Nicola Taccone Gallucci (1847 - 1905)Nicola Taccone Gallucci

tra conservatorismo cattolico
e impegno politico-sociale
 

di Rocco Pititto



Sommario:

1. Dal presente al passato: Perché fare memoria oggi di Nicola Taccone Gallucci? 2. Breve profilo biografico dello scrittore; 3. La lezione di Nicola Taccone Gallucci scrittore cattolico; 4. Nicola Taccone Gallucci: un intellettuale cattolico testimone e interprete della frattura tra cattolicesimo e mondo moderno; 5. Nicola Taccone Gallucci e il suo tempo; 6. Un modello di cattolicesimo sociale.
 
 

1. Dal presente al passato: Perché fare memoria oggi di Nicola Taccone Gallucci?

Ricordare a cento anni dalla sua morte la figura di Nicola Maria Alfonso Taccone Gallucci (Mileto 13 ottobre 1847 - Messina 29 agosto 1905) non è una fuga nel passato, né una semplice operazione di restauro o un eccesso di nostalgia per un tempo scomparso, perché significa, soprattutto, andare alla ricerca delle radici della nostra cultura meno recente e, soprattutto, riannodare le fila della nostra memoria per conoscere e comprendere ciò che noi eravamo, appena un secolo addietro, e vivere il nostro presente nella prospettiva di un futuro da costruire. La perdita della memoria di fatti e di persone comporterebbe, di fatto, la perdita della nostra identità e farebbe di tutti noi degli sradicati e dei senza dimora: un rischio sempre incombente nella cultura contemporanea.

Guardando come in uno specchio nel nostro passato meno remoto, tra fine Ottocento e inizio Novecento, e rileggendo la storia degli avvenimenti delle nostre comunità di allora, siamo dolorosamente resi partecipi delle difficili condizioni di vita degli uomini di quel tempo, condizioni che sono all’origine dell’emergere in campo cattolico della questione sociale, della quale Taccone Gallucci ne ebbe come pochi piena consapevolezza, sul piano teorico e sul piano pratico. Seguendo la sua lezione, potremo, più in particolare, vedere scorrere davanti ai nostri occhi, insieme alle soluzioni proposte in campo cattolico, le immagini vive e piene di dignità di figure e di volti di uomini e di donne di quelle generazioni, segnati dalla povertà, dalla sofferenza e dalla morte.

Sulla scena del tempo, che riemerge dal buio di quel passato, rivivono con loro, soprattutto, le maschere di uomini stanchi e delusi, e, ancora, la fatica di vivere, le privazioni, le sconfitte, i drammi, e con questi anche le piccole gioie, assai poche in realtà, di un’esistenza povera e limitata, collocata su un orizzonte troppo angusto per consentire a ciascuno degli individui almeno di sognare, se non di poter raggiungere e possedere, spazi più ampi di libertà, di giustizia sociale e di benessere, come, d’altra parte, sarebbe stato nel diritto di ogni essere umano, di ieri e di oggi, almeno aspirare a raggiungere, se non di possedere.

Rispetto all’esigenza primaria, avvertita sempre più come necessaria, di un recupero di memoria, relativamente alla vita materiale e spirituale delle nostre comunità di quel tempo, la riproposizione della figura di Nicola Taccone Gallucci riveste un suo significato particolare. Perché con le sue scelte, i suoi comportamenti e con i suoi scritti, sulla scia dell’insegnamento paterno, egli si è fatto portatore di un’etica della compassione in un tempo di forti contrasti sociali, quando semplificando avvertiva che i problemi da risolvere si riducevano a due soltanto: "il problema politico che vuole generalizzata la libertà, e il problema sociale che vuole generalizzata l’agiatezza".1 La soluzione possibile, di cui si era fatto portavoce, era nel dare cittadinanza a Cristo nella società, perché "la società con Cristo è scuola di amore, senza Cristo è scuola di corruzione: Dove non vi ha una bilancia che pesi diritti e doveri, dove non vi ha principio d’ordine fra le creature, dove non vi ha amore del prossimo per Gesù, resta unicamente il regno della forza e si scatena tutto l’abisso della corruzione".2

Facendo riferimento a questa figura del nostro passato, visto nel suo contesto storico, non si possono non considerare, perciò, i travagli e la volontà di riscatto di un’epoca in crisi, quando la povertà di gran parte delle popolazioni era enorme e si trasformava per molti degli individui in uno stato di abbrutimento fisico e morale, mentre le classi dirigenti e i ceti intellettuali del tempo, se così si può dire, erano interessati assai spesso ad occuparsi di altri problemi, più che dei problemi materiali della gente. La società era profondamente spaccata al suo interno: tra chi possedeva in sovrabbondanza ricchezze e beni materiali, ed erano in pochi, e chi non possedeva assolutamente nulla, se non le bocche da sfamare e due braccia per lavorare, ed erano in molti. Risolvere questa spaccatura non era un obiettivo delle classi dirigenti, né delle forze socialiste.

Nicola Taccone Gallucci rappresenta sotto quest’aspetto un’eccezione di non poco conto: gentiluomo di campagna, uomo colto e raffinato, amante e buon conoscitore della letteratura e della musica, studioso di buon livello di arte e pittore egli stesso, formatosi alla scuola di vita esemplare vissuta in famiglia, non si limita a svolgere la tradizionale attività, a lui riservata dalle circostanze familiari, di amministratore del patrimonio di famiglia. A quest’attività di tipo amministrativo, per la quale, forse, non si sentiva neppure tagliato, egli accompagna ben presto quella di scrittore cattolico impegnato e di polemista, un’attività quest’ultima che sarebbe diventata per lui prevalente nel corso degli anni, con una produzione pubblicistica molto copiosa e che gli avrebbe dato grande notorietà.

Come tale interviene con autorevolezza nel dibattito, in atto nel paese, sulle questioni più rilevanti di allora e i suoi interventi sono apprezzati. Consapevole, però, della gravità della condizione del cristianesimo nella società moderna e del problema sociale, cerca una via d’uscita al disagio dei cattolici di quell’epoca, partecipando prima alla nascita dell’Opera dei Congressi, poi esercitando un’azione di sostegno e di appoggio al magistero di Pio IX e, più tardi, al magistero sociale di Leone XIII con la sua attività di scrittore.3 Da parte sua, rinnovando una tradizione di famiglia, si fece promotore, teorizzandolo e realizzandolo anche, di un cattolicesimo sociale, più vicino alla gente e più rispondente ai loro bisogni.

La sua lezione di scrittore cattolico oltrepassò i confini del suo piccolo paese natale per affermarsi in tutta Italia ed anche in qualche misura all’estero.4 Ebbe relazioni epistolari con illustri personaggi dell’epoca e fu amico di molti di loro. Le tante attestazioni di stima di quanti parteciparono al dolore per la sua scomparsa ne danno ampia testimonianza.
 
 

2. Breve profilo biografico dello scrittore

Su Nicola Taccone Gallucci non si hanno particolari documenti storici, attingendo ai quali poter delineare uno schizzo biografico, esauriente e scientificamente corretto, di questo personaggio. Rimangono le opere scritte e alcune annotazioni personali dell’autore. Le uniche notizie di una certa importanza, di cui si dispone, sono di provenienza familiare e vengono da un libro Delle vita e delle opere del barone Nicola Taccone Gallucci, un grosso volume, stampato a Reggio Calabria nel 1906.5 Il libro, alla cui stesura provvide il fratello Domenico, fu redatto in parte con intenti celebrativi, ad un anno dalla sua morte, avvenuta a Messina il 29 agosto 1905, nove mesi appena dalla morte del padre Filippo, cui egli era profondamente legato.

Da questo libro di memorie si possono ricostruire le vicende che hanno accompagnato la vita di Nicola Taccone Gallucci, gli anni della sua formazione e gli anni della maturità. Filippo Taccone Gallucci, padre di Nicola, occupa un posto di rilievo nella formazione morale e intellettuale. Notevole era stata l’influenza che il padre aveva esercitato sul figlio, e su un piano affettivo come genitore, e su un piano intellettivo come precettore e maestro. Filippo Taccone Gallucci fu un uomo di grande rettitudine ed equilibrio, lungimirante, attento osservatore dei fatti politici del suo tempo e non alieno a collaborare con le diverse autorità politiche, succedutesi nel Mezzogiorno d’Italia, a beneficio degli interressi del paese natale.6 Egli rappresentò per il figlio, soprattutto, un esempio positivo da seguire, un modello su cui conformarsi. Nicola non fu da meno rispetto al padre, quanto a rettitudine, equilibrio e capacità nell’amministrazione dei beni di famiglia.

Nicola Taccone Gallucci non ebbe modo di seguire, a differenza del padre, un corso regolare di studi. Studiò per alcuni anni (1856-1860) a Monteleone presso il Collegio dei padri delle Scuole Pie. Suo principale maestro fu, soprattutto, suo padre Filippo.7 Questi aveva studiato a Napoli legge ed era stato a contatto nel soggiorno napoletano con i maestri più rinomati del tempo, che tenevano scuole private di grande prestigio (Leopoldo Rodinò, uno dei migliori allievi del Puoti, Antonio Mirabelli, Pasquale Stanislao Mancini, Pietro Clausi). In precedenza, mentre si trovava ancora a Mileto, egli aveva fatto tesoro dell’insegnamento del cugino D. Pasquale Taccone, arciprete del capitolo della cattedrale di Mileto e successivamente vescovo di Bova e, più tardi, di Teramo.8

Nella formazione intellettuale di Nicola ebbe parte importante, oltre che il padre, anche l’arciprete Lomoro, successore dell’Arciprete Taccone nel Capitolo della Cattedrale di Mileto. Studiò privatamente con il padre e con il sacerdote latino, greco, francese, scienze, diritto, teologia e lesse quanto gli fu possibile di autori italiani e stranieri (il Manzoni, il Grossi, il Cantù, il D’Azeglio, il Bresciani), di cui era grandemente fornita la biblioteca di famiglia. Ebbe modo di studiare in quegli stessi anni la filosofia di Pasquale Galluppi e di questo studio ne è traccia un manoscritto giovanile da lui redatto, un compendio su gli Elementi di Filosofia del filosofo tropeano. Notevole è la sua conoscenza della Sacra Scrittura, abbastanza ampia se riferita a quegli anni, e della patristica e, in particolar modo, di Agostino e di Tommaso d’Aquino. Sono, soprattutto, questi due autori i punti di riferimento del suo discorso filosofico-teologico, ma non sono i soli, dato che sono citati molti altri tra i padri e i teologi.9

Nelle sue memorie, Nicola Taccone Gallucci fa un elogio del padre, del quale mette in risalto la rettitudine di vita, la capacità di governo della cosa pubblica, nonché dei suoi beni di famiglia, e la sua grande cultura. Di questa rettitudine, di questa cultura e della capacità di governo trovarono grande giovamento Nicola e il fratello Domenico, nell’ambito delle rispettive attività, civili ed ecclesiastiche, intraprese da ciascuno di loro. La cultura che circolava in casa Taccone non era di seconda mano: oltre che della lezione dei maestri cristiani tradizionali, si nutriva della lezione di quegli autori, vissuti in quegli anni, maggiormente vicini a posizioni più equilibrate a proposito del ruolo del cristianesimo nella società moderna e in relazione ai nuovi rapporti stato – chiesa.10

Seguendo l’insegnamento del padre, che si era formato sulle opere del Balmes e del Danoso-Cortes, Religione e Patria sono i due pilastri attorno ai quali Nicola Taccone Gallucci costruisce il suo discorso, che diventa discorso apologetico: se le sue opinioni erano favorevoli alla Chiesa, anche sul versante politico-istituzionale, non erano, tuttavia, contrarie alla Patria. Come cattolico visse il dramma dei tanti cattolici, che, dopo Porta Pia, non vollero accettare quella separazione tra Chiesa e stato italiano nascente, circostanza che si sarebbe rivelata, invece, molto importante per la Chiesa italiana. Il compito, che Nicola si era prefissato, fin da piccolo, era di " difendere, […], i diritti della Chiesa offesa nel suo gerarca".11 Colse, per questo, l’occasione offertagli dall’avv. Casoni nel 1865, che, a 18 anni, lo invitò a collaborare con lui e con altri ad un’opera di promozione culturale che aveva questa finalità. Era la Società cattolica italiana per la difesa della libertà della Chiesa in Italia, approvata l’anno successivo da Pio IX, che si sarebbe trasformata più tardi nell’Opera dei Congressi, fondata dallo stesso avv. Casoni e che aveva come scopo "la difesa della libertà della Chiesa".12

All’inizio del 1866, questa associazione cattolica ebbe un programma e uno statuto, firmati da dodici soci fondatori, tra cui lo stesso Nicola Taccone Gallucci, incoraggiato in tal senso dal padre. Per iniziativa dello stesso Nicola fu fondato a Reggio Calabria un circolo con duecento soci.13 Gli inizi di questo nuovo movimento cattolico non furono facili: molti dei responsabili dei circoli, che si andavano costituendo in tutt’Italia, subirono vere e proprie persecuzioni e alcuni di loro vennero arrestati. Gli stessi Taccone, padre e figlio, ebbero dei fastidi, senza gravi conseguenze sul piano giudiziario, perché convocati a Catanzaro dal Prefetto, il piemontese Conte Homodei, per essere mandati a domicilio coatto. Filippo Taccone ebbe modo di dimostrare al Prefetto la sua buona fede e di "essere Cattolico e niente altro che Cattolico, e come tale rispettoso dell’Autorità costituita, senza secondi fini, senza paura, senza ipocrisia, mai congiuratore, mai ribelle".14 Meno facile fu la difesa del giovane Nicola, invitato dal Prefetto a dedicarsi agli studi di filosofia piuttosto che ad interessarsi di politica.

Questa convocazione, se immediatamente fu senza conseguenze per i due, condizionò pesantemente le scelte future di Nicola, che si allontanò da questo tipo di attività, defilandosi dall’assumere incarichi all’interno dell’Opera dei Congressi. Pur rimanendo vicino al movimento con incarichi piuttosto modesti, si dedicò agli studi e agli interessi di famiglia. Forse il movimento cattolico in Calabria perse un possibile protagonista, quando era necessario, invece, creare un vasto consenso nelle diocesi, abbastanza refrattarie nelle persone dei Vescovi, soprattutto, a promuovere le condizioni per uno sviluppo del movimento.15 Certamente, il movimento cattolico avrebbe avuto bisogno di una personalità di spicco, stimata e conosciuta, come Nicola Taccone Gallucci. E, invece, rifiutò la candidatura a Deputato, "giacché (diceva) l’obbedienza dei cattolici all’oracolo del Vaticano è il segreto della nostra forza e il simbolo della nostra unione" (da Mileto, 15 maggio 1880). Come rifiutò di far parte della presidenza della quinta Sezione (Arte cristiana) del Congresso Cattolico Italiano che si tenne a Napoli nell’ottobre del 1883. Di questo movimento cattolico, tuttavia, Taccone Gallucci, pur se defilato, rimase sempre un punto di riferimento.16

Forse, la decisione di Nicola Taccone Gallucci di dedicarsi agli studi e all’attività di scrittore cattolico è diretta conseguenza di questa convocazione. Subito dopo, nel 1868, pubblica in due volumi il Saggio di estetica. La tesi sostenuta è che la civiltà ha bisogno di cultura e la bellezza della nostra cultura, che si è sviluppata nei secoli, è deturpata da due "mostri", - come li chiama nell’introduzione -, che sono l’ateismo e l’indifferenza. Sotto questo aspetto, gli italiani sono particolarmente fortunati, dato che principio di ogni civiltà è il cattolicesimo e l’amore per la cultura. "Noi italiani, - afferma lo scrittore -, abbiamo i due termini della sua dinamica […] La culla delle arti belle, la terra del genio, la patria di Raffaello, di Michelangelo, di Rossini, il cielo più ridente d’Europa, il giardino della bellezza, dee certo possedere una teoria estetica, che sia sua propria, che sia rivolo delle sue magnifiche fonti, il Cattolicesimo e la Patria".

Secondo questo punto di vista, una svolta radicale nella società italiana sarebbe stata possibile in tal senso, se solo la scienza fosse sottomessa al magistero del papato, superando il dissidio tra fede e ragione, tra scienza e verità. La presa di posizione di Nicola Taccone Gallucci, a questo riguardo, è netta e non lascia alcun dubbio: la scienza deve ritornare a Dio per mezzo della Chiesa: "fa d’uopo che la scienza ritorni a Dio per mezzo della Chiesa, e nel verbo parlante del Pontificato Romano rigeneri la società; mentre la scienza o si sommette al magistero infallibile della Verità ed è luce, o ebbra delira nella deificazione di se stessa, ed è dubbio, tenebre, morte! – La Scienza ha sacrificato per l’indipendenza la Verità: ora è mestieri che ritorni la Verità all’obbedienza".17

Come scrisse il fratello Domenico all’indomani della sua morte, "Cattolico ed Italiano per fede e convinzione, Nicola Taccone-Gallucci difese i dommi della Religione Santissima di Gesù Cristo; fu devotissimo al Pontificato Romano; ed aspirò alla verace grandezza della patria, come si era proposto dalla sua prima giovinezza".18 Era un uomo profondamente umile e riservato, alieno dal mettersi in mostra, disponibile con tutti, soprattutto con i suoi dipendenti, contadini e fittavoli. "In quest’uomo straordinario, - ebbe a dire Giuseppe Morabito, vescovo di Mileto, nel suo elogio funebre -, non si vedeva nessuna di quelle così dette originalità de’ grandi scrittori: ei non cercava la gloria, pareva non accorgersi anzi di essa che lo seguiva con crescenti sorrisi; era d’un’affabilità e di una soavità di modi che incantava; non posava a grand’uomo; ma chi aveva la fortuna di avvicinarlo scorgeva subito nel linguaggio, semplice, ma preciso, l’abitudine che questo insigne personaggio aveva di pensieri profondi; scorgeva subito la vastità degli orizzonti intellettuali, ne’ quali spaziava lo sguardo di quella intelligenza serena e luminosa".19
 
 

3. La lezione di Nicola Taccone Gallucci scrittore cattolico

Nel 1870, all’età di 23 anni, Nicola Taccone Gallucci, con grande perspicacia, disegna un quadro della società italiana, pieno di ombre. Vede in atto in Europa una rivoluzione che senza il Papato "arriva alle sue ultime conseguenze; la rivoluzione ha per testa il comunismo, per ventre il socialismo, per coda il dispotismo". Ecco perché, "Tutti gli interessi, - egli afferma -, sono compromessi. La religione offesa nel suo capo, la società col comunismo alle porte, i giovani rosi dalla cancrena socialista, le famiglie con la disorganizzazione in casa. E il dramma non finisce già, ma incomincia".20 La critica è feroce e non lascia spazio a dubbi o a ripensamenti. Netto è il giudizio di condanna.

Nell’età più matura fa una critica ancora più netta allo stato italiano post risorgimentale e non è una critica necessariamente di destra, perché vengono individuati gli aspetti più negativi, in contraddizione con la forma di stato che si voleva costruire. "Si dice il governo essere la rappresentanza di tutti gli interessi, e generalmente si riduce alla rappresentanza degli interessi di pochi. Si stabilisce il fondamento della sovranità nell’elezione, e intanto quest’elezione si lega ad un privilegio, limitandola al censo. Si fa consistere il buon governo nell’equilibrio e nell’armonia delle forze sociali, e tuttodì si da lo spettacolo di una lotta sorda fra un re che regna senza governare, fra ministri che governano senza regnare, e fra il popolo che in verità non regna, né governa, ma subisce la sorte di tutti gli schiavi: o china paziente il capo a tutte le tirannie, o, come Spartaco, si rivolta o scanna il tiranno".21 Il governo non è rappresentativo, è espressione degli interessi di parte, non esprime un sistema di equilibrio, considerato che ogni organo dello stato è in lotta con l’altro.

Apologeta e polemista, avvicinato da qualcuno, con qualche esagerazione, a Chateaubriand, Nicola Taccone Gallucci fece dello scrivere in difesa della religione cristiana e del papato la sua attività principale. Assai vasta e di diverso valore è la sua produzione pubblicistica. Libri, saggi, articoli, discorsi, necrologi, recensioni, prose e poesie, composti nell’arco di quarantanni dallo scrittore stanno a testimoniare il suo impegno di intellettuale a servizio della verità ultima dell’uomo, da lui trovata nella religione cattolica secondo la professione romana.

L’elenco delle sue pubblicazioni è lungo e copre i molteplici interessi dell’autore, dalla filosofia alla teologia, dall’arte alla politica. Basta ricordare qui i primi scritti e i periodici, ai quali inviò i suoi scritti per la pubblicazione. Sorprende il numero di periodici, che ospitarono suoi scritti, e la diffusione su tutto il territorio nazionale, dalla Sicilia alla Sardegna, al Piemonte, alla Campania, al Lazio, alla Toscana, all’Emilia al Veneto, alla Lombardia.

I primi scritti furono pubblicati sul periodico Il Conservatore, stampato a Bologna e diretto dall’avv. Casoni. Su questo periodico videro la luce scritti come Razionalismo nelle rivoluzioni, Socialismo e Cattolicesimo, Papi e le Sette alla Gioventù Italiana, Ricordi storici sull’antica Mileto. Un altro scritto sul Sillabo di Pio IX ed i principii della Rivoluzione del 1789 fu inserito negli Opuscoli Religiosi Letterari e Morali editi a Modena da Bartolomeo Veratti. Altri scritti, come Il Pauperismo e la Chiesa Cattolica ed Una gita a Palmi, furono pubblicati nella Parola Cattolica di Messina (29 maggio 1869 e 14 luglio 1870). Molti altri scritti più impegnativi furono pubblicati separatamente sul periodico La Carità, fondato dal P. Ludovico da Casoria, prima di essere pubblicati per intero, in volumi a parte. Suoi scritti comparvero su riviste come Diritto Cattolico di Modena, Vera Luce di Firenze, Unità Cattolica di Torino, Sardegna Cattolica di Cagliari, Commercio di Firenze, Giorno di Firenze, Unità Cattolica, Sicilia Cattolica di Palermo, Osservatore Cattolico, Annunzio Cattolico di Roma, Hesperia di Napoli, Italia Reale di Torino, La Palestra del Clero di Roma, Crociata di Torino, Libertà di Napoli, Rassegna Italiana di Roma, Sirio di Napoli, L’eco di S. Francesco di Sorrento.

Le opere più importanti sono: Saggi di estetica(1867-68), in due volumi; L’Uomo-Dio: studii filosofico-esdtetici (1881), in due volumi.22

Benché autodidatta, trova nella scrittura la sua vocazione. Fin dall’età più giovanile, comincia a scrivere, infatti, sui grandi temi del cristianesimo, mettendo al centro della sua indagine il rapporto fede-ragione-scienza, considerato nell’ottica della bellezza, fino a giungere a delineare una specie di estetica teologica, - è questo l’aspetto più originale della sua posizione -, e allargando il raggio della sua azione, a livello politico-sociale, con la partecipazione al dibattito che si svolgeva su questi stessi problemi nel paese, in seguito all’unificazione d’Italia e all’emarginazione dei cattolici dalla vita pubblica.23

Tra fede e ragione non c’è contraddizione: questa è la prima lezione dello scrittore, ancor più importante perché in contrasto con le idee del tempo, di stampo positivista. Egli è, invece, "convinto che il lume della fede nella sua genesi è identico al lume della ragione, perché entrambi desumono la loro origine dal Padre dei lumi, da cui viene ogni dono perfetto. […Perciò] niun dissidio [deve] esservi fra la ragione e il dogma, tra la scienza e la fede, poiché la verità è di tutti i tempi e di tutti i luoghi, permanentemente la stessa. Così una essendo la verità, una deve essere la fede, la quale resiste alla prova della scienza come l’oro purissimo resiste alla prova del fuoco".24 Di più, dal Verbo di Dio si origina ogni bellezza, perché "tutta quanta la bellezza creata è vestigio ed immagine della bellezza increata, e che questa bellezza personificandosi nell’Uomo-Dio diventa tipo inimitabile di quel bello artistico che l’uomo si sforza di riprodurre coll’arte[…] il bello naturale è un inno al creatore: il bello artistico un inno al Verbo umanato".25

Da qui il suo sforzo di "emancipare l’estetica e l’arte cristiana dai ceppi servili in cui il materialismo e il naturalismo cercano di avvincerla.[…] In un tempo di audace e desolante tendenza all’idolatria della carne, per la quale l’artista sacrifica le sue più belle aspirazioni all’idolo lubrico ed osceno che per ironia suole chiamarsi
verismo, ho creduto imprescindibile dovere di cattolico quello di combattere di fronte questa tendenza, richiamando l’artista al culto dell’ideale".26 E l’ideale, che egli propone, è l’Uomo-Dio, nel quale si concentra ogni bellezza del mondo creato e del mondo increato. Egli, come afferma, "Poco versato nella scienza teologica, e convinto che in fondo d’ogni questione scientifica ed artistica si trova una questione che ha attinenza col mistero e col dogma religioso; mi sono impegnato a corroborare la pochezza dell’ingegno mio con l’autorità di due grandi e sommi Dottori della Chiesa, che soli valgono tutti quanti i filosofi ed i sapienti uniti insieme".27 Proprio Agostino e Tommaso d’Aquino sono i due maestri che hanno sorretto le "speculazioni" dello scrittore militese.

Sul piano filosofico-teologico, il suo punto di vista, su cui costruisce le sue concezioni e che esplicita nei suoi scritti, è piuttosto lineare e non ammette incertezze. Il principio-guida è l’esemplarismo del Figlio, che si diffonde su tutto il creato e soprattutto nell’uomo: tutto è stato creato per mezzo del Figlio e tutto partecipa della realtà del Figlio. L’uomo, sostiene Nicola Taccone Gallucci, mediante la parola scritta e orale crea la scienza, mediante quella figurata crea l’arte. Da qui il rapporto speciale con il Verbo di Dio, considerato che "il Verbo eterno, essendo la parola assoluta da cui riceve ragione di principio esemplare la parola umana, è ad un tempo la suprema ragione esemplare del pensiero e dell’azione, e per conseguenza il Principio d’ogni scienza e d’ogni arte". Pertanto, "Tutto ciò che l’uomo crea colla mente, colla fantasia, col suo genio inventivo ed artistico, risale al Verbo eterno, perché da lui viene il principio della vita potenziale, da lui il principio della luce interiore". Più in particolare, "il Verbo eterno imprime alla persona umana la facoltà e la dinamica di operare, compenetrando la natura finita di lui colla sua onnipotenza". E ancora, "il Verbo eterno lampeggiando il fulgore della sua luce nella mente, rende visibile la verità, la bellezza e la bontà. Ogni scienza ed ogni arte umana viene dunque privatamente dal Verbo eterno, che è sapienza incerata, arte assoluta, esemplare infinito"28
 
 

4. Nicola Taccone Gallucci: un intellettuale cattolico testimone e interprete della frattura tra cattolicesimo e mondo moderno

Nel contesto della società calabrese della seconda meta del XIX secolo, Nicola Taccone Gallucci incarna la tipica figura dell’intellettuale cattolico, che vive con grande disagio gli esiti della "rivoluzione italiana". Come altri cattolici, egli è preoccupato della deriva della società italiana, dopo l’unificazione nazionale, avvenuta in opposizione al sentimento cattolico delle popolazioni e agli stessi interessi della religione cattolica rappresentati dal papato, e riporta in primo piano i valori del cristianesimo, rimessi allora in discussione da concezioni contrarie e da tendenze ostili, allora prevalenti nei gruppi dominanti e nei ceti intellettuali del paese, ma senza chiudersi ai problemi sociali del tempo.

Lo sforzo, difficile ma necessario, intrapreso dallo scrittore, è di aprirsi alla modernità sul piano dei problemi sociali e delle nuove aspettative degli individui, ma senza rinnegare l’eredità del cristianesimo, come molti altri, facendo riferimento a filosofie dell’epoca, ritenevano necessario. Una posizione questa intransigente e moderata nello stesso tempo, risultata fin troppo minoritaria nella coscienza nazionale per avere una qualche incidenza nella società italiana di quegli anni. Forse gli strumenti culturali, di cui disponeva Taccone Gallucci, erano insufficienti, considerato che il suo pensiero ignora il ricco movimento di idee di quel tempo, rimanendo, per questo, impigliato in una sorta di provincialismo, un limite che avrebbe caratterizzato assai negativamente la sua attività di scrittore. L’eredità kantiana viene ignorata del tutto, come viene ignorata, e non è una novità nel panorama della filosofia italiana dell’Ottocento, la grande lezione della filosofia di Antonio Rosmini, senza dimenticare la mancata considerazione del grande dibattito suscitato dalla diffusione in Europa dell’idealismo e delle altre correnti filosofiche. Nel suo insieme il pensiero cattolico dell’Ottocento, sopraffatto dalla paura del nuovo, ebbe il torto di chiudersi in se stesso e di condannare tutto e tutti, senza tentare un dialogo con un pensiero non necessariamente ostile alla religione cristiana. La Chiesa del Concilio Vaticano I, in preda alla paura, quasi terrorizzata dalla piega degli avvenimenti, recise ogni legame con il pensiero moderno e cercò lo scontro finale, rifiutando ogni mediazione. Si determinò proprio allora quel fossato tra mondo cattolico e società moderna, i cui esiti hanno accompagnato negativamente lo sviluppo della coscienza nazionale in Italia, avvenuta al di fuori e contro il cattolicesimo.

Nicola Taccone Gallucci risente di questa particolare situazione storica e si schiera dalla parte di un cattolicesimo intransigente, che rifiuta di fare i conti con il mondo moderno sul piano politico e sul piano culturale. Nondimeno, come è stato osservato, "la figura e l’opera di Nicola Taccone Gallucci, che varcò presto i confini della nostra regione, merita certamente una rilettura più attenta e sistematica, per cogliere – come sostiene la Mariotti – la sua rigorosa e illuminata posizione mirata ad una coraggiosa difesa e chiara esposizione dei principi basilari del pensiero cattolico, con particolare riferimento all’azione sul piano politico e sociale, che doveva trovare nella parola del vangelo indiscutibile fondamento e nell’azione concorde dei cattolici convinta attuazione".29

Una rilettura più attenta e più sistematica della figura e dell’opera di Nicola Taccone Gallucci s’impone, comunque, per rispondere ad una serie di domande, che servano ad illuminare la nostra comprensione dei problemi di ieri e, soprattutto, dei problemi di oggi. Riflettere su questo intellettuale consente già un parlare di noi e delle nostre comunità a partire dalla disamina di una figura significativa, come quella di Taccone Gallucci, espressione di un mondo cattolico datato, legata ad una visione del mondo ormai scomparsa, eppure rappresentativa di tendenze importanti di quel tempo, che nel Sud d’Italia non ebbero, però, significativi sviluppi, come in altre parti d’Italia, dove si crearono cooperative, società di mutuo soccorso, banche e casse rurali, biblioteche popolari.30
 

Partendo da qui, è possibile porsi alcune domande, alle quali ciascuno di noi deve poter rispondere per articolare un qualche discorso coerente su di sé e sul mondo, nel quale viviamo. Le prime risposte date a queste domande sono di per sé insufficienti, ma danno ugualmente indicazioni importanti, anche se richiedono ulteriori ampliamenti e ulteriori approfondimenti. Queste alcune delle domande, che possiamo porci considerando la figura e l’opera di Nicola Taccone Gallucci:


1. Chi era, in realtà, Nicola Taccone Gallucci, nato a Mileto nel 1847 e morto a Messina nel 1905, dove si era stabilito da circa dieci anni, per assicurare ai suoi
   figli un corso regolare di studi, di cui lui stesso non aveva potuto usufruire? Di certo non può essere considerato un pensatore vero e proprio, né un riformatore
   sociale. Il suo interesse di studioso è frammentario e va in molte direzioni, senza riuscire a dare al suo discorso una propria e specifica caratterizzazione
   unitaria. Forse non ebbe né le capacità, né la volontà, né il tempo per proporre una sua linea di pensiero originale in ordine ai problemi considerati. Fu,
   soprattutto, uno scrittore cattolico assai versatile, impegnato su più fronti, sul piano filosofico-teologico, come sul piano politico-sociale, sempre schierato a
   difesa della religione e del papato. Mancò, soprattutto, della capacità di dialogo con quanti erano su posizioni contrarie e opposte alle sue. Ma questo, più che
   un suo limite, fu il limite vero della cattolicità italiana, tra la fine del XIX secolo e gli inizi del XX, incapace di accettare il nuovo stato italiano.

2. Come scrittore cattolico e come esponente del primo movimento cattolico in Italia, cosa ha fatto di particolarmente importante quest’uomo da meritare di essere
   ricordato, ancor oggi, dopo che in vita aveva suscitato ammirazione e stima da più parti per le questioni e i problemi affrontati, allora assai difficili da
   sostenere, considerato il clima politico e culturale di quegli anni? In realtà, non ci furono in lui velleità riformistiche sul piano sociale, del resto lontane dal suo
   orizzonte culturale. Costante, invece, fu l’attenzione, da parte sua, per i problemi della povera gente, che dovevano essere riconsiderati nell’ottica dei principi del
   Vangelo ed erano risolvibili seguendo l’insegnamento sociale proposto da Pio IX e da Leone XIII.

3. Quali le sue opere più significative, tra le tante scritte su argomenti religioso-politico-sociali, che resistono ancora ad una rilettura critica, senza indulgere a
   intenti puramente celebrativi? La vasta produzione non deve ingannare: molte sono le ripetizioni e tutto ruota attorno al tema de L’Uomo- Dio, ideale di ogni
   bellezza. Il tema dell’arte, attraverso cui si manifesta la realtà stessa di Dio, rappresenta una costante.

4. Come riconsiderare oggi, nell’epoca contemporanea, i problemi, soprattutto i problemi religiosi e i problemi sociali, oggetto degli interessi speculativi e pratici di
   Nicola Taccone Gallucci? Le soluzioni prospettate in termini di carità cristiana non sono più proponibili, perché attengono al piano della giustizia, che è anteriore
   alla carità. L’etica della compassione è già una risposta, in anticipo sui tempi, che merita di essere riproposta nella sua valenza positiva, come attenzione e
   sollecitudine ai problemi, legati al disagio e alla povertà, della gente.

Rispondere più dettagliatamente a queste domande comporta, prima di tutto, la costruzione di un quadro storico di riferimento, quanto più fedele possibile, nel quale poter collocare Nicola Taccone Gallucci , insieme con altre figure eminenti del nostro recente passato. La sua figura può emergere in tutto il suo spessore solo all’interno di un quadro storico correttamente delineato. Perché è dal contesto storico, nel quale si è inseriti, che le situazioni vissute in prima persona e i problemi affrontati assumono significato e valore. Le domande che ogni tempo formula ai suoi contemporanei diventano le risposte di chi si sente investito di una responsabilità davanti a Dio e davanti all’uomo. E Taccone Gallucci, seguendo le orme di suo padre e dell’ambiente familiare sentì profondamente questa responsabilità nei riguardi di tutti, specialmente degli individui più sfortunati.
 
 

5. Nicola Taccone Gallucci e il suo tempo
 
 

Quello vissuto da Nicola Taccone Gallucci è un tempo complesso e assai difficile della nostra storia recente, sul piano politico-istituzionale e sul piano economico-sociale. Gli effetti devastanti del terremoto del 1783 e gli esiti della rivoluzione francese nel Regno delle Due Sicilie, con il dominio francese e il successivo ritorno dei Borboni a Napoli, non erano stati ancora assorbiti del tutto, perché permanevano dappertutto situazioni di grave disagio economico e di conflitto sociale acuto, mentre la ricostruzione non era avvenuta e si faceva sentire la penuria di case di abitazione e di chiese. Più tardi, negli anni ’60 dell’Ottocento, la fine della monarchia borbonica e l’unificazione italiana sotto Casa Savoia determinarono uno sconvolgimento ancora maggiore nel tessuto della vita civile, economica e sociale delle nostre comunità, con grandi ripercussioni negative sulle espressioni culturali e religiose, già di per sé molto precarie e instabili. La povertà materiale si accompagnava alla povertà spirituale, creando per molti, - la maggior parte degli individui -, condizioni di vita al limite della sopravvivenza.

Quello stesso tempo, così caratterizzato, si ripresenta oggi al nostro sguardo critico, non, perciò, come un tempo da guardare con nostalgia, ma come un tempo carico di miseria e di sofferenza e intriso di paure, reso ancora più drammatico dalla organizzazione fortemente verticale della società, che impediva ogni forma di mobilità verso l’alto. Da lì sono iniziati, in epoca moderna, gran parte dei drammi delle nostre comunità: la miseria e la fame, la fuga verso terre lontane, la disperazione e la morte nell’anima, il vuoto di focolari spenti, di case desolate e di vite spezzate, la fine di un mondo, che aveva, nonostante tutto, un suo equilibrio. È in quegli anni che è avvenuto come uno sradicamento, una sorta di deportazione collettiva, di interi gruppi familiari e di interi paesi, durata troppo a lungo nel tempo, che ha impoverito tutti noi, privandoci di ogni speranza di un futuro diverso. Fu una catastrofe d’immense proporzioni. Le ferite inferte sull’uomo e sulla comunità da questa deportazione non si sono ancora rimarginate, rappresentano il non risolto della nostra storia, il buco nero. Rimane, ancora da rielaborare il lutto, come condizione necessaria di una crescita come persona, cui tutti siamo interessati a raggiungere.

È passato appena un secolo da allora, ma il mondo, nel frattempo, è cambiato radicalmente e con il mondo siamo cambiati noi stessi. Le macerie di quel mondo sono sparse dappertutto e i sogni degli uomini sono andati in frantumi. Sono cambiati i nostri paesi, da piccoli centri rurali, la cui vita era scandita dallo scorrere delle stagioni e dal calendario liturgico, centri in parte autosufficienti, caratterizzati dalla cultura della povertà, sono diventati periferie omologate di un mondo lontano più grande, dai quali si continua a fuggire, perché senza speranza e senza futuro, votati alla distruzione. La cultura della sussistenza, che viene assicurata oggi dalla politica agli abitanti di questi paesi, è precaria e non può durare all’infinito, come, d’altra parte, non può rappresentare uno sbocco significativo l’attività legata all’industria del turismo. Ad una cultura della durata si è sostituita la cultura dell’effimero e del "mordi e fuggi". Nel frattempo, anche le parlate dei diversi paesi si sono confuse e non sono più elementi di caratterizzazione, espressioni di culture vive, nelle quali viveva la saggezza dell’anima popolare. Rispetto ad un secolo fa, diverse sono ora le preoccupazioni e diversi sono i problemi, come diverse sono le domande e diverse le risposte. La domanda comune sottesa è una forte crescita di bisogni, ai quali nell’epoca di forti contrasti sociali non è dato dare risposte appaganti.

Come uomini di questo tempo, tuttavia, siamo obbligati, non tanto a vedere sempre e dappertutto nero e a piangerci addosso, pensando ad un’età felice scomparsa, cosa assolutamente antistorica e falsa, ma a confrontarci con le figure, minori o maggiori che siano, del nostro passato: è questa la condizione per vivere il nostro presente con serenità e con coraggio e proiettarci nel futuro, un futuro, che, nonostante tutto, rimane carico di speranze, eppure così sfuggente ed aleatorio. Le trasformazioni dell’uomo e del mondo, di cui siamo spettatori e testimoni, sono così rapide da far affermare a qualcuno che il futuro è già passato e che il nostro destino si gioca qui ed ora, un presente che non offre a nessuno valori e certezze, sufficientemente stabili. Nell’epoca della crisi, la cifra del "disorientamento" diventa prevalente, la sola, che possa rappresentare le condizioni dell’anima umana, dopo che gli dei stessi erano stati scoraggiati dall’intervenire per ristabilire nel mondo dell’uomo libertà e giustizia.

Vivendo in un tempo, così caratterizzato, Nicola Taccone Gallucci si sente come investito di una responsabilità verso Dio e verso l’uomo, diventando per questo una specie di profeta inascoltato, perché, nel frattempo, il mondo andava in tutt’altra direzione.31 Eppure, "Il suo contributo e la sua posizione di intellettuale cattolico, la memoria lasciata di una testimonianza di vita coerente e di umile adattamento ad un ambiente ancora non del tutto maturo alle idee e alle sottoli analisi del suo pensiero, ce lo fa ritenere un caso isolato, e forse unico in tutta la diocesi militese, di attenzione e di partecipazione alle iniziative dei cattolici militanti nei primi anni dello storico conflitto tra Chiesa e Stato in Italia",32 un conflitto reso allora, dopo Porta Pia, ancor più acuto dal divieto fatto ai cattolici dall’autorità ecclesiastiche di partecipare alla vita pubblica del paese. Questo divieto durò a lungo, almeno fino alla stipula dei Patti Lateranensi, e arrecò non pochi danni alla vita cattolica del paese. Nicola Taccone Gallucci, da cattolico ubbidiente, non esitò dall’osservare questo divieto, pur essendo forse convinto in cuor suo che altre fossero le decisioni da prendere per lo sviluppo della cristianità italiana.

Le sue convinzioni in materia sono espresse chiaramente ne L’enciclica sulla cristiana costituzione degli stati di Leone XIII :"Il dovere essenziale è che ogni onesto uomo e il cattolico deve esserlo in preferenza, debba cooperare secondo le proprie forze al benessere sociale. Prendendo quindi parte attiva alla vita politica, con quella integrità e zelo che è la divisa del vero cattolico, non solo s’impedisce il monopolio di gente che poco lascia sperare di bene alla Chiesa e allo Stato, ma si reca un tesoro di rettitudine e di onestà nel maneggio dei pubblici affari, e un concorso d’intelligenze, intente a far circolare in tutte le vene del corpo sociale lo spirito vivificatore delle verità cristiane".33

In definitiva, come Taccone Gallucci dirà nel Discorso inaugurale al I Congresso cattolico delle Calabrie, "l’avvenire sarà nostro, se invece di tenerci in disparte accorreremo con tutta la pienezza delle nostre forze in quel campo d’azione, ove ci chiama l’autorevole parola del nostro augusto Pontefice".34 C’è qui delineata una strategia, a proposito della partecipazione dei cattolici alla vita politica del paese, ben diversa dalla politica nel non possumus.
 

6. Un modello di cattolicesimo sociale
 

Taccone Gallucci guarda con fastidio agli sviluppi della società italiana del suo tempo: la società cristiana è diventata pagana e le conseguenze sono dolorose per tutti. "La rivoluzione, - egli scriveva nel 1869 -, non si limita punto ad una protesta contro lo Stato e contro il Trono: la Rivoluzione va oltre, e diventa sociale, essa minaccia di assorbire nella sua tirannide vita, sostanza, coscienza, famiglia, proprietà, tutto".35 Perché "Quando la società cristiana si dissacra nel paganesimo, quando il potere sociale si trasmuta in accozza di padroni e di schiavi, quando i ricchi gavazzanti nell’oro e nella lussuria non guardano più all’indigenza derelitta, quando i borghesi intenti a traricchire centralizzano i capitali e mutano l’operaio in proletario, quando infine la smania di cambiare stato e condizione penetra in tutte le classi sociali; allora la Provvidenza castiga gli errori ed i vizi di una classe coi deliri e colle passioni esorbitanti di un’altra".36 Né il liberalismo, né il socialismo potranno risolvere i problemi, solo il cattolicesimo "salverà il mondo della barbarie".37 L’analisi della società è spietata e le soluzioni prospettate non sono tutte condivisibili.

Nicola Taccone Gallucci nei suoi scritti si fa portavoce di un cattolicesimo, che vuole conciliare insieme giustizia e carità, buona amministrazione dei beni di famiglia e interesse verso il prossimo. Il modello è un cattolicesimo sociale non conflittuale, ancorato ai precetti del Vangelo, favorevole a riconoscere e a dare il dovuto ai lavoratori, un modello forse un po’ paternalista, ma caratterizzato sempre da comportamenti giusti e caritatevoli nei riguardi degli operai e dei contadini. Non ha bisogno, per questo, di rincorrere le utopie del secolo, - mi riferisco al socialismo utopistico e alle tesi di Marx -, perché le stesse utopie le trova già realizzate nel suo piccolo, nell’ambito della sua famiglia, seguendo e vivendo i precetti del cristianesimo.

Egli esprime, prima di tutto, le sue convinzioni in materia sociale, tracciando il profilo del padre, un uomo retto, la cui attività, come egli afferma, fu sempre "impegnata in servizio dell’azienda domestica e dell’utilità pubblica".38 Impegnato contemporaneamente su questi due piani, l’azione del padre si esplicita in ambito privato (amministrazione e migliorie dei fondi di famiglia, rapporti con i coloni) e in ambito pubblico (fondazione di un Monte dei Pegni e di un Monte frumentario), "dighe necessarie al dilagare dell’usura in paese agricolo ed allora poco inclinato all’industria". In particolare, parlando dell’amministrazione dei beni di famiglia, lo scrittore mette in risalto una serie di comportamenti del padre, anche nei confronti dei suoi coloni, dai quali emerge un modello di azione sociale, in anticipo a ciò che sarà l’insegnamento di Leone XIII nella Rerum Novarum. Il modello, nel quale egli stesso si identifica, esprime, prima ancora che un cattolicesimo sociale pensato, un cattolicesimo sociale vissuto e praticato in famiglia, e si caratterizza nel seguire due direttrici principali, che mette insieme interesse privato e interesse pubblico, dove a prevalere è l’interesse pubblico su quello privato.

Da una parte, Filippo Taccone Gallucci, come il buon padre di famiglia, "concentra tutte le sue forze al progresso e all’avanzamento economico della famiglia" e, perciò, "attese a migliorare le condizioni dei fondi aviti; e senza avere fantastiche aspirazioni di arricchire rapidamente, attese piuttosto a renderne più intensiva la cultura, aumentando le rendite, con quella prudenza saggia ed accorta, ch’è previdenza sicura. Non fu audace, come parecchi che spesso raccolgono disinganni da intraprese mal riuscite; ma costante e modesto nelle intraprese, esimio calcolatore, dominato più dalla riflessione che dalla fantasia";39 dall’altra, fu, nei confronti dei coloni, "equanime e giusto, non trasse mai grossi guadagni, profittando dei bisogni dei lavoratori; ma sempre e costantemente ebbe chiara la visione di quella legge Cristiana, che distribuisce santamente il frutto e il prodotto della terra fra il proprietario e il colono". Perciò, "Nessuno dei suoi fittuari ebbe a dolersi di lui, per mancanza di giustizia e di equità nella distribuzione: assai ebbe a lodarsi per gli aiuti ch’ei prodigava nelle epoche di maggiore bisogno, e per quelle facilitazioni che accordava nelle annate non prospere, misere e scarse di reddito. Fu padre e non padrone ai lavoratori dei suoi campi; e la sua mano fu sempre pronta a soccorrerli nelle traversie della vita, mai denegandosi a sollevarli sia con aiuti pecuniari, sia con medicine, sia con dilazioni vantaggiose nei pagamenti, sia anche con consigli nei loro affari privati".40

Dalle parole con le quali Nicola Taccone Gallucci traccia il profilo biografico di suo padre, si delineano i principi di un’etica della "compassione", - da non confondere con la "società compassionevole" dei neocon americani -, assecondata dalla madre, "convinta com’era che la Provvidenza paga con usura coloro che generosamente alleviavano la miseria e la povertà, in omaggio ai precetti del mite Nazzareno, che venne al mondo per insegnare un mandato nuovo, l’affetto e l’amore del povero".41

Il cattolicesimo sociale ha nell’insegnamento di Cristo i suoi principi ispiratori. La dottrina cattolica, infatti, "invece di suscitare in lui [nell’uomo] le passioni egoistiche dell’utilità e del piacere proprio, eccita nel suo cuore la nobile virtù della carità. Non solo gli proibisce di adoperare gli altri per utile e per amore di sé, ma gli impone di amare il suo prossimo come se stesso, e nell’amore va compreso il rispetto dei suoi simili nella coscienza, negli averi, nella persona".42

La società che si auspica è una società, dove la giustizia regola i rapporti di lavoro, così che ogni sfruttamento dell’operaio e del contadino non sia consentito, né giustificato. La carità non sostituisce la giustizia, ma subentra dove finisce lo spazio della giustizia. Perciò, "nel profondo dissidio che divide il mondo in ricchi e poveri, iride di pace è soltanto la carità. I ritrovati umani non risolvono il problema, ma l’arruffano: le utopie socialiste e comuniste, lungi dal togliere la lotta di classe, la rendono più acuta e più feroce: e le leggi di Stato o sono impotenti o sono ingiuste, allorché vogliono porre un freno alle pretese della povertà e alle esigenze della ricchezza". La soluzione al pauperismo e al proletariato non è certamente la collettivizzazione dei beni. Perché, sostiene Nicola Taccone Gallucci, "i forti sopprimono i deboli; e al dimani della festa detta uguaglianza sorge il bagordo dell’ingiustizia, quando la forza prende in sua mano la ricchezza e si fa sgabello per ascendere in alto, mentre i vinti discendono sino alla bassezza della schiavitù. L’umana cupidigia non può essere frenata dalla filantropia, ch’è maschera dell’egoismo".43 Il modello sociale, che egli ha in mente, lo assume dalla sua esperienza di proprietario, attento ai bisogni dei suoi dipendenti e si esprime nella giusta misura di diritti e di doveri. "Il sistema stesso di cultura, - egli scrive -, si riduce all’affitto o alla mezzadria, modi entrambi profittevoli alle due parti interessate, se nei contratti si serba la giusta misura con patti di equità; nocivi se si tramanda quella norma di morale giustizia che dev’essere la legge regolatrice dei reciproci doveri, dei reciproci diritti".44

Secondo Nicola Taccone Gallucci, la Chiesa non può ignorare il problema sociale del proletariato. Deve, certamente, trovare una soluzione attraverso una serie di iniziative di "attenzione" e di "cura": associazioni di beneficenza, asili di arti e mestieri, asili di carità. Tutto questo non basta, perché è necessario "rendersi utili al proletariato, concedendogli lavoro, sorvegliando l’uso dei suoi salarî, amministrando i giornalieri suoi risparmi e così associandolo ai suoi, riabilitarlo socialmente creandogli un piccolo patrimonio e una famiglia in condizioni alquanto prospere ed fiorenti".45

Il compito della Chiesa è "d’informare la vita ed i costumi d’ognuno: essa con un gran numero di benefiche istituzioni migliora le condizioni medesime del proletariato: essa vuole e brama che i consigli e le forze di tutte le classi sociali si colleghino e cospirino insieme a fin di provvedere il meglio che sia possibile agl’interessi degli operai; e crede che entro i debiti termini debbano volgersi a questo scopo le stesse leggi e l’autorità dello stato".46

Taccone Gallucci ha in mente una società ordinata, nella quale possano trovare spazio diritti e doveri di ciascuno. Ma si tratta di un ideale, troppo lontano dalla realtà. Solo un ritorno al Vangelo potrebbe unificare al suo interno la società divisa tra vittime e oppressori. Intanto, con amarezza Taccone Gallucci deve constatare che concezioni, contrarie al Vangelo, si disputano le spoglie della società. Socialismo, comunismo e liberalismo rappresentano, per questo, un pericolo grave per la società, perché la privano della carità, la virtù capace di fare incontrare gli uomini tra di loro, assicurando loro condizioni di vita migliori per tutti.
 

NOTE

1 Discorso del Barone Nicola Taccone Gallucci, Adunanza inaugurale del I Congresso Cattolico delle Calabrie, Morello, Reggio Calabria 1896, p. 22.
2 N. Taccone Gallucci, Carità e filantropia o l’amore con Cristo e l’amore senza Cristo, Tip. dedgli Accattoncelli, Napoli 1875, p. 13.
3 Si vedano, al riguardo, La questione sociale e il pontificato di Pio IX, Tipog. degli Accantoncelli, Napoli 1871; Pio IX, ivi, 1878; L’enciclica sulla cristiana Costituzione degli Stati di Leone XIII, L.F. Cogliati, Milano 1886; Il socialismo, il cattolicesimo e l’enciclica Rerum Novarum, Ivi, 1891; La Chiesa e le forme politiche, Tip. S. Bernardino, Siena 1893; La missione della Chiesa attraverso i secoli. Discorso per la solenne Accademia in onore dell’arcivescovo di Messina mons. Letterio D’Arrigo, 11 aprile 1898.
4 Alcune sue opere sono state tradotte in francese e in tedesco. Si veda la raccolta di suoi saggi pubblicati in francese: Melangess philosophiques et artistiques, L.F. Cogliati, Milan 1885.
5 Il libro Della vita e delle opere del barone Nicola Taccone Gallucci ( Stab. Tip. F. Morello, Reggio Calabria 1906) è anonimo. Dalla lettura si evince chiaramente che l’autore è il fratello Domenico, Vescovo di Nicotera e Tropea. Lo scritto si compone di tre parti( biografia, corrispondenza, recensioni). Più in particolare, nella prima parte del libro, si tratta della vita di Filippo Taccone Gallucci e viene riportato un ricordo affettuoso scritto dal figlio Nicola, probabilmente composto in occasione della morte del padre; a seguire si tratta della vita di Nicola Taccone Gallucci,  opera del fratello Domenico, Vescovo di Nicotera e Tropea. Altre notizie, oltre che nelle lettere, si ritrovano nel suo Viaggio in Italia: ricordi e frammenti (Tip. degli Accantoncelli, Napoli 1874), scritto in occasione del suo unico viaggio a Roma, quando ebbe l’onore di essere invitato dal Papa ad ascoltare la Messa nella sua Cappella privata.
6 Scrive Nicola Taccone Gallucci a proposito di suo padre: «non solo mi ha dato la vita materiale colla trasfusione del sangue; ma mi ha elargito altresì la vita  intellettuale e morale, infondendo nel mio spirito e nel mio cuore tutt’i i tesori della sua vita interiore, tutti gl’ideali della sua mente elevata, tutta l’intensità del suo paterno e insieme paterno amore. Il mio pensiero è saturo del pensiero di lui, e la mia coscienza  è formata ad immagine della sua» (Ivi, p. 2).
7 Il corso di studi, seguito da Nicola e dal fratello Domenico, benché impartito in famiglia, fu particolarmente impegnativo e severo, e per il padre e per i figli. Tra l’altro, questo insegnamento domestico, aveva anche una sua regolarità, perché, come scrive Nicola, «al suo tavolo di studio il nostro Genitore raccoglieva in parecchie ore del giorno, e più nella sera, me e mio Fratello» (Ivi, p. 22).
8 Mons. Pasquale Taccone morì nel 1856, lasciando di sé il ricordo di un uomo di vita “irreprensibile ed austera” e di grande cultura. Di lui Nicola Taccone Gallucci scrive che aveva “mente elevata e sottile”, era «versato nelle discipline filosofiche e morali, studioso dei sommi problemi che interessano la vita, accorto e prudente come un savio dell’antichità, di vita irreprensibile ed austera» (Della vita e delle opere del barone Nicola Taccone-Gallucci , cit., p. 5).
9 Della Sacra Scrittura Taccone Gallucci conosce i testi del Vecchio e del Nuovo Testamento, che cita di continuo, ed anche i commenti più conosciuti e più autorevoli di allora, come quelli scritti dal gesuita di Lovanio Cornelio a Lapide. Tra gli autori citati ci sono anche Ireneo. Ruperto, Alberto Magno, Bonaventura, Scoto, Caietano, Suarez.
10 In casa Taccone si leggeva la Civiltà Cattolica  di Padre Curci , della quale Filippo Taccone era uno uno degli associati, le opere di diritto del Tapparelli, quelle di storia del Brunengo, quelle di letteratura italiana del Bresciani, e, ancora, Cesare Balbo e il Primato del Gioberti. Da queste letture a Filippo Taccone « gli riuscì facile di orientare le sue idee verso la dottrina Cristiana, che guarda le relazioni fra Chiesa e Stato secondo il pensiero del Pontificato Romano, lungi dai sofismi del cesarismo e del regalismo che attentano alla libertà della Chiesa, astringendola all’assorbimento ed alla schiavitù» (Della vita e delle opere del Barone Nicola Taccone Gallucci, cit., pp. 18-9)
11 Della vita e delle opere del Barone Nicola Taccone Gallucci, cit., p. 25.
12 Ibidem.
13 A distanza di anni dalla fondazione di questo circolo, Taccone Gallucci ricorda che tutti i soci erano «caldi di entusiasmo e di fede. Ma i tempi correvano procellosi; e la bufera travolse nel turbine delle onde sconvolte la navicella» (Discorso del Barone Nicola Taccone Gallucci, Adunanza inaugurale del I Congresso Cattolico delle Calabrie, Morello, Reggio Calabria 1896, p.6).
14 Della vita e delle opere del Barone Nicola Taccone Gallucci, cit., p. 27.
15 F. Ramondino nel saggio già citato delinea il quadro storico degli inizi del movimento cattolico nella Diocesi di Mileto. Il quadro è desolante, gli stessi Vescovi sono ostili. Mancano direttive, tutto si regge sulle iniziative dei singoli.
16 Fu proprio Nicola Taccone Gallucci nel 1896 a tenere il discorso inaugurale al I Congresso Cattolico delle Calabrie.
17 N. TACCONE GALLUCCI, Appello ai cultori cattolici delle Scienze e delle Arti in Italia, 1871, cit. in Della vita e delle opere del Barone Nicola Taccone Gallucci, cit., p. 41.
18 Della vita e delle opere del Barone Nicola Taccone Gallucci, cit., 38.
19 G. MORABITO, Elogio funebre per la morte di Nicola Taccone Gallucci,  cit. in ivi, p. 53.
20 N. TACCONE GALLUCCI, L’Europa senza il Papato, tip. degli Accattoncelli, Napoli 1870, p. 2.
21 N. TACCONE GALLUCCI,  L’enciclica sulla cristiana costituzione degli stati di Leone XIII,  L. F. Cogliati, Milano 1886, p.40.
22 N.TACCONE GALLUCCI, L’Uomo-Dio. Studii filosofico-erstetici, cit. L’opera è assai voluminosa e ogni volume contiene quattro capitoli. Singoli capitoli erano pubblicati precedentemente dall’autore su riviste. Su questo tema nel 1877 ( presso la Tip. degli Accantoncelli di Napoli) l’autore aveva pubblicato il saggio L’uomo-Dio: ragione suprema del Bello e dell’Arte..
23 Da ricordare al riguardo una serie di scritti: Sulla libertà della Chiesa. Lettera al Barone Antonino Mantica, Tip. Mareggiani, Bologna 1867; La società moderna e il Concilio Ecumenico Vaticano I, Tip. degli Accantoncelli, Napoli 1869; Il dissidio tra il liberalismo e il cattolicesimo in  ordine alla libertà, L. Romano, Torino 1879. Quest’ultimo scritto è stato ripubblicato in edizione anastatica nel 1972 presso l’Editore Forni di Bologna.
24 N.TACCONE GALLUCCI, L’Uomo-Dio. Studii filosofico-erstetici, , vol. I, cit., pp.X-XI. .
25 Ivi, p.XII.
26 Ibidem.
27 Ivi, p. 15.
28 Ivi, p, 90.
29 F. RAMONDINO, Associazionismo cattolico e formazione dei Comitati Parrocchiali nella Diocesi di Mileto a fine Ottocento, in AA.VV.,L’associazionismo cattolico tra XIX e XX secolo, Sistema Bibliotecario Territoriale Vibonese, Vibo Valentia 1999, p. 69.
30 Le iniziative intraprese in questa direzioni furono assai poche e non ebbero vita lunga. L’elenco prodotto da Ramondino per la Diocesi di Mileto ne dà piena conferma. In realtà si riferisce a iniziative intraprese, dopo il 1919, con il sostegno e l’incoraggiamento del vescovo di Mileto dell’epoca, Mons. Paolo Albera. Si veda ivi, p. 98.
31 Assai significativo, e premonitore, è il giudizio espresso da Taccone Gallucci a proposito dell’impero germanico. Questo impero, egli afferma, «può riguardarsi sotto un doppio aspetto: in sé e nelle sue relazioni cogli stati europei. In sé rappresenta il principio della nazion alità portato all’apogeo della sua pratica applicazione. Fuori di sé è il predominio di una razza sulle altre» (N.TACCONE GALLUCCI, L’impero germanico e l’avvenire dell’Europa, Tip. degli Accattoncelli, Napoli 1872, p.8).
32 F. RAMONDINO, Associazionismo cattolico e formazione dei Comitati Parrocchiali nella Diocesi di Mileto a fine Ottocento, cit., p. 69.
33 N. TACCONE GALLUCCI,  L’enciclica sulla cristiana costituzione degli stati di Leone XIII, cit., pp. 45-6.
34 Discorso del Barone Nicola Taccone Gallucci, Adunanza inaugurale del I Congresso Cattolico delle Calabrie, cit., pp. 21-2.
35 N. TACCONE GALLUCCI, La società moderna e il Concilio Ecumenico Vaticano, cit., p. 25.
36 N. TACCONE GALLUCCI, L’impero germanico e l’avvenire d’Europa, cit., p. 17.
37 Ivi, p. 36.
38 Della vita e delle opere del Barone Nicola Taccone Gallucci, cit.,, p. 14.
39 Ivi, pp.14-5.
40 Ivi, p. 15.
41 Ivi, pp. 15-6.
42 N. TACCONE GALLUCCI, Il dissidio tra il liberalismo e il cattolicismo, Romano, Torino 1879, p. 24.
43 Discorso del Barone Nicola Taccone Gallucci, Adunanza inaugurale del I Congresso Cattolico delle Calabrie, cit,, p. 25.
44 N. TACCONE GALLUCCI,  Il socialismo e il cattolicismo e l’enciclica Rerum Novarum, cit., p. 32.
45 N. TACCONE GALLUCCI, La società moderna e il Concilio Ecumenico Vaticano, Tip. degli Accattoncelli, N apoli 1869, p. 88.
46 N. TACCONE GALLUCCI,  Il socialismo e il cattolicismo e l’enciclica Rerum Novarum, cit.,, pp.20-1.