.
E' il primo sacerdote oblato
che ha spiccato il volo nel Cielo da dove ci guarda oggi, sempre presente
alle nostre anime.
Morì il 25 di Marzo
del '34. Era nato a Drapia (Vibo Valentia) il 12 di Ottobre del 1898. Ordinato
sacerdote nel 1924 da Mons. Cribellati, non ebbe che un desiderio solo
anime e anime!
Parghelia fu il campo del
suo lavoro e del suo martirio: si fece tutto a tutti per il trionfo di
Gesù Signore nelle anime.
D. Mottola e i confratelli oblati sulla tomba dell'Arc. Ruffa
La
sua anima grande dette splendore di realtà vissuta agli ideali di
obbedienza, di povertà, di donazione completa.
Gli morì la mamma
e restò solo, l'arciprete, a chi gli proponeva un conforto, per
la sua vita fisicamente caduta, rispondeva, con un balzo fiammeggiante
d'anima, sul volto emaciato e pallido "no, starò solo perchè
la Chiesa ha bisogno soprattutto di esempio!".
Il 18 di Marzo - nella
giornata sacerdotale ed eucaristica - disse l'ultimo canto della sua anima,
sulla terra agli uomini.
Tre mesi prima di morire
scriveva: "Bisogna uscire completamente dal mondo, vedere, sentire, agire
soprannaturalmente. Avere l'occhio limpido, capace di guardare all'Infinito,
l'udito sensibile alle voci di Dio e alle voci dei fratelli, soprattutto
avere cuore, grande cuore, cuore verace, cuore retto, cuore giusto, avere
carità. La carità è tutto; la sua assenza è
il vuoto, il deserto, il nulla".
Volle per bara quattro
tavole d'abete non piallate e chiese di seppellirlo, tacendo, nella terra
nera sotto i cipressi di Parghelia sua.
Avrebbe voluto essere sepolto
sulla strada del Cimitero, affinchè tutti, passando, lo calpestassero,
tanto era la sua umiltà ed il disprezzo di se stesso.
Ma sulle tavole nude fu
posto un ramo di palma, quella del martirio, in attesa anche noi come sempre
di lui, che il Signore venga!
" Godere quando la croce sarà più pesante
e amare di più e meglio; e lavorare con più lena,
con più gioia con il sorriso sulle labbra e la pena nel cuore
"
(D. Ruffa)
Don Gemelli della Piccola Opera della Divina Provvidenza (Don Orione), scriveva a S. E. Mons. Cribellati, il 20 dicembre del 1935:
Eccellenza Reverendissima
solo giorni fa sono
venuto a conoscenza della morte del caro Arciprete Ruffa. Tale notizia
mi addolorò assai, anche perchè improvvisa ed inaspettata;
ma mi confortava la speranza di avere un protettore di più in Cielo!
Come si svive, così
si muore! Ed egli visse da santo e da santo doveva morire.
Conobbi il Caporal Maggiore
Ruffa nella galleria del Grappa, sotto la Madonnina, alcuni giorni dopo
l'azione militare del 15 giugno 1917: azione a cui abbiamo partecipato,
e quando e l'uno e l'altro sentivamo il bisogno di un amico fedele.
Da quel momento i nostri
cuori si compresero, si fusero in uno, e potrei quasi dire, che l'uno era
il sostegno dell'altro, indivisibili sempre. Ci si trovava al tempo del
rancio, si usciva assieme, si lavorava in ottima armonia quantunque egli
fosse addetto al Comando del prima battaglione del 41 fanteria, ed io alla
Fureria della I Compagnia. I superiori vedevano, sapevano che eravamo chierici,
si fidavano di noi, anche in cose di ufficio, e ci lasciavano fare.
La sua figura buona, calma,
umile, e direi quasi timida, attraeva ed incitava al bene; ed egli non
lasciava sfuggire occasione per compierlo, in ogni tempo e senza alcun
rispetto umano. Furono moltissime domeniche che si rinunziava al rancio
per uscire, ascoltare la S. Messa, confessarci e fare la S. Comunione.
Mi diceva: "Vedi caro Gemelli, siamo chierici e quindi dobbiamo essere
tutti di Dio, e la vita militare non deve esserci di dissipazione spirituale,
anzi qua, più che in Seminario, abbiamo bisogno di Dio e del suo
divino sostegno, se vogliamo conservare ed accrescere in noi la santa vocazione
".
La visitaaa al SS. Sacramento
era immancabile ogni sera che si andava in libera uscita e durava a lungo,
poichè spesso oltre la visita si recitava il S. Rosario e si faceva
un pò di lettura spirituale. Il rimanente del tempo era impiegato
nello studio o in visita ad altre chiese e specie ai Santuari della Madonna.
Dal Deposito Militare di
Savona spessissiomo si andava al Santuario della Misericordia a mettere
noi ed il nostro avvenire nelle mani della Santa Madonna.
Così pure nel 1920
trasferiti col reggimento per circa un mese a Roma, mi fece visitare tutte
le Basiliche e le Chiese principali. E le nostre visite non erano visite
di semplici curiosi, ma Ruffa si infiammava e sapeva infiammare a vera
pietà.
Amava tutti e da tutti
era amato. La sua pietà, il suo zelo tra commilitoni faceva sì
che molti lo avvicinassero, ne ascoltassero i preziosi consigli, si tenessero
lontani dal vizio e praticassero la virtù.
Molti erano anche quelli
che frequentavamo i santi Sacramenti e le lettere delle mamme loro erano
riboccanti di ringraziamenti e benedizioni all'indirizzo dell'angelo visibile
dei loro figli. Parecchi a questi contatti ritrovavano la fede ed altri
un reale miglioramento spirituale.
In vero con sì preziosa
amicizia il tempo del servizio militare fu veloce, perchè bene impiegato,
e quando il 2 gennaio 1921, alla stazione di Savona ci abbracciammo perchè
io venivo congedato, fu un vero scoppio di pianto da ambo le parti e la
separazione molto dolorosa.
E ci siamo tenuti in relazione
epistolare fino a poco tempo addietro e molte di dette lettere (delle quali
alcune debbono essere ancora sparse per i vari istituti delle mie destinazioni)
rilevano il vero affetto alla nostra Congregazione, ed al suo Fonatore
Don Luigi Orione, che il caro Arciprete amava fin da allora, sebbene lo
conoscesse in minima parte e attraverso i nostri discorsi. Non fu religioso
della Divina Provvidenza solo perchè sentivasi legato alla mamma
sua, che intendeva aiutare col lavoro e assistere col suo conforto filiale.
Al colmo giunse il suo
contento quando seppe che uno dei figli della Divina Provvidenza, dal Papa
Pio XI, era stato dato a suo Vescovo e a padre dell'anima sua. Fin dall'ora,
prima che vostra Eccellenza facesse il suo solenne ingresso a Tropea, il
caro Ruffa mi scriveva che aveva fatto voto a Dio di mettersi interamente
nelle mani del Vescovo e farsi guidare come bambino, la volontà
del Vescovo essere per lui la volontà di Dio, e tanto più
che il Vescovo era figlio spirituale di D. Orione, che egli amava con amore
sincero r di cui moltissime volte mi faceva mille domande, desideroso d
sapere notizie, vederla crescere e prosperare.
Ora che non è più
tra i vivi sono sicuro che meglio pregherà dal Cielo per la nostra
cara Congregazione, per V. E. e per questo poveretto, i quale fin d'ora
si promette di imitarlo in parte delle sue virtù sacerdotali, felice
di poter, a suo esempio guadagnare molte anime a Cristo ed essere sì
preparato da meritare di morire nell'adempimento del suo dovere.
Una notizia ancora. Dopo
Caporetto, nella rirtirata, tentò di passare a nuoto il Piave, per
non cadere prigioniero; ma la corrente lo travolse e si sentì perduto.
Fu la Madonna, che gli concesse la grazia di toccare la sponda destra del
fiume, sacro alla resistenza e alla vittoria italiana.
Dopo indossò ancora
la veste nera dei soldati di Cristo, e, nel piccolo Seminario, ebbe l'ufficio
di prefetto e compì i suoi studi filosofici sotto il Rettore Don
Francesco Saragò.