Nei tempi che furono, era
d'uso individuare, nei piccoli centri - tra le famiglie di rango meno elevato
- le persone
del luogo per mezzo del
soprannome
anche se queste portavano il regolare nome e cognome.
Una sorta di "codice" identificativo
comodo ed efficasissimo per distinguere due o più persone della
stessa famiglia o di famiglie diverse,
tra loro apparentate, ma
con identico nome e cognome.
Si sa infatti che un tempo
le famiglie erano formate da numerosi componenti - era facile contare 15
figli in una stessa casa - e
che quindi l'ereditarietà
dei nomi applicata ai primogeniti incrementava in modo impressionante le
conseguenti omonimie.
Non poche volte era indispensabile
ricorrere a questa "trovata" anche davanti ai Notai o ai Tribunali.
L'uso del soprannome è
antichissimo. I Romani ne facevano già largo uso. In genere, un
cittadino romano, nato libero,
veniva identificato attraverso
tre nomi.
Il primo era il praenomen,
corrispondente al nostro mone di battesimo che di solito era lo stesso
del genitore.
Il secondo era il nomen,
della stirpe (gens) cui la famiglia apparteneva.
Il terzo era detto
cognomen,
del ramo particolare della gens che costituiva la famiglia per una
caratteristica
fisica o morale o ricordo
di un'impresa, soprannome - appunto - divenuto poi nome per tutti i discendenti.
A tale tradizione, fortemente
alimentata dalla fantasia popolare, non si è sottratta neanche la
Gens
Tropeana.
Si cominciò ad usare
quale elemento di distinzione il nome della madre o del padre, come nell'antica
Grecia:
"Peppi i Mica", "Turi i
'Nsina", "Ciccu i Peppi", "Cola i Betta", "Micheli i Nandu", ecc..
Col tempo, il soprannome
venne attribuito per una caratteristica fisica, che corrispondeva preminentemente
ad un difetto:
"Pedi 'i papara", “Puntina",
"Sguerciu", "Mugnulu", "Imburusu", "Longarinu", "Culu grassu", "Tignusu",
"Russu",
"Pilusu", "Scialona" o
ad un particolare comportamento: "Cogghj friddu", "Malignu", "Lapuni",
"Petru 'ca chjovi".
Per frasi pronunciate in
particolari occasioni: "Nesci fora ca ti vitti", “Sciusciami st'occhju",
"Pisci in puppa",
"Rà-rà",
"Colpo di cuchia", "Vrazzu di focu", "Mamma", "Midoli", "Chjù mbìu",
"Chi Lelli", "Trematerra"....
Per il lavoro che veniva
svolto: "Marcu da Luci", "Tumasi 'u Posteri", "Peppi du' gassu", "Gucceri",
"Palumbaru", "Stagninu",
"Scarparu", "Sagristanu", "Guardia", "Daziariu", "Ragiuneri", "Forgiaru",
"Marmuraru".
L'appellativo talvolta identificava
la persona associando il luogo da dove proveniva o nel quale operava nell'ambito
della propria attività
o semplicemente abitava: "Gaitanu a porta nova", "Matteu da posta", "Gaitanu
e tri funtani",
"Gaitanu a chjazza", "Rosa
da ripa" o se non addirittura viceversa: "(Villetta.., Abbasciu..) 'i Lianu",
"(Furnu.., Arretu...)
'i Tonna", "(Arretu...,
Sutta...) 'i Murecci", ecc...
Talvolta prendeva il sopravvento
lo stesso vero nome o cognome ad identificare una persona, anche se "convertito"
in linguaggio locale:
"Tirolu", "Currau", "Stochia",
"Popò", "Meleo", "Tutina", "Ciliu", "Nomicisi", "Caraia", "Mamuni",
"Bonporti",
"A Turri", "Niguru", "Ilardi",
"Sciumara", "Micheluzzu".
Il più delle volte
l'appellativo veniva esteso a tutti gli appartenenti e talvolta ai discendenti
della famiglia dove esso si era originato:
"Gazzusari", "Paschei",
"Ogghjari", "Lattari", "Brigaderi", "Tiroli".
In queste pagine sono stati
raccolti i soprannomi più comuni che circolano ancora oggi a Tropea.
Queste pagine sono aperte
a tutti coloro che ne vogliano segnalare altri ancora, sì da formare
un elenco completo,
almeno di quelli più
significativi.
o
Alta
Marineria
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