LE ORIGINI DI TROPEA E LE GUERRE DI SESTO POMPEO
di Gilberto Toraldo di Francia (1940)
Per troppo tempo, in passato fra gli eruditi, ed oggi fra gli orecchianti, si sono collegate le origini della città di Tropea, con la guerra di Cesare e Pompeo, intendendo con questi nomi che corrono nelle fonti, Cesare Ottaviano Augusto e Sesto Pompeo e ciò perchè non si confondano come recentemente è successo, con Giulio Cesare e Gneo Pompeo. Sembra strano tra competenti, ma certo è una specie, direi, di istinto intellettuale, in mancanza di un dato di fatto preciso, legar le origini di una città ad un eponimo, evidentemente un eroe, il quale, come per l'alma Roma, (con le origini della quale ci son tante affinità nelle origini della nostra Tropea come vedremo, evidentemente per affinità di popoli), tracci il solco quadrato su la terra nera; o ad una celeste colomba che segni la traccia di un tempio sublime su la neve bianca di fresco caduta. Che dire poi quando i più serii e migliori e più antichi cronisti come il Barrio ed il Marafioti, pur facendo cenno a leggende simili, parlano di una città antichissima, ed il Barrio, con molto senno e competenza, pensa ad una origine, dirò succintemente, preellenica? In effetti questi, pur cercando di dare una spiegazione greca del nome, pur avanzando l'ipotesi di un prefetto romano fondatore, egli pensa senz'altro agli Ausonii, agli Oenotrii, ed ai Greci successivamente. Dice infatti il Barrio: Tropaea civitas est mari incubit a tropeo retroverto dicta, quod, ut licet opinari, dux quispiam romanus Classis Praefectus ex Africa, aut aliunde reversus eam condiderit aut ex castello, quod hic erat in urbem (?) aucta. Non enim ora hac vinetis et olivetis altisque arboribue impendio commoda absque abitatoribus, frequentibusque villis ab Auxoniis, et inde ab Oenotriis, aliisque Graecis destituta fuit. Nella prima parte egli riporta l'opinione di Costantino Lascari, di una fondazione ad opera di Scipione l'Africano, opinione riportata fra le altre da Tommaso Aceti il quale pubblicò l'opera del Barrio commentata da lui un buon secolo dopo la prima pubblicazione originale. Nella seconda parte invece mette in avanti la sua opinione personale di una fondazione Ausonia od Oenotria, ciò che dimostra che l'illustre cronista aveva ragione di ritenere che le origini tropeane rimontassero ad un'epoca di gran lunga anteriore a quella dei Romani, sia pure della repubblica. Dicevo che nella prima parte riporta l'opinione di Costantino Lascari. Era questi un greco di preclara dottrina da Costantinopoli e che morì a Messina dove insegnò lettere greche come a Napoli ed a Milano. Scrisse su i siciliani che scrissero in greco pubb. dal Maurolico nel 1562. Dice il Lascari: quod Scipio ex Africa victor prediens eo appulsus sit dii libaturus, ibique trophaeum devoverit. Quali elementi abbia avuto il Lascari per tale ipotesi, non lo sappiamo. Il primo scrittore che lancia non già un'ipotesi ma un'affermazione esplicita su Pompeo è Giano Aulo Parrasio, letterato cosentino del sec. XVI. L'Aceti, nelle annotazioni al Barrio scrive al riguardo: Janus Parrhasius noster Triupheam quod Pompejus exercitu Caesaris fuso ad Promontorium Vaticanum triumphum reportaverit. E lo Scrugli: Venit Vaticana, ibi triumphum egit, et civitatem condidit eiusdem nominis. Della medesima opinione è Luca Histenius, nel suo commento all'Italia Antica di Filippo Cluwer, opera pubblicata nel 1619 dopo la morte dell'autore: Qui ex Sexti Pompej victoria et Trophaeis id huic urbi nomen putat superesse. Le opinioni di questi commentatori sono basate unicamente su ipotetiche possibilità che non hanno alcun fondamento storico. Dimostrano addirittura la ignoranza delle fonti. Non nego che anche le ipotesi possono avere il loro valore nella storia, ma queste devono essere corroborate da un complesso di circostanze con comitanti accuratamente cercate, accertate e vagliate. Lasciamo stare Scipione l'Africano del quale non sappiamo nulla al riguardo. Ma se di Scipione non ne sappiamo nulla, di Pompeo abbiamo ragione di ritenere che della nostra Tropea proprio lui non ne abbia mai saputo nulla. Me ne appello al Muratori che a proposito dell'uno e dell'altro, se ne esce con un neutrum probatur. Nè credo opportuno di fermarmi su l'equivoco di Giulio Cesare e Gneo Pompeo, nato dal fatto che le fonti parlano di Cesare e Pompeo, Pompeo Gneo prima di perdere a Farsaglia vinse Cesare a Durazzo un pò lontano dal promontorio Vaticano. Trattando ora di Ottaviano e di Sesto Pompeo è da osservare primieramente che nessuno degli antichi storici che ne trattano, Appiano, Dione, Plinio, Plutarco, Livio, han parlato di erezione di trofei o addirittura di una città in memoria di qualsiasi vittoria, nè da parte di Ottaviano, nè da parte di Sesto. Non mi pare che dopo 1500 anni gli appassionati abbiano trovato elemento alcuno a corroborare la loro ipotesi. Ma l'ipotesi è stata lanciata, stampata, ripetuta, resa quasi come indiscusso avvenimento storico specie dai profani orecchianti; si rende quindi necessario appellarsi a la storia. Nell'anno 38 a. C. Ottaviano, non potendo più ancora tollerare Sesto Pompeo che, padrone della Sicilia, scorazzava con le sue navi ostacolando sul mare i rifornimenti di Roma, ne decise la guerra non solo, ma volle comandarne lui stesso impresa. Senza dilungarsi in troppi particolari, anche perchè dalle stesse fonti si rileva trattarsi di un periodo storico un pò oscuro, con narrazioni ora arruffata come in Anneo Floro; ora prolisse come in Dione; ora contradittorie come in Appiano, il certo si è che la prima parte de la guerra si conclude con esito incerto militarmente parlando, ma in effetti disastroso per Ottaviano il quale, pur non essendo stato vinto da Sesto, fu vinto da una delle solite tempeste dello stretto che lo costrinse a riparare su le coste Calabre per riparare le navi sconquassate dalla furia delle onde; ed egli stesso in condizioni pietose. Altro che trofei! Quanto a Pompeo, questi, anco lui malconcio riparò nella sua Sicilia. Per quanto si sia fatto un dovere di spedire i suoi ringraziamenti a Nettuno, nessun trofeo ha pensato di erigere con buona pace dell'Holstenius e del Parrasio. Due anni dopo la guerra si riaccese, questa volta con esito molto bene diverso non ostante la incapacità di Ottaviano e le stesse avversità della tempesta. Iniziatasi al largo delle Lipari e con lo sbarco a Taormina, nelle vicinanze di Nauloco a Nord Ovest della Sicilia si combattè la battaglia navale conclusiva che decise della fuga di Pompeo con la figlia verso l'oriente. Siamo alla fine di agosto del 36. Ottaviano, neanco adesso pensò a trofei perchè credè più opportuno inseguire Lepido verso il mare africano, per poi tornare direttamente a Roma forse per la via di Brindisi, e dove l'intero Senato si fece premura di venirgli incontro. Se gli scrittori che si sono occupati di questo argomento fossero stati soltanto quelli precedentementi segnalati, il nostro assunto, che nella fondazione di Tropea l'ipotesi di un'opera di Ottaviano o di Pompeo è fantastica, sarebbe stato dimostrato ad abundantiam e saremmo stati dispensati da ogni altra ulteriore illustrazione. Se non che noi ci troviamo difronte a pubblicazioni a stampa di molto posteriori ai tempi dei nostri autori esaminati; pubblicazioni che anco oggi si succedono sia pure in pessima copia di precedenti scritti (a mano o stampati), pubblicazioni che meritano un esame dal momento che, non essendovi alcuno che si prenda la briga di controllarli e dar loro l'importanza che meritano, vengono ritenuti dommatici in questo campo dalla grande massa del pubblico curioso. Limitandomi al più serio, Nicola Scrugli, dotto ed appassionato raccoglitore di nostre memorie, ha cercato la storia di Tropea negli scritti di molti che se ne sono occupati. Peccato che non abbia cercato di controllarne direttamente le opere edite e più ancora non abbia studiato le fonti. Con la sua competenza avrebbe senz'altro sfatata la leggenda di Sesto. A pag. 17 del suo: Port'Ercole e Tropea troviamo scritto quanto segue: <<Svetonio Tranquillo inoltre crede che sia stata fondata da Ottaviano quando col mare tempestoso, incontratosi con la flotta di Sesto Pompeo tra Melazzo e Naulice l'abbia vinto, e dai trofei: Pompeium et Milas et Naulicum superavit etiam invito Neptuno>>. Ecco invece cosa dice Svetonio: <<In quo cum hieme tota copia sexercuisset, Pompeium inter Miles et naulochum superavit... (e più avanti) Alii dictum factumque eius criminantur, quasi classibus tempestate perditis exclamaverit etiam invito Neptuno victoriam ad edepturum ac die circesium proximo solemni pompae simulacrum dei detraxerit>>. Non mi pare che si possa trovar cosa che ricordi o supponga un trofeo nel passo di Svetonio. L'orgoglioso triunviro invece buttò a mare per ringraziamento il simulacro di Nettuno da quale vantava la sua discendenza. Trovo poi nello stesso Scrugli, o. cit. che: Salvidieno, generale di Cesare contro Pompeo (parla del primo combattimento del 38), per la violenza del mare la sera della battaglia di dove ritirare nel porto del mare <<Balcanico>> per ristorarsi. Ora dice, se il porto Balcanico si vuol credere Porto di Ercole chè altro porto non era tra Reggio e Vibona, non Pompeo ma Cesare dovette erigere il trofeo. Il porto Balcanico è una spaventosa traduzione dal brano di Appiano fatta chi sa da chi e riportata dallo Scrugli: <<es limèna pros portmou Balaròn>>. Il <<Limèn>> vale rada e anche porto, meglio seno riparato dai venti. Quanto al Balaròn, i Balcani non c'entrano per nulla. Per trovare il rifugio di Salvidieno, non è necessario proprio arrivare a Tropea, tanto lontana per quei tempi e con navi scassate dallo scirocco; e neanche a Bagnara rada senza rifugio. Per trovare il rifugio basta leggere Appiano che vi dice pros portmou: davanti allo stretto. Si tratta della bella e provvida baia di Scilla, ottima per star riparati dallo scirocco e scrutare le mosse del vicino comandante nascosto nel porto di Messina. Strabone nella sua geografia distingue nettamente <<l'Eracleus limèn>> dal <<limèn balaròn e la confusione non è ammissibile. Un buon cronista dei primi del '700 l'abbate Sergio, in una sua opera manoscritta, ripetè l'istesso errore; un tal Campesi, circa trent'anni dopo pubblicò l'opera del Sergio come propria ripetendo, naturalmente lo stesso errore che si perpetua anche in qualche scritto contemporaneo. Leandro Alberti, parlando di Tropea, dice: Vogliono alcuni che detta città acquistasse il nome di Tropea da alcuni Tropei che quivi si vedevano, e che sia molto antica. Egli è possibile che il fusse così ma io non mi ricordo d'aver ritrovato che qui vi fossero aluni Tropei. Questo lo stato di fatto nel 1500 quando scriveva l'Alberti. Di trofei nella nostra cittadina non se ne vedevano allora perchè non ce ne erano mai stati dove ci furono, ci sono. Gli <<alcuni>> invece non videro mai tropei, ma li hanno immaginati traducendo nel latino e poi nel volgare la parola greca declinata al plurale. Della immaginazione son passati alla possibilità; da questa, alla certezza, il passo è breve. E' interessante seguire e studiare la tenacia di certe ipotesi emesse da qualche isolato studioso su le origini del proprio loco natio, alla quale si attaccano i curiosi, e più ancora la facilità della diffusione nel gran pubblico delle ipotesi stesse, le quali, non appena messe fuori in qualche discorso e, peggio in uno scritto, assumono la forza di una verità indiscutibile e già nel dominio della scienza.