Nicolino Petracca - ScaglioneNICOLINO PETRACCA-SCAGLIONE

(Ricordi di un vecchio amico)
 

di Carmine Cortese
(1947)


Quando nei meriggi estivi, arrisi di sole e dipinti d'azzurro, dal mio terrazzo guardo con occhio compiaciuto i paesini che da Spilinga scendono verso il mare, e passo in rivista i loro campaniletti, slanciati o nani, sempre sono come attratto da quello di S. Pietro di Ricadi. Quel campaniletto, sfumato e vanescente nella luce, assieme al gemello di S. Zaccaria, mi ricorda con una nota di rimpianto un dolce amico, gentil poeta e colto Sacerdote: l'Arciprete Nicolino Petracca-Scaglione, rapito quasi improvvisamente e in giovane età, alla Chiesa e alle lettere.
Lo ricordo nella sua casa, piena di libri e adorna di quadri, dipinti da un suo illustre antenato, sempre gentile, sempre sorridente, dal cuore aperto alla amicizia sentita e generosa. Lo ricordo nelle sue amichevoli conversazioni, nutrite sempre di cultura letteraria, specie moderna, che incantava e
ricreava.
Da Lampazzoni a Ricadi, un giorno che ebbi la fortuna d'accompagnarmi con lui (certi momenti di gaudio intellettuale non possono così facilmente svanire dalla memoria) volle, non so perchè, parlare di letteratura francese. Scelse Anatole France. Con il suo gusto fine e con il suo conversare fiorito, che alle volte sembrava affettato, ma che non era così, e con una competenza vasta e sicura s'intrattenne ad esaminare molte delle opere dello scettico letterato francese. Sacerdote colto, anche in questioni teologiche, diceva giusta e tempestiva la condanna della Chiesa della <<Opera Omnia>> dello scrittore francese. Era di quei mesi il Decreto del Santo Officio.
Ricordo ancora una mia visita nella sua casa ospitale. Riceveva da gran signore! Si era nel centenario della morte di Dante. Mi parlò del grande Esule fiorentino con un fervore che aveva del mistico. Amava assicurarmi che egli il maggior godimento della mente e del cuore, più che nella lettura dell'Inferno e del Purgatorio, lo provava meditando il Paradiso, nella cui cantica andava a sbocciare, contrariamente a quanto sostenevano alcuni critici, tutta la poesia del Divino Poeta. Teneva sul suo tavolo da studio, scaglionate, varie edizioni del Poema sacro di cui mi comunicava, con un certo mio senso di mortificazione, i vari suoi apprezzamenti critici.
Aveva iniziata la sua carriera letteraria giovanissimo, con scritti in prosa e poesia, su riviste e giornali. <<L'Amico del popolo>>, <<Libertà di Napoli>>, <<La vera Roma>>, <<Fede e civiltà>> e la <<Rivista  storico-scientifica>> di Reggio Cal., <<La scintilla di Matera>> e <<Vita Nuova>> di Tropea ebbero la sua preziosa collaborazione.
Scriveva nella lingua di Cicerone e di Virgilio con eleganza. Non furono parchi di lode il Cardinale Capecelatro, il filosofo Nicola Taccone Gallucci, il Vescovo Lojacono e tanti altri spiriti eletti che sapevano apprezzare la sua cultura e il suo cuore.
Era anche predicatore. Portava sul pulpito soggetti di schietta e sana modernità. Svolgeva il suo tema con parole attraenti e colorite di poesia. Non si sapeva perdere, come facilmente potrebbe accadere, nel manierato e nella mondanità e nella longaggine. Attraeva la mente. Incantava il cuore. Sapeva predicare come sapeva parlare.
Egli che ci teneva tanto all'amicizia di forte e fraterno sentire, era amico di un altro poeta e valente oratore sacro siciliano, del Sacerdote Silvio Cucinotta, ahime!, anche lui volato al cielo di Dio quanto poteva ancora dar tanto alla Chiesa e alle Lettere.
Chiudeva poi nel suo vasto cuore un segreto tutto suo perchè sacerdote: il segreto della Carità. Si commuoveva per ogni cosa triste. Piangeva su tutte le miserie. Per tutti i bisogni dava il suo cuore, la sua mente, la sua... borsa. E lui, sebbene sia passato attraverso grandi dolori, rideva con il sorriso del fanciullo, incapace di animosità e tanto meno di odio. Si raccontano di lui tanti episodi che rivelano il cuor ch'egli ebbe.
Ecco perchè, quando la morte lo ghermì, a 50 anni, fiorente di forze e di salute, la sua bara passò tra il rimpianto di tutto il popolo e di moltissimi amici.
I malevoli, pochi invero ma che al sacerdote non dilettano mai, dissero che Nicolino Petracca era un letterato e un poeta, anzicchè un Catechista di Dio; che amava più la lingua di Virgilio e paludamenti della poesia del Petracca anzicchè il saio di Francesco dAssisi e le Omelie del Curato d'Ars. Noi che lo conoscemmo, non siamo di questo parere.
Amava la poesia (alcuni dicono - più del latino del messale). Ed era poeta. Sacerdote di Dio, era anche Sacerdote delle Muse. Ed io, mosso più da un senso accorato di amicizia, anzicchè da spirito di discernimento critico verso il suo apostolato parrocchiale, solo da quel lato, come poeta, mi è caro ricordarlo. Da anni vado raccogliendo di qua e di là, fiore a fiore, pazientemente e religiosamente, le sue liriche. Tante, ne son certo, sono irreperibili. Alcune me le ha favorite trapidamente il fratello di lui, Pasqualino, rimasto in questa valle di pianto per chiudere nel suo cuore la grande pena della sua famiglia, colpita da molte sciagure, e per contenere le memorie dei suoi illustri fratelli dianzi sera estinti. (Tanti ricorderanno il coltissimo fratello Giovambattista, perito giovane a Messina).
Nicolino Petracca, poeta gentile, amava cantare per lo più in calde quartine, piene di tenerezza accorata. Il suo mondo poetico, in massima parte, era costituito da una vivida immaginazione, da amore immenso per la natura, toccando ancora la corda degli affetti familiari. Mondo poetico che egli quasi esauriva in un piccolo paese agricolo, unito strettamente ai suoi libri, con solo delle frequenti uscite per la predicazione e per incontri con gli amici.
Coloriva il paesaggio di sfumature e di toni vellutati. E queste sfumature e questi toni rendevano suggestivo il quadretto. E son quasi tutti quadretti le sue liriche:

Cala silente e tacita la sera
E si compone in pace la campagna.
Mesta la squilla chiama alla preghiera,
Lontan, lontan, un usignol si lagna.
(Di sera).

Quadretti di genere delicati e trasfusi di una malinconia contenuta sono le seguenti liriche di cui diamo qualche saggio:

Tutto riposa al raggio della luna
Ma il viale è nell'ombra, a noi davanti
S'ergono all'aura in lunghe file brune
i profili degli alberi giganti.
(Paesaggio).

Inaridì la tenera violetta
Sotto il rigor della stagion iemale;
Pende da l'erta e bela la capretta
Al suono d'una nenìa pastorale.
(Inverno).


Movenze pascoliane mostra <<Paesaggio Autunnale>>:

Un'ombra s'incurva fra i pioppi.
O pio agricoltore, che fai?

E una lirica graziosa è <<Per una farfalletta>>. Il poeta canta con metro popolare e suonante l'animaletto che fende l'aria profumata dei campi a zig zag, ma che un bel giorno trova muta ingiallita tra le sue carte:

Farfalletta leggere e gentile,
Opra cara del dito di Dio,
Tu, si vispa e si bella all'aprile,
Perchè sola or tu giaci con me?
Farfallina, m'ascolta che io
Vò parlare un istante con te.

Nella sua maturità artistica, più che con la quartina, espresse la sua vena poetica con il sonetto. Con questo <<breve e amplissimo carme>>, scelto da temperamenti più sintetici e più impegnati nel campo fiorito della poesia, cantò la sua pena e il suo rimpianto di sacerdote e di amico per Giorgio Soulnier, di padre francese e di madre calabrese, giovane di liceo <<disperato per tradito amore>> suicida a Monteleone di Calabria.

Povero Giorgio! nel tuo cor gentile
T'eri chiuso un amor tenero e ardente
Per una fata dall'occhio lucente
Bella qual rosa che sbocciò all'aprile.

E belli e d'un certo valore artistico sono i sonetti <<Inverno>>, <<Di sera Virgini virginum>>, <<Aloe>>, <<Ad un vecchio amico>>, <<Guardando il feretro d'una Clarissa>>. Nel sonetto <<Vecchia fontana>>, su motivi consueti, padron del verso, canta tutto l'incanto triste e gioioso che una vecchia fontana <<nera dalla fresca bocca>> a mezzo del giardino, suscita nelle anime adusate a certe finezze estetiche.
In versi martelliani ricordò affetti gentili e familiari, come <<Per un piccol morto>> e in <<Marcello>>. E in <<Anniversario>>. - <<Povera zia! Ricordo con quanto dolce affetto>> - rievocò una vecchia zia, angelo tutelare della sua casa. Anche qui la materia dei martelliani non esce dal consueto: sono le vecchie zie, come le vecchissime nonne, che vengono religiosamante collocate in un alone di sentimentalismo romantico, le quali hanno sempre favole da raccontare ai nipotini attenti nelle serate nere d'inverno. I martelliani, a distici rimati, del nostro indimenticabile amico mantengono quella tonalità, fatta di ricordi intimi e familiari, che nel tempo stesso infondono nell'anima di tutti un senso indefinito di nostalgia e di rimpianto.
Sacerdote di Dio tentò ancora la lirica religiosa in <<Madonna di Romania>>, <<guardando l'Immacolata del Murillo>>. Per quel che io so, non provò nella lirica civile: forse non vi si sentiva molto ferrato. Tradusse in versi italiani qualche cosa dai poeti francesi, come Teofilo Gautier.
Concludo questi miei affettuosi e... generosi ricordi. Essi non hanno la minima ombra di saggio critico. Sono solo... ricordi generosi. E nei ricordi di cari amici, specie estinti, c'è sempre dell'affettuosità e dell'abundantia cordis.
Forse qualcuno, che non ha conosciuto a fondo Nicolino Petracca, avrebbe amato che la sua poesia non si fosse esaurita nelle piccole cose descrittive, colorite e sonanti, che potrebbero mostrare in un sacerdote una nota di mondanità (il poeta del resto canta quel mondo che chiude in seno). Questo qualcuno avrebbe voluto che la sua lirica avesse rivelato in canti di fede e di amore il tormento interiore per la conquista dei poveri, degli umili, dei martoriati della vita e per la diffusione degli ideali cristiani. Oggi, a tanti anni dalla sua dipartita, non vogliamo rispondere ad un simile quesito. Chiniamo la fronte. Adoriamo il mistero della vita e della morte. Fissiamo con gli occhi della mente due braccia aperte come se volessero stringere in un amplesso il mondo. Noi poveri mortali, amanti impenitenti della poesia e del culto di certe amicizie, contentiamoci di aver ricordato il nostro illustre arciprete Nicolino Petracca-Scaglione agli amici, che tanti ne ebbe.