di Mons. Gerolamo Grillo
Richiamando la memoria della
carissima Titina Mottola, non vorrei correre il rischio di offuscarne la
figura che si staglia ancora dinanzi ai miei occhi.
Le caratteristiche più
salienti, che sempre ho potuto cogliere nei miei continui e lunghi rapporti
con la sorella di Don Francesco Mottola, sono infatti, soprattutto il silenzio
e l'umiltà.
Parlando o scrivendo di
lei, potrei, quindi, venir meno all'impegno da me personalmente assunto
con lei stessa di fare tutto per aiutarla e mantenersi nell'ombra.
Più che di lei,
pertanto, vorrei dire invece di quanto talvolta possa attecchire e crescere
al riparo e sotto la copertura di un grande albero.
Preferisco allora uscir
subito fuori dalla metafora, dichiarando esplicitamente che per me e per
tutti noi della Famiglia Oblata il grande albero è il Padre e Servo
di dio Don Francesco Mottola.
In effetti, non ci vuol
molto a comprendere come quest'albero meraviglioso dai rami frondosi e
fruttuosi, abbia consentito che, proprio alla sua ombra, si moltiplicassero
e crescessero tantissimi fiori dalla più svariata natura, i quali
riuscivano a nutrirsi dei raggi solari che sbucavano dalle propaggini della
grande pianta.
In tutti questi anni, così,
abbiamo potuto cogliere non pochi gigli e non poche rose dal misterioso
profumo olezzanti.
Titina è certamente
uno dei fiori più belli nutritisi della stessa linfa del Padre.
E, se di fiori vogliamo continuare a parlare, mi piace raffigurarmela soprattutto
nella semplicità della viola mammola, della margheritina o del mughetto
che Dio, per usare un'espressione cara a Teresa di Gesù Bambino,
ama di più.
Mi piace ricordare Titina
come la viola dell'umiltà, la margherita della verginità
e della castità consacrata, il mughetto del silenzio, della prudenza,
dell'ubbidienza e dell'abbandono totale alla volontà del Signore.
Negli ultimi anni della
sua vita terrena, ho ascoltato spesso la sua Confessione Sacramentale;
così come ella ascoltava pazientemente le mie confidenze. Ogni qualvolta
le comunicavo parte di miei turbamenti, delle amarezze e delle gioie di
un Vescovo, per il quale ella nutriva amore e venerazione.
Era sempre pronta al sorriso
e sapeva rivolgere sempre parole efficacissime di incoraggiamento. Lei
era per me come una continua lampada accesa accanto alle reliquie del suo
dolce fratello Francesco: mi dava sicurezza e mi aiutava a non tirarmi
mai indietro.
Dal Servo di Dio aveva
ereditato, infatti, una grande saggezza, che non le permetteva mai di esprimere
giudizi poco generosi, specialmente nei confronti di tutte le Oblate, nessuna
esclusa.
Seppe far penetrare nella
propria vita, per lunghi anni, le sofferenze e le ebbrezze del fratello,
di cui fu sorella affettuosa e premurosa.
Personalmente avevo grande
fiducia in lei che, dopo la morte di mia mamma, praticamente aveva preso
il suo posto, poichè ella aveva un senso spiccato di maternità
e di comprensione.
Seppe, inoltre, accollarsi,
come è risaputo, le enormi sofferenze della carissima Giuseppina
Tripodi, che ella amò come una figlia. Titina, quindi, come Irma:
vergini e mamme.
Più che parlare,
ella sapeva ascoltare, sgranando gli occhi che, quasi sempre, si imperlavano
di luce e della tenerezza, mentre del suo volto emanava un penetrante sorriso
che andava diritto al cuore, come quello del Padre.
Possiamo, quindi, ben dire
che Titina, unitamente al fratello Don Francesco e alla indimenticabile
signorina Irma Scrugli, debbano costituire per tutti noi un punto di riferimento,
nei nostri continui esami di coscienza, ma soprattutto quando siamo assaliti
da perplessità ed esitazioni.
Non posso fare a meno, allora,
di invitare ancora una volta tutta la Famiglia Oblata, della quale fan
parte anche le <<signore consacrate>>, il cui gruppo ella volle fortemente
ricostituito, secondo i desideri del Servo di Dio, a guardare di continuo
a questa nuova luce che ci viene dall'Alto e che ci invita ad accrescere
sempre di più i nostri impegni di crescita nella via delle virtù
cristiane della Fede, della Speranza e dell'Amore.
Grazie ancora, Signorina
Titina: continua a parlarci e resta sempre con noi ed accanto a noi, mentre
personalmente ti chiedo sommessamente perdono se ho potuto involontariamente
offendere il tuo desiderio di nascondimento.