L'On. Raffaele Mottola
a Vibo Valentia:
il suo discorso politico

di Raffaello Martino
(da "il Faro" del 23 marzo 1929)


Scrivere di Raffaele Mottola, dire delle sue preclari doti di ingegno e di cuore, esaltare il suo apostolato di fede, tessere le lodi per l'impulso dato al fascismo nel nostro paese e per le realizzazioni da lui conseguite nelle opere per il pubblico bene, sarebbe venir meno alla sua quotidiana professione di modestia: qualità questa che ha trovato in lui un efficace esaltatore nel magnifico discorso pronunziato domenica scorsa a Vibo Valentia. Ma noi, quantunque convinti che ogni presentazione è superflua non possiamo esimerci dal nostro dovere di cronisti.
Giovanissimo - è nato nel dicembre del 1892 - Raffaele Mottola incarna pienamente la peculiarità di questa nostra meravigliosa razza bruzia: sublimità di ingegno, onestà di vivere, amore appassionato a le cose nostre, ardimento e slancio generoso. Laureatosi nel 1913 egli portava nell'agone forense, fin dal primo debutto, qualità di oratore forbito e di giurista valoroso, qualità che oggi fanno di lui uno dei più quotati avvocati della Provincia. Fascista convinto e meritevole, Sindaco e Podestà di Tropea, Segretario Politico di questa Sezione, Componente della Federazione Provinciale dal 1926 ad oggi, Raffaele Mottola ha dimostrato di essere degno delle attribuzioni conferitegli, con l'esempio di un'instancabile attività, con una probità che non teme confronti, con un'azione incessante, intelligente, coraggiosa, che curvò le masse ad una disciplina sentita come un dovere, e le portò al fascismo inteso come religione della Patria e fede nell'avvenire. Ma se il suo nome è legato ad un'opera di pionere e di apostolo, opera infervorata di passione, di giovinezza, di entusiasmo schietto e di più schietto sentire, il popolo di Tropea vede anche in lui il realizzatore di tante aspirazioni che soltanto attraverso la sua instancabile attività si sono concretate, e che si assommano in un complesso di opere che va dalla luce elettrica alla fognatura, dall'acquedotto al nuovo piano regolatore della città.
Il delirante entusiasmo, non solo di Tropea ma di tutti i paesi del Circondario, con cui è stata accolta la notizia dell'inclusione del suo nome della lista Nazionale, sta a testimoniare di quanto affetto e ammirazione Raffaele Mottola è circondato: e questo spontaneo plebiscito popolare, più che il trionfo ottenuto e che rappresenta il premio migliore alla sua fatica, sarà caro al suo cuore di cittadino; sarà come il voto augurale - il più genuino - per le  più alte ascese.
Raffaele Mottola porterà alla nuova Camera l'entusiasmo più puro della sua giovinezza, il tesoro della sua bontà e della sua fede, le magnifiche doti del suo intelletto, la sua superba preparazione; porterà, ne siamo certi, l'amore a questa sua terra che lo annovera fra i suoi figli migliori.
 



Vibo Valentia: Palazzo Municipale




Domenica scorsa, Vibo Valentia ha mostrato di quanto ardore è permeata per il fascismo, di quale affezione è legata al Duce. Nel nome del Fascismo, infatti, ha accolto trionfalmente l'Avv. Comm. Raffaele Mottola candidato alla Camera Corporativa. Lo ha accolto con vibrante consenso di tutta la sua cittadinanza e con un delirio di acclamazioni, osannanti al Duce, a S. E. Bianchi, e indirizzati a lui ben degno della investitura.
Detto questo, che è come voler esprimere, in poco spazio e con povere parole, la grandiosa manifestazione che i Vibonesi hanno fatto all'On. Mottola, potremmo anche non andare oltre. Ma per rendere ai lettori nella giusta misura un'esatta cognizione, presentiamo un resoconto a volo: Vibo Valentia, che nel nome nuovo ricorda le virtù antiche, si è vestita di pennoni, di bandiere, di scritte giubilanti; e si è raccolta alle sue porte per potere accogliere, qual cosa di sua appartenenza, il Candidato che giungeva dalla vicina Tropea. E lo ha serrato nelle sua braccia e lo ha portato, fra gli evviva, per le sue vie, al palazzo del Comune. L'avv. Mottola ne è rimasto commosso ed ha voluto dare subito il saluto suo e della sua Tropea a Vibo Valentia ch'egli sentiva di amare e che oggi riama con vigore nuovo. Applausi, inni fascisti, dalla piazza del Municipio, a non finire.
Dal Municipio, con tutte le Autorità, l'Avv. Mottola si è recato al Teatro Comunale dove, già fuori e poi all'ingresso, un'ovazione interminabile lo ha salutato.
Il teatro, gremitissimo d'autorità, di cittadini d'ogni ordine e ceto, dagl'intellettuali alla massa dei lavoratori del braccio, dall'aristocratico al plebeo, non è stato capace d'altra folla che s'è dovuta rassegnare ad attendere fuori l'eco dell'orazione che noi qui riportiamo.
Ci si consenta aggiungere che accanto al Podestà Avv. Domenicantonio Basile, il quale ha detto belle parole d'introduzione sul discorso del Comm. Mottola, stavano le Associazioni cittadine con bandiere e maggiorenti, il Fascio col Segretario Politico Prof. Umberto Salerno, i Sindacati, i Balilla, le Piccole Italiane, il fascio femminile, la Milizia, il Dopolavoro, l'ufficialità del Presidio, ed un numero stragrande di professionisti che non possiamo nominare perchè cadremmo in spiacevoli omissioni, dato che erano presenti le rappresentanze di tutti i paesi del Circondario. Ed ecco il testo dell'importantissimo discorso dell'On. Mottola, interrotto e sottolineato con frequenza da applausi ed evviva:


Vibo Valentia: Teatro Comunale

<<  Camerati, Signori,

Sono lieto di essere stato prescelto da S. E. il Prefetto a parlere qui.
Anzitutto sono lieto perchè mi onoro di avere effettuosi amici tra voi, che mi conoscete fascista di convinzione e di fede. E' solo in questo atto di fede che io metterò avanti la mia persona. Di me non debbo parlarvi. Uno dei comandamenti del Duce è quello di mettere da parte ogni personalismo. La lista Nazionale ci assomma tutti e ci eleva nella espressione della volontà del regime. Basta con i personalismi: il regime non li conosce. Una sola eccezione è costituita dal Duce, ma si tratta, più che di un uomo, del genio e della sintesi della rivoluzione fascista.  Al di fuori di Lui, nessuno: e ammonisce il Segretario del Partito che noialtri siamo disposti a sparire tutti, uno per uno, se il regime lo richiede e il Duce lo comanda.
Il mio compito è definito dallo ordine avuto dalle superiori gerarchie: a questo compito potrò soltanto mancare se penso che la mia parola non è atta ad illustrare, sia pure a grandi linee, l'azione di rinnovamento e di ricostruzione del regime, il valore profondamente politico e sociale della Camera Corporativa e il significato di queste Elezioni Plebiscitarie. Bisogna intendersi subito sul valore di queste elezioni.
Con una mentalità liberale si può trovare, anzi è naturale che si trovi inutile una elezione, ma il plebiscito del 24 prossimo è la logica conseguenza di quella originale concezione ideata dal Duce che si va sviluppando nelle istituzioni dopo di essere stata sperimentata nella pratica. Oggi l'investitura viene dall'alto ed è bene che sia così, non soltanto per quello che è una esperienza pratica dei tempi trascorsi della cuccagna elettorale, ma anche per motivi rigorosamente scientifici. Il numero non risponde a capacità: la risultante del numero non è una somma ma un prodotto nuovo e diverso: un peggioramento e non un miglioramento selettivo. La vita politica e morale di un  popolo non si può ridurre ad una operazione matematica. Tolto il criterio di scelta, la elezione conserva però tutto il suo valore sostanziale e morale in quanto è manifestazione di un consenso che non va più alle persone ma investe tutto il Regime. E' una celebrazione ed è un rito; ma è anche la base dello Stato Fascista che ha il suo presupposto nella volontà del popolo Italiano e che si esprime non soltanto col sì dei milioni di iscritti ma ancora con la tradizione della nostra grandezza imperiale.
Questa elezione non è neanche la negazione della base costituzionale dello Stato. L'angustia di uno o di pochi, di una classe o di una casta che non contenevano, come era essenziale nei governi assoluti tutta la vita della Nazione e che pur detenevano tutto il pubblico potere, è oramai sparita. Nella concezione fascista è tutto un popolo organizzato sulla base della produzione. Tutti gli elementi di questa trovano posto in un Partito ove si tempra il carattere, si prova la fede. E ne balza fuori una magnifica falange di sacerdoti nella fede della Patria, che non è casta e classe, ma la Nazione operante, e in questa falange il Regime presceglie coloro che debbono più avanti portare la fiaccola. E come consente al più umile Segretario Politico del più umile paese di assurgere alle responsabilità dei gradi più alti senza insuperbirlo, consente al Gerarca di rientrare con gioia nei ranghi quando il suo dovere ha compiuto. I presupposti del sistema rappresentativo sussistono così in questo alterno avvicendarsi di uomini alle maggiori responsabilità, quasi impersonali artieri della marcia della Nazione. Il partito offre le reclute, ma il Fascismo è la Nazione. Ne risulta una scala di valori umani che conduce alla Gerarchia: e al vertice di questa piramide sia un uomo che è la espressione della stirpe e ne interpreta volontà e destino. Si è chiuso il tempo dei variopinti carnasciali elettorali che sboccando fatalmente in un edonismo trionfante, disperdevano e avvelenavano le vitali energie del nostro popolo meraviglioso.
Chi ha seguito il processo di formazione e di deformazione, lo sviluppo e la degenerazione involutiva delle varie democrazie nostrane, specie di quella socialista, sa bene che le inquietudini anarcoidi, le deviazioni, le aberrazioni delle masse sono da imputarsi ai depositarii di una autorità che si risolveva sempre in disordine, in ingiustizie, in danno del popolo. La malfamata categoria dei passati gerarchi non ha mai adoperata l'autorità di cui era investita dal basso come uno strumento di realizzazione della volontà popolare, e col pretesto d'interpetrare la volontà delle masse, trasformava in elemento politico il proprio temperamento personale. Questa Camera Corporativa invece, nei suoi designati dal Regime col consenso del popolo italiano, è la logica conseguenza dei principi fascisti di fronte alla questione sociale. Iniziatosi il fascismo come movimento politico antidemocratico e antiliberarale non poteva condurre che alla supremazia dello Stato. Lo Stato liberale agonizzava alla mercè degli uomini e dei gruppi contrastanti: il fascismo lo ha ricostituito nella sua necessaria efficienza e funzione. E' questa l'idea - forza di Mussolini; è questa la suprema legge che regola la vita della Nazione e del popolo italiano. Contro gli eccessi dei principi di libertà, si riafferma il principio di autorità. Alla disorganizzazione e alle prepotenze, subentra lo  spirito di ubbidienza e il senso della disciplina; disciplina che prima non era imposta mai in funzione di un convincimento ideale o di un interesse collettivo, ma sempre in funzione di un prepotere personale.
Così il fascismo ci ha dato uno Stato forte al di sopra e al di fuopri di ogni competizione capace a minarne le basi. La fine del parlamentarismo come istituzione degenerativa e parassitaria, la legge sul primo Ministro, quella di P. S., la riconosciuta autorità dei Prefetti e la istituzione del Podestà tra l'altro ci hanno dato lo Stato. Ed è così che, sorto come reazione ad una situazione di dissolvimento materiale e spirituale, attraverso il fermento benefico dei fattori di patriottismo eroico della guerra, questo Stato si identifica con la Nazione. Ciò valeva a porre e risolvere la questione sociale, perchè il fascismo non poteva essere e restare estraneo alla produzione ed ai rapporti tra i singoli elementi che la costituiscono.
Vi è fatalità ci contrasto tra capitale e lavoro?
Il fascismo rispose di no. La guerra aveva visto morire nelle contese trincee il ricco signore e il modesto operaio, simbolo ciò della più alta solidarietà nazionale nella comunanza della morte per la Patria.
Non vi è fatalità e lotta, ma necessità di accordo. Lo Stato liberale agnostico aveva lasciato senza tutela i deboli, disinteressandosi dei rapporti tra i singoli elementi della produzione. Mancava ai suoi fini di guarentigia e di difesa. Lo Stato fascista si organizza invece sulla base della produzione, proclamando che il lavoro è un dovere sociale e come tale lo protegge e lo regola.
La Carta del lavoro, lo storico documento voluto dal Duce come atto fondamentale del Regime e i cui punti programmatici, come ebbe a scrivere in una lucida sintesi S. E. Bottai, consistono nella subordinazione del diritto del singolo all'interesse generale e la parità delle classi individuate nelle rispettive organizzazioni, di fronte allo Stato; nella supremazia di un principio etico nell'ordine economico e la sintesi di tutti questi motivi nel fatto politico, e cioè nello Stato, è un documento storico di decisiva importanza.
Così fu raggiunta la giustizia sociale, così fu raggiunta la Pace nel popolo Italiano.
E fu raggiunta, Signori, anche la libertà. Gracchi ancora qualche rinnegato di oltre confine che il popolo Italiano è sotto l'imperio della schiavitù; noi proclamiamo che se una coazione vi è stata  e una coazione ancora sarà, questa sarà necessaria perchè è l'Italia che reagisce contro un male per vincerlo, sarà necessaria sopratutto finchè vi sarà una delinquenza che attenterà alla sorte e al destino immancabile della Nazione. Noi ripeteremo che soltanto mercè questa sapiente opera di restaurazione sociale e politica, attraverso questa libertà che consegue giustizia e progresso, non prepotere, aberazioni, soprusi, si poteva raggiungere l'unità spirituale del popolo, si potevano valorizzare le energie produttrici della terra, delle opere, degli uomini.
E' scomparso definitivamente il contrasto tra Nord e Sud, contrasto intorno al quale si sono esercitate tutte le retoriche comiziali e che oggi invece è soltanto costituito da una nobile gara di lavoro e di opere. Dinanzi agli occhi del Duce sia, superba, la visione di Italia tutta; e dai monti al mare, dai fiumi alle pianure, in quella configurazione della penisola rievocata dal Duce nel Discorso del 10 ultimo, ovunque fu scavato un solco profondo.
Furono opere edilizie, opere portuarie, di bonifica, di irrigazione.
Dal 1922 al primo esercizio finanziario 1927-28 sono stati spesi dieci miliardi per opere pubbliche, dei quali, detratti quattro miliardi per impieghi di carattere generale, più della metà è stata destinata per l'Italia meridionale ed Isole. Nella nostra Calabria mai l'attuazione delle provvidenze è stata così intensa e benefica come in Regime fascista. In altri tempi si disse, ed è vero, le opere pubbliche in Calabria erano soltanto elettorali: erano le promesse della vigilia e le delusioni della festa. Oggi sono ponti e strade inaugurate nell'ottobre scorso, sono chilometri di nuove vie di comunicazione: sono molteplici le opere contrassegnate dal fascio littorio. E' vicina a noi quella opera di bonifica di S. Eufemia che darà all'agricoltura centinaia di ettari di terreno coltivabili e toglierà la malaria ai migliaia di nostri lavoratori. Non c'è comune che non abbia ottenuto, se richiesto, un contributo statale per la costruzione di acquedotti: Parghelia, soltanto in regime fascista, ha avuto il suo  piano regolatore e cinquanta case popolari. Tropea, dopo venti anni di lotta, ha potuto vincere resistenze d'interessati che sembravano invincibili, abbellendo la città di un nuove rione.
Ma dispensatemi di ripetere la lunga teoria di cifre, di dati; di elencare tutte le realizzazioni conseguite in questa nostra provincia dal Governo fascista. Concedetemi soltanto che io interpreti il pensiero di voi tutti e mandi un ringraziamento e un devoto saluto a un figlio eroico della nostra Calabria, a Colui che, seguendo fedelmente il pensiero e la volontà del Duce, ha portato tra noi questa meravigliosa rinascita di opere e di energie, al glorioso Quadrumviro della Marcia su Roma S. E. Michele Bianchi.
Ed è lo Stato ancora che ha risanato la morale del popolo, che ha dato lo slancio alla educazione fisica, fattore importantissimo per l'avvenire dei popoli; che protegge la maternità e l'infanzia con una legge che fu ritenuta una delle più perfette del regime; che ha inculcato ai giovani il sentimento della disciplina e dell'amore di Patria con l'organizzazione dei Balilla e delle Piccole italiane.
E infine, a raggiungere la più compatta unità di energie e di ideali, un ultimo atto mancava perchè l'unità spirituale del popolo fosse raggiunta pienamente, e quest'atto è venuto di recente con la conciliazione tra Stato e Chiesa che acquieta, nella soluzione voluta dal Duce, la coscienza di milioni di cattolici Italiani e consacra con la tradizione del Cristianesimo e del Cattolicesimo il destino imperiale di Roma Italiana.

Camerati, Signori,

Abbiamo a capo un Uomo che, mentre risolve con coraggio e con genio i più gravi problemi di politica interna ed estera, non disdegna di sentire nell'umile colloquio e nella disadorna istanza la voce della pietà e del bisogno.
E l'Uomo per Cui noi respiriamo un'atmosfera di sicurezza e di pace; è l'Uomo che ci ha ridato la fede nella grandezza della Patria.
Il nostro è un popolo generoso che ha tradotto nella sua essenza e nella sua costituzione il principio della solidarietà sociale della collaborazione di classe, perchè principalmente è il nostro contadino, il nostro bracciante, che è andato all'estero e con il suo lavoro ha conquistato il campo che coltiva direttamente essendo insieme e datore di lavoro e lavoratore.
Questo nostro popolo, seguendo l'ordine del Duce, ha dato prova di amarlo; lo ha proclamato il suo condottiero, il suo profeta, il suo eroe. Perchè il Duce è veramente l'eroe che vive nella sua opera e l'opera vive in Lui ancora più bella e grandiosa; che conosce la sua strada e la sua meta; che ha restaurato l'autorità, la fede, l'eroismo, contro lo spirito scettico, critico, razionalista e illuminista dell'occidente e del settentrione; che ha difeso la nostra libertà istintiva e tradizionale e il potere delle nostre gerarchie contro gli ultimi aspetti politici della sorpassata democrazia. Egli ha sofferto in se medesimo tutto lo storico dramma del suo popolo, ritrovando in se la ragione della nostra inguaribile antichità, consentendoci di offrire la sublime esperienza della nostra seconda rinascita. Perciò il Candidato a questo plebiscito di fede e di amore sarà uno solo: Mussolini.
Voterete voi per il Duce che incarna, assomma, personifica l'esperienza nuova e antica, l'eroismo e il genio universale della nostra stirpe? >>

Un grido solo, un sì formidabile scoppia nella sala, mentre l'uragano di applausi si protrae per parecchi minuti.
Il Comm. Mottola, celebrata così la viglilia del Plebiscito, commosso e soddisfatto dell'entusiasmo destato per il Duce e per la nuova Camera Corporativa, ha lasciato il teatro.
Fuori la folla lo ha ancora salutato con una più intensa manifestazione, che si è rinnovata in un ultimo delirio alla partenza del nostro Onorevole verso Tropea.
Mentre andiamo in macchina ci giunge notizia dei telegrammi spediti dall'On. Mottola al Podestà e al Segretario Politico di Vibo Valentia. In essi vi è l'espressione dell'animo grato del candidato per i festeggiamenti di domenica. Ci giungono ancora i commenti entusiasti della città di Vibo stessa al discorso del Comm. Mottola, discorso che ha avuto di già ampia ripercussione negli ambienti politici della regione.