Il Museo dell’Emigrazione
"Giovanni Battista Scalabrini"
di Francavilla Angitola/Vibo Valentia
di Franco Vallone
Il Museo dell’Emigrazione "Giovanni Battista Scalabrini" ha da qualche anno una nuova sede espositiva a Francavilla Angitola, in provincia di Vibo Valentia. Francavilla Angitola, piccolo paese dell’entroterra della nuova provincia di Vibo Valentia, aveva tutte le carte in regola per poter essere sede di quello che oggi si configura come punto di riferimento nel settore dello studio dei fenomeni delle migrazioni. Francavilla Angitola è, infatti, esso stesso paese di emigrazione, più di mille dei suoi figli sono sparsi in tutto il mondo, in Europa, in America, molti concentrati a New Rochelle a pochi chilometri da New York, tanti altri in Brasile e in Argentina. La scelta di intitolare il museo a Giovanni Battista Scalabrini era stata fatta nel 1996, e allora questa determinazione presa dallo scrivente, direttore del museo, era stata criticata da alcuni membri della Chiesa locale. Non è stato facile avere la meglio in questa vera e propria battaglia, ma si è voluto insistere molto su questo in quanto la figura di Scalabrini, beatificato poi da SS. Giovanni Paolo II, caratterizzava in pieno la nostra visione e la giusta lettura del fenomeno dell’emigrazione. Giovanni Battista Scalabrini, vescovo e apostolo degli emigranti, è stato punto di riferimento per milioni di emigrati che hanno attraversato l’Oceano. Il Museo dell’Emigrazione "Giovanni Battista Scalabrini" nasce in modo singolare: un missionario scalabriniano, padre Maffeo Pretto, scopre a Favelloni di Cessaniti un vecchio baule del 1910 pieno di memorie di un emigrato in Argentina. Decidiamo in un primo tempo di utilizzare il materiale in modo organico e allestiamo una mostra denominata proprio "Il Baule dell’Emigrante". La mostra nel 1989 viene allestita per la prima volta a Vibo Valentia all’interno del locale Museo di Arte Sacra del Duomo. Successivamente, visto l’interesse del pubblico, la mostra diviene itinerante. Vengono allestite esposizioni in occasione di conferenze sull’emigrazione a Favelloni di Cessaniti, Briatico, Filandari in provincia di Vibo Valentia e a Reggio Calabria nei locali dell’Accademia Statale di Belle Arti. La mostra durante le esposizioni recupera tantissime donazioni di privati: documenti, immagini, oggetti e fotografie. La piccola mostra del baule dell’emigrante s’ingrandisce sempre più ed è a questo punto che si cerca di dare una sede espositiva idonea e prima di tutto stabile e permanente. Nasce l’idea di un museo dell’emigrazione ma le difficoltà per trovare dei locali idonei sono tante, alla fine il museo viene ospitato nelle sale di un antico convento di Vibo Valentia dove viene inaugurato il primo marzo del 1995 dai coniugi Reginald e Margaret Green, genitori del piccolo Nicholas, e diviene subito meta di numerosi visitatori che arrivano da tutte le parti del mondo. Migliaia sono gli emigrati che ogni anno visitano le sale del museo e leggono tra le righe di altri emigrati che prima di loro hanno tracciato frasi in lingue che non sono più italiano, ma non sono neanche francese, spagnolo, inglese o tedesco. Emigrati che hanno mandato in Italia tanti sacchetti di caffè brasiliano, lettere struggenti con dollari americani, canadesi e australiani, sigari, fotografie e tanta nostalgia. Oggi, dopo più di centocinquanta anni, l’emigrazione continua pur se nel suo naturale cambiamento a far partire, dai nostri paesi, migliaia di giovani che cercano lavoro nella nuova Europa, oltreoceano o semplicemente al Nord Italia. Certamente, come scrive la rivista "I Viaggi di Repubblica", il museo dell’emigrazione è il museo più curioso della Calabria e menzionato tra quelli più curiosi d’Italia, ma aggiungiamo noi, vuole essere un punto di riferimento attuale e moderno con il mondo degli emigrati di oggi, pur non dimenticando quelli di una volta. Il museo ha collaborato alla realizzazione della mostra dell’emigrazione italiana in America, svoltasi a Ellis Island New York nel 1997 grazie agli indimenticabili Paolo Cresci di Signa e Padre Gianfausto Rosoli, due tra i più grandi esperti dell’emigrazione italiana purtroppo oggi scomparsi. Nel 2000 il museo viene invitato alla Fiera del Libro di Torino per una esposizione presso lo stand della Regione Calabria curato dall’Associazione Editori Calabresi. Il museo di Francavilla Angitola più che tracciare un’analisi di tipo storica si inserisce e identifica nell’ambito antropologico, con una cronologia che parte con documenti del 1860 e comprende materiali e documenti che arrivano fino ai nostri giorni. Il vecchio baule dell’emigrante oggi è diventato una moderna Samsonite e la sgangherata nave, che solcava il mare grande come il cielo, è stata sostituita da moderni jet, gli operai dei mestieri di una volta sono oggi industriali e personaggi importanti della vita politica, sociale e industriale di tutto il mondo, ma in fondo, nel profondo del cuore le nostalgie sono sempre le stesse, quelle non cambieranno mai. Calabria, Buenos Aires, New York e Montevideo, Francavilla Angitola, Cessaniti, Briatico, Argentina, Italia, Favelloni, America… paesi, città, stati, regioni diverse di questo grande, nostro piccolo mondo sempre più globalizzato e globalizzante. Le due statue policrome e inghirlandate di tutto punto di San Basilio Magno, protettore di Cessaniti, e della Vergine Santissima della Lettera, venerata nella frazione Pannaconi, avanzano lentamente assieme, tra la gente, in una processione un poco più corta del solito. La marea di gente in movimento prosegue lenta in un itinerario processionale anche al di là dell’Oceano. Le due Cessaniti, quella calabrese e quella in Argentina, si guardano allo specchio con San Basilio e la Madonna della Lettera, Cessaniti e Pannaconi, portati sulle spalle, come ogni anno, come al solito, dalla stessa gente di Cessaniti sparsa nel mondo. I calabresi escono fuori dalle loro case, come formiche, si ritrovano e si riuniscono ancora una volta per le strade assolate di Buenos Aires. Dopo la messa portano fuori dalle chiese i loro santi, ricordano i passi del loro paese per ringraziare, per fede o per abitudine, per rinnovare il rito e il senso più profondo dell’unità della loro comunità, nella consapevolezza di vivere in una lontananza obbligata, in una terra straniera oramai divenuta ritualmente familiare e quotidiana. Un rito per sentirsi, almeno per un attimo, a casa e per pensare, ancora una volta, con nostalgia, ad un vicino prossimo ritorno in Calabria. Il festante corteo avanza faticosamente tra le auto in sosta, tra la gente del mondo nuovo, con la nostalgia nel cuore nel ricordo dei parenti lontani, degli amici e dei conoscenti, delle strade di casa o di chi ormai non c’è più. I cessanitoti si stringono l’uno con l’altro per stare assieme almeno un giorno, ancora un giorno nel ricordo della loro festa. Una strada, quella che si attraversa, fatta di migliaia e migliaia di chilometri di mare. Un viaggio che anche Italiano Domenico di Favelloni si fece nel lontano 1910 su un bastimento sgangherato. Le partenze avvenivano abitualmente da Napoli, o da Genova e poi si affrontava l’infinito Atlantico fino a Buenos Aires. Di questi lunghi viaggi Domenico Italiano ne fece tanti, alcuni sono anche testimoniati dai suoi biglietti d’imbarco. Uno di questi interminabili viaggi lo fece nel 1928 col vapore, di bandiera italiana, "Augustus". Il biglietto di viaggio testimonia il camminare per il mondo di Domingo. Da Favelloni a Napoli e poi scalo a Genova prima di prendere il largo nell’oceano. Il giorno della partenza da Napoli è il 6 luglio, la cabina che gli tocca e gli consegnano è la numero 686, il letto B, il biglietto è lo 001004. Domenico Italiano ha trent’anni, ed è uno dei tantissimi giovani calabresi in cerca di lavoro, di fortuna e di una nuova vita al di là dell’Oceano. Oggi riusciamo a conoscere anche il menu della cucina del bastimento e sapere cosa Domenico Italiano ha potuto mangiare in quei giorni di viaggio. Il menù di bordo, giorno per giorno, prevedeva tra l’altro pasta all’acciuga, baccalà in umido con patate, pasta e ceci al lardo con patate, carne al ragù con cipolle cotte…..stiamo anche pensando di recuperare questo particolare menu, e con il museo dell’emigrazione intitolato proprio a "Giovanni Battista Scalabrini", vescovo degli emigranti, con la collaborazione dei comuni di Francavilla Angitola e Cessaniti, di realizzare, per la prossima estate, una serie di giornate gastronomiche, in cui si potranno degustare proprio quelle pietanze che Italiano Domenico in quei quaranta giorni di mare ebbe modo di assaporare. Con il suo biglietto di terza classe economica, un pezzo di carta, piegato in due, di colore rosso, il signor Italiano affrontò il primo mistero di quello che veniva definito altro mondo tanto era lontano e sconosciuto, il secondo, quello definitivo e infinito, lo avrebbe affrontato molti anni più tardi, nella sua Favelloni Piemonte, dopo il ritorno dalla ‘Merica. Domenico Italiano partì per l’Argentina con il suo baule dell’emigrante ritrovato anni dopo da Padre Maffeo Pretto, scalabriniano calabroveneto in missione nel Sud Italia proprio per studiare il fenomeno delle migrazioni. Quel baule è oggi un simbolo prezioso e famoso, guardato con gli occhi incantati da migliaia di visitatori provenienti da tutto il mondo, sguardi colmi di retorico e del nostalgico nel museo dell’emigrazione di Francavilla Angitola. Ieri quel baule è servito come utile contenitore delle povere cose di Domingo. Un corredo per il corpo e per l’anima. Tanti santini, uno per ogni bisogno, san Francesco per il viaggio, santa Lucia per la vista, …. E poi una coperta, maglie e mutandoni di lana, un coltello per il pane, un rasoio e un pennello da barba, documenti e fotografie della famiglia lasciata al paese, lettere sgrammaticate mai inviate e mai arrivate e tanti ricordi infiniti. Oggi ancora una bella e inattesa sorpresa: dopo l’uscita di alcuni volumi sull’emigrazione calabrese ("Il Baule dell’Emigrante, il bagaglio della memoria"; "I Calabresi che scoprirono la ‘Merica"; "ItaliAmerica, il viaggio sul mare grande come il cielo") in cui più volte si parla di Italiano Domenico di Favelloni di Cessaniti, a Milano la regista Fiorella Cicardi gira un video per uno spettacolo teatrale dal titolo "Bastimenti" che racconta proprio di Domingo Italiano, di Argentina, di emigrazione, di sogni, speranze e disperazione, di terre lontane, di nostalgia… Cataldo Perri autore dell’opera si ritrova il signor Italiano sulle tavole di palcoscenico dello spettacolo. Italiano Domenico nel 2001 torna a vivere al teatro Rendano di Cosenza e presto vedrà altre sedi di spettacolo in Calabria, in Italia e forse anche in Argentina. Il destino di questo antico uomo di Favelloni è, da sempre, proprio il viaggio, il camminare per portare la sua testimonianza di uomo, di lavoro e di fatica, di fede, di calabrese nel mondo. Una delle immaginette religiose, raffigurante San Filippo d’Agira, contenuta nel baule di Italiano Domenico, riporta proprio una scritta in corsivo, ingiallita e sbiadita dal tempo: "Cognato Carissimo Con piacere ti mando la figura del nostro gra (nde) Santo protettore, con la speranza che il nostro S. protettore ti voglia guardare da tutti i pericoli e il buon idio voglia che ti guariscie dei dolore che tieni !… un paternoster e un gloria patre. Non ti scordare di noi. Pronta risposta tuo Bruno. Si è fatta una bona festa". Sulle belle cartoline pubblicitarie le agenzie di navigazione mostravano bellissime navi e promettevano comodi viaggi su veloci e moderne imbarcazioni che poi, in realtà, si dimostravano solo sgangherati vaporetti. Partivano emigranti e bastimenti, da porti vicini e lontani, da Pizzo Calabro, Messina, ma principalmente da Palermo, Napoli e Genova. Partivano con la speranza di attraversare l’Oceano in tempi brevi, invece non bastavano trenta giorni di navigazione. Gli emigranti dovevano affrontare "quel mare grande quanto il cielo, un mare così grande che sembrava non finire mai", trenta o quaranta giorni di mare e cielo per arrivare a New York, la famosa Ellis Island, la loro Novayorca o a Bruccolino o a Bonosairi o a Muntivideo… New York, Brooklyn, Buenos Aires, Montevideo tanti nomi strani per l’emigrante che partiva per la ’Merica senza conoscere la nuova lingua, con la sola speranza di un futuro migliore. I bastimenti partivano con il loro carico d’umanità stipato su ponti e stive e si portavano appresso sacchi strapieni, bauli, topi e valigie, stracci e ogni genere di cose. Gli emigranti partivano con la speranza che solo la ’Merica poteva offrire, tutti assieme, alla ricerca di una nuova vita. Molti di loro trovavano lavoro e soldi per vivere dignitosamente, altri solo lontananza e un infinito senso di nostalgia. Lasciavano affetti, le case e le cose, si portavano dietro, racchiuso nel portafogli, il loro scrigno della memoria, le foto dei parenti più cari, le immaginette sacre dei propri santi. San Francesco di Paola per il lungo viaggio sul mare, Santa Lucia per gli occhi, Santi Cosma e Damiano a protezione della salute. Tanti santi diversi per arrivare bene e ricominciare, sotto la loro protezione, la nuova vita al di là dell’Oceano. Nel nuovo continente ricostruivano la nuova immagine fatta, molte volte con l’illusione di una vita diversa, da anelli di giallo oro americano, scarpe nere lucide e scricchiolanti, portafogli di pelle di coccodrillo, un’auto e un vestito nuovo per fare le foto da mandare ai parenti rimasti al paese. Molte volte vestito, accessori e automobili erano solo noleggiati per il tempo necessario per fare le foto e poter dire, almeno attraverso l’immagine spedita "ecco come stiamo bene, qui in America".
MUSEO DELL’EMIGRAZIONE
Via Cocca, 1 89817 Briatico (VV) Italy Tel. 347.7617742
E mail: vallone.f@tiscali.it
Sale espositive: Museo dell’Emigrazione "Giovanni Battista Scalabrini"
Palazzo Mannacio 89815 Francavilla Angitola (VV) Italy