La maschera di Coviello impiegata da Ottavio Glorizio
RIFRANGENZE TELESIANE LA SUBDUCTIO DELLE COMMEDIE TARDOCINQUECENTESCHE DI OTTAVIO GLORIZIO
di Elena Candela
Nella cultura meridionale di tardo Rinascimento ha avuto grande rilievo il naturalismo telesiano che, sotto forma di antropomorfismo e finalismo, si identificava nello « sforzo supremo dell'uomo » come attività etica, come
Questo concetto è stato formulato da Giovanni Gentile nei suoi studi sul Rinascimento. Il criterio che interpreta la « natura » telesiana come una realtà non diversa dall'uomo, vede in questo « naturalismo materialistico » « la prima affermazione della libertà dello spirito » in senso « platonico e teologizzante ». Per Gentile l'« empirismo » telesiano suppone un concetto profondo dello stesso uomo che va verso l'età moderna, ma che non ha niente di pre-kantiano o di pre-positivistico e forse non si ritrova nemmeno nel concetto baconiano del regnum hominis2. L'interesse della critica per l'opera di Bernardino Telesio era sorto nella seconda metà dell'Ottocento. Bertrando Spaventa con i suoi saggi critici su Giordano Bruno e su Tommaso Campanella aveva avviato gli studi sulla « circolarità del pensiero italiano », affermando che la filosofia moderna era sorta in Italia con i pensatori del Rinascimento, e che col Bruno e il Campanella era poi emigrata in Europa:
Quando le intelligenze di un popolo hanno a combattere contro la forza materiale e prepotente [...] accade che, per così dire, l'idea filosofica emigri e vada in cerca di altra terra, in cui possa vivere e fruttificare3. E ancora di Campanella, di Bruno e di Galilei discute Francesco De Sanctis nel capitolo La nuova Scienza della sua Storia della Letteratura italiana (voll. 2, 1970-1972), che va valutata come modello d'interpretazione, storica e letteraria, di una visione unitaria della cultura e delle sue valenze civili. De Sanctis vede in Telesio colui che tra i nuovi filosofi e tra i liberi pensatori inaugura nell'Accademia Cosentina la tendenza all'investigazione dei fatti naturali e il filosofare libero da ogni astrazione e forma scolastica. In seguito si ebbero gli studi, innervati dalla nuova impostazione storiografica, di Francesco Fiorentino nei due volumi su Bernardino Telesio (1872-74) che s'inserirono nell'hegelismo napoletano con una corolla di ricerche specifiche, col sotteso intento di ricostruire la biografia culturale della patria: Bernardino Telesio - ossia Studi Storici su l'idea di natura nel Rinascimento italiano4. Ciò veniva attuato attraverso attente ricerche storiche, sulla ricostruzione di ambienti, personaggi, polemiche e documenti «inediti e rari»5
Io - scriveva l'autore al suo maestro Bertrando Spaventa - non ho scoperto nulla, neppure un indirizzo medio che mi giovasse a destreggiarmi fra opposti sistemi [...] ho speso bensì cinque anni di ricerche e di studio6.
E dichiarando le sue intenzioni a Camillo De Meis, al quale dedicava il secondo volume, scriveva:
Tu che in ogni tuo lavoro hai mostrato con quale felice connubio si potesse disposare la speculazione con le scienze naturali, mi parevi più di tutti in grado di valutare quel periodo della nostra filosofia, quando essa non si era sequestrata ancora dalle Scienze positive. La tua sicura intuizione filosofica coilimava con la valente critica del nostro Bertrando, ed entrambi mi avete additato, attraverso le orme intricate ed i sentieri incrociantisi della Rinascenza, la via maestra, a capo della quale si rinviene la filosofia moderna7.
Il Fiorentino fa coincidere l'inizio della filosofia italiana del Risorgimento, che chiama la nostra filosofia, con il pensiero della Rinascenza meridionale, cioè con la rivoluzione filosofica di Telesio. Il punto di congiunzione dei due volumi è l'idea della natura da Telesio a Galilei8. Un continuum che vede Telesio iniziatore di un filone nuovo di pensiero e che induce il critico ad attraversare l'opera telesiana senza analizzarla iuxta propria principio, rivolgendo poca cura a quella sezione del trattato dove si discute del « sentire, intendere ed agire » dell'uomo9. Nel suo studio due esigenze critiche si avvicendano: autonomia critica e storiografia idealistica: una sovrapposizione che è anche ricerca metodologica. Il critico calabrese (era nato a Sambiase) prende in esame il De rerum natura, e allarga lo studio fino a delineare un'età e un ambiente complesso e ricco di figure, utili alla ricognizione del pensiero meridionale. Nella scia di questi studi critici, accentuandone però l'aspetto positivo, si poneva molto tempo dopo Enrico Troilo che pubblicava a Modena (1910) un Profilo su Bernardino Telesio10. Dobbiamo giungere a Giovanni Gentile, dunque, per veder posto in luce l'aspetto di Telesio rimasto inesplorato: la sua ricerca portava alla conclusione che « senza essere una metafisica la filosofia telesiana non avrebbe potuto esercitare l'influsso che ebbe nel naturalismo meridionale »11. I motivi « sapienziali » e « platonici » sono per Gentile presenti sia in Bruno che in Telesio e in tutto il pensiero naturalista rinascimentale fuori dall'astratta trascendenza scolastica. Spostava così la tesi del Fiorentino, che del Telesio aveva ripreso l'aspetto del fisico, facendo scorrere il suo discorso fino al Galilei. L'ultimo paragrafo, Dell'idea della natura, è infatti dedica to a Galilei, Bacone e Cartesio. Gentile, invece, più che al Galilei guarda allo sviluppo del pensiero meridionale in rapporto al pensiero rinascimentale che da Telesio giunge a Campanella. Comunque gli apporti critici, sia dell'uno che dell'altro, sono da tener presenti in solido, e ad integrazione di essi una riflessione torna utile a un più centrato discorso sulla efficacia contestatrice del rivoluzionario pensiero telesiano nei confronti della cultura tardo-medievale e tardo-scolastica, quindi sulla sua « funzione di rottura e di preparazione »12. Intanto non bisogna sottovalutare il fatto che a Napoli, insieme al rigoroso naturalismo telesiano antiaristotelico, a favore della realtà sensibile ed autonoma, si trovavano motivi platonici che vedevano una natura come «libro vivente di Dio », connessioni tra natura e forza divina, corrispondenze tra natura e spirito che spiegano il perché di quella ricerca magica, astrologica, fisiognomica di Della Porta e sulla stessa linea di Campanella: il primo che si mostrò poco sensibile alle tesi telesiane e il secondo che di queste informò la sua formazione filosofica13. Per vagliare quanto le tesi naturalistiche del cosentino Telesio abbiano influito sulla cultura meridionale, importanti studi, non molti anni addietro, hanno impegnato specialisti, filosofi e storici. Studi sul Rinascimento meridionale, d'altronde, animano centri culturali, sorti per far luce su un'area temporale e spaziale ricca di cultura, ma ancora non debitamente esplorata. Senza indugiare su competenze di altri campi di studio, di verifica di tesi affini o contrastanti, di filosofia o storiografia del pensiero, di incidenze di critica autonoma o impostazioni metodologiche di varia provenienza, il nostro studio s'inerpica su questo periodo, ma con intenti letterari e in particolare dì letteratura teatrale. L'impegno è di verificare, sul campo, tra pensiero e prassi letteraria, quanta incidenza abbia avuta questa realtà nuova di pensiero anche in ambienti periferici.
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Manca una esaustiva ricognizione critica sul territorio meridionale rivolta agli ambienti accademici che presero parte alle dispute culturali del tempo. Ma un riferimento interessante lo offre, inaspettatamente, il prologo di una commedia, Le Spezzate durezze14 di Ottavio Glorizio, giureconsulto nato a Tropea nel 1536, legato all'atmosfera culturale di Napoli, dove era giunto per completare gli studi nel 1555 e dove si era laureato in giurisprudenza nel 1570. Nella capitale la presenza di Telesio e di Giambattista Della Porta, poi di Giordano Bruno e di Tommaso Campanella, aveva rinnovato il clima culturale, suscitando interessi, riflessioni e polemiche. Da alcune convinzioni di studiosi, ma soprattutto dalla verifica di riscontri e fatti, apprendiamo che Telesio trovò molti sodali tra uomini di formazione umanistica, filosofi non « scolastici » e medici, in ambienti non accademici o universitari. Egli stesso si ritenne fuori da ogni implicazione enciclopedica, Lontano dalle auctoritates. Contro Aristotele, contro Galeno e in genere contro huius temporis philosophi, Telesio rivolse la sua investigazione alla realtà sensibile15. Napoli non era un ambiente asettico. Già pullulavano idee naturalistiche e Simone Porzio, interprete in senso ortodosso dei testi aristotelici, ma sicuramente interessato ai fenomeni naturali, aveva pubblicato il suo De rerum naturalium principiis (Napoli 1553) che aveva rappresentato quasi inavvedutamente il passaggio dalla tradizione peripatetica, alla quale si legava la sua Disputatio de humana mente (Firenze 1551), a una disputatio deterministica, mentre da più parti si erano andati enucleando risentimenti e interessi eversivi verso la cultura ufficiale16. Fuori dai luoghi deputati per l'insegnamento si tendeva a uno studio della natura come forza viva, ma soprattutto la si riteneva mossa da « principi propri ». Telesio nel 1553 aveva già messo in cantiere il suo De rerum natura ed alcuni opuscoli17. Con questi si era reso noto nell'ambiente napoletano che il calabrese Glorizio certamente frequentava, se poteva trascrivere nel prologo e in alcuni dialoghi della sua commedia la sua aderenza a questa novità di pensiero. Il nuovo filone antiautoritario veicolato nel teatro, o nella letteratura teatrale, da vivi testimoni diretti a un pubblico acuto e interessato, rende la pièce più drammatica, proprio perché in essa si rispecchia la conflittualità esistente tra il vecchio e il nuovo sistema culturale. In una delle scene più interessanti Ermete, il pedante delle Spezzate durezze, a suo modo equilibrato, ma preso da problemi esistenziali, si sente scadere nel suo ruolo di detentore della cultura ufficiale, accademica, tardo medioevale e neo scolastica, peripatetica. La sua posizione culturale è affrontata dal giovane discente che lo colpisce con una sua battuta allusiva e provocatoria: «Voi dimostrate di non aver letto, perdonatemi maestro [...] »18, e qui il giovane si riferiva a letture di trattati circolanti nella nuova area telesiana, nella nuova tensione filosofica e culturale. La commedia di questo autore calabrese trasuda di risentimento verso i vecchi schemi radicati nelle autorità ufficiali: la cultura tradizionale, sostenuta in alcuni dialoghi dal pedante, e la vita di corte con i suoi privilegi, sostenuta dal genitore del giovane discente, autoritario e benpensante. Al volere di quest'ultimo, che per il figlio vorrebbe una sistemazione codina, presso una corte, il giovane si oppone con sdegnoso scetticismo, esclamando: « [..] ben sapete quella reverenza che vi ho portato, ma adesso pensate con lo scudo dell'autorità paterna, di volermi sottoporre al peso della servitù [...] e farmi diventare quel ch'io non sono? >>19. Risentimento aretinesco è questo, e in senso lato è il tema dell'eterno contrasto tra padre e figlio, presente nelle commedie letterarie, ma, nato in un clima antiautoritario, è portavoce di nuove ideologie e di nuovo senso di giustizia. Al « prologo » Glorizio dà una funzione programmatica sui generis, di pressione mentalistica, che ci introduce senza preamboli nell'atmosfera del dibattito filosofico di quel particolare tempo culturale. L'urgenza di teorie naturalistiche affiora dalle righe in una carrellata di giudizi sull'uomo e il suo « luogo »: «fra tutte le cose create, il più degno, e il più evidente luogo è quello dell'uomo ». Poi spiega il perché di questa nobiltà del luogo umano: « Perché se volete cercar tutti i loro gradi, troverete ch'egli solamente è quello che partecipa con tutti>>20. È evidente la particolare attenzione che l'autore riserva al termine «luogo ». Telesio parla di luogo (spazio) nella terza edizione (1586) del De rer«m natura (I, 28), dove contesta ancora una volta le congetture dei peripatetici perentoriamente:
Infine, essi aggiungono, il luogo è più nobile e precede ciò che in esso è posto, ma lo spazio, èssendo privo affatto della qualità e della sostanza, non potrebbe apparire nè più nobile nè precedere gli enti, che in essi sono collocati21.
Nel prologo non vi è il termine « spazio », e come tale, quindi non è affrontato, ma si parla di «luogo », sottintendendo che il luogo dell'uomo è all'interno di uno spazio che esiste anche per altri elementi, come si legge in Telesio. Glorizio sottolinea però la nobiltà del luogo dell'uomo, a differenza di quello degli altri enti con i quali « partecipa ».
Perché se volete cercar tutti i loro gradi troverete, che egli solamente è quello che partecipa con tutti. Poiché nel primo grado fa parte dell'essere, nel secondo nel vivere, nel terzo il sentire e nel quarto nell'intendere, quindi è che l'uomo è con gli Elementi, con li cieli con le piante con li metalli e con le gioie, vive con le piante e con l'erba, sente con li bruti della terra, con li pesci del mare e con gli uccelli dell'aria e finalmente intende con gli angeli, e però nelle sacre carte viene chiamato ogni creatura, anzi per essere l'anima di quest'uomo, dotato di quelle tre potenze, dicesi essere creata ad immagine e somiglianza di Dio, a ragione perché avendo quel grand'Architetto fabricato questa gran machina del mondo con tanta bellezza e varietà di cose, volse creare quest'uomo accioché con la ragione considerasse l'artificio dell'opera, amasse la bellezza e si maravigliasse della grandezza di quella e lo fece a sua somiglianza [...]22.
Dalla lettura di questo passo viene spontaneo un confronto con il IV (28-29) del De rerum natura, dove Telesio dice:
Per nessun uomo, che con un po' d'attenzione consideri le forze e la grandezza del cielo e della terra e la sua costruzione e il suo moto può essere dubbio ed oscuro il fatto che il mondo non è stato costruito a caso ma da un artefice molto sapiente e potente ed ottimo, e cioè da Dio stesso, e che questi ha voluto che fossero prodotti e conservati così come sono, non solo il cielo e la terra, di cui sembra che il mondo consti, ma anche tutti gli enti, i mari, le altre acque, le pietre, i metalli, le cose sulfuree, bituminose, e tutte le specie di piante e di animali, e soprattutto la specie umana23.
Nel V e nel VI libro, il filosofo cosentino tratta degli esseri viventi e cioè delle piante e degli animali; mentre negli ultimi libri VII, VIII e IX tratta del sentire, intendere e agire dell'uomo. Il suo è un naturalismo materialistico dove i presupposti religiosi restano presenti ma non imbrigliano le sue tesi. Quando l'uomo è oggetto delle sue analisi, lo analizza fra tutti gli altri esseri viventi e lo tiene in considerazione col suo spiritus, derivato dal seme, ma informato dall'anima divina.24. Riprendiamo Glorizio:
anzi per essere l'anima di quest'ultimo, dotata di quelle tre potenze, dicesi di essere creata ad immagine e somiglianza di Dio, a ragione perché avendo quel grand'Architetto fabricato questa gran machina del mondo con tante bellezze e varietà di cose, volse creare quest'uomo, accioché con la ragione considerasse l'artificio dell'opera, amasse la bellezza e si meravigliasse della grandezza di quelle e lo fece a sua somiglianza25.
E qui Glorizio non fa riferimento espressamente alla « Sapienza » di cui parla Telesio nel « libro nono »26 ma sottolinea, con dovizia, il principio che regola le azioni umane e la conservazione, attraverso la ragione: il principio etico. Chiaramente vi è traccia della rilettura e della riscrittura di un aristotelismo e neoplatonismo in cui il naturalismo telesiano si assomma alla riconquistata ragione umana. L'autore era andato via da Napoli27 nell'anno in cui proprio in questa città veniva pubblicato per la seconda volta il De rerum natura iuxta propria principia di Telesio (Roma 1565, Napoli 1570). Ma nel testo della commedia gloriziana sono presenti anche - le Discussiones Peripateticae (apparse parzialmente a Venezia nel 1571 e poi, nella versione definitiva, a Basilea nel 1581 in quattro torni) e la Nova de Universis Philosophia (Ferrara 1591, Venezia 1593) di Francesco Patrizi; come pure, in alcuni dialoghi, sollecitazioni e riferimenti ci sembrano ripresi dal Trattato dell'Ingegno dell'uomo28 (1576) di Antonio Persio. La Nova de Universis Philosophia si confronta esplicitamente con il sistema telesiano, ma chiarisce altrettanto esplicitamente la sua posizione affermando: cognitio omnis a mente primam originem: a sensibus exordium habet29. L'opera di Patrizi ha una vasta appendice che raccoglie gli oracoli di Zoroastro, i testi ermetici, la Theologia Aristotelis e l'Ordo scientificus dei dialoghi platonici da lui scoperto. Con tale sistemazione l'autore proponeva una filosofia che, dopo il dominio della scolastica peripatetica, fosse in grado di esprimere una nuova ideologia della chiesa di Roma di stampo platonico ma nell'ortodossia, attraverso il riferimento ai Padri della chiesa. L'opera patriziana, che si può riallacciare alla tradizione rinascimentale platonico-ermetica, si basa su concezioni ispirate al platonismo ficiniano, in un recupero dell'autentico significato del divino e del suo rapporto con il mondo attraverso la luce. Anche Patrizi come Telesio parte dal senso, ma per il chersino « la conoscenza come riconoscimento delle cause prime della realtà è qualcosa che la mente ritrova, platonicamente, in se stessa [...] piuttosto sul piano della rivelazione che su quello della dimostrazione »30. Riconosce come guida dell'uomo la forza della ragione e crede nella corrispondenza tra le cose generate (come avviene nel prologo gloriziano), in contrasto con Telesio, il quale non ammette la potenzialità della ragione a sfavore del senso31. I dubbi già espressi nelle Obiectiones (Venezia 1572), nel Liber de Principiis (Roma 1596) diventano certezze per Patrizi che rifiuta un sistema che si basi esclusivamente sul senso e che « concede poco o niente alla ragione ». Non bisogna sottovalutare, però, il tentativo di porre le sue teorie distanti da quelle telesiane per renderle accette all'Inquisizione. Ma il sogno di unificazione religiosa su stampo neoplatonico non bastò a salvare la sua opera che finì segnata dal Santo Ufficio nell'Indice insieme al De rerum natura di Telesio. Il prologo di Glorizio continua la sua presentazione con altre affermazioni:
Pari Spettatori che sia poca la nobiltà dell'uomo, vedasi in questo la fatica che durorno l'antichi scrittori per trovar il nome conveniente alla sua grandezza, poiché alcuni lo chiamarno animale, signore di tutti i più eccellenti degli altri, alcuni dissero, che l'uomo è animal nobilissimo [...] perché a dire il vero non è sostanza creata che arrivasse all'eccellenza nobiltà e grandezza sua. Or quest'uomo, signori non contento delli benifici della natura, con l'acutezza dell'ingegno cercò di investigar molte cose, con le quali potesse in qualche modo giovare [...] la Filosofia per investigare li secreti della natura, altri la Medicina per guarirci nelle infermità e preservarci nella salute, altri fecero le leggi per conservare le Republiche e per la quiete umana, ma che più? Alcuni volendo all'utile aggiungere il condimento del diletto, trovorno il Poema della comedia la quale giova e diletta insieme, poiché in essa apertamente si vede l'immagine della vita nostra e sott'il velo d'una favola dilettevolmente si rappresentano le azioni umane, lodando la virtù e biasimando il vizio, si che s'impara d'abbracciar quella e di fuggir questo, la onde non è meraviglia se anticamente era sì cara la comedia [...] stimando questo poema un lucidissimo cristallo nel quale fissando gli occhi dell'intelletto apertamente non meno che nello specchio materiale si conoscono i difetti dell'animo e c'insegna ad accomodarci alla vita perfetta, come vedete or ora nella comedia che questi signori e academici vogliono per vostro e loro diletto rappresentare in questa scena nella quale cono scerete il sale di questo poema e l'artificio che ci bisogna [...]32.
Dopo le riflessioni sull'impegno etico dell'uomo che con « l'acutezza dell'ingegno cercò di investigare molte cose, con le quali potesse in qualche modo giovare »33, l'autore passa al fine della commedia: il dilettevole, ma soprattutto l'utile, fine etico che « c'insegna d'accomodarci alla vita perfetta gustando il sale di questo poema e l'artificio che ci bisogna »34. L'esortazione a prestare attenzione all'accademica rappresentazione, « Pregovi dunque signori a prestarci grati l'orecchi, né mi fate durar fatica a procurar silenzio », è questione di maniera e ci riporta all'ortodossia plautina e terenziana, quando il prologo rivolgeva al pubblico questo invito: « dovete farmi il piacere di starvene in silenzio » (Amphitruo)35. Era un modo di comportamento che ben si sposava con l'utile che se ne sarebbe tratto: « dateci una mano, prestateci la vostra attenzione, in silenzio [...] » (Eunuchus)36. Ma anche in questo scorcio di prologo Olorizio è attento a provenienze antiautoritarie di teorie companelliane che lo avvicinano altresì a quelle del Bruno e del Patrizi. Dalla Poetica italiana (1596) riprende il termine « poema » che spesso sostituisce quello più limitativo di « commedia »; da essa trae anche i suggerimenti di condotta che dovrà avere la rappresentazione. Il riferimento a Sforza Oddi da preferire a Plauto ci sembra determinante nelle scelte tematiche che l'autore fa per l'argo mento. Campanella nella sua difesa della « verità » affianca al diletto, in modo determinante, l'impegno sociale e definisce l'ingegno del poeta come ingegno architettonico per la sua capacità di creare. È sulla linea tradizionale e convenzionale, ma dà un nuovo impulso alla legittimità della favola a favore di un utile sociale. Fa nascere il poema-commedia nelle repubbliche popolari sia qualunque la sua origine e fine, basta che può essere utile a noi nella maniera che agli antichi, onde si dirà che sia un poema sciolto imitazione della vita mediocre o specchio della conservazione umana [...]37. Campanella, Bruno e Persio sono presenti anche nei dialoghi della commedia, dove il pedante Ermete è impegnato nella difesa delle sue posizioni. Ancorato alla cultura neo-scolastica, è condizionato dal suo nome, dice di impartire «la scolastica disciplina ermetica ». Il suo modello è Ermete Trismegisto che (anche se mai nominato) era ritenuto dalla letteratura ermetica del tempo come colui che ha dato onore alla filosofia, perfezione dell'anima e medicina del corpo. Il primo dialogo Io affronta con Cornelio, padre di Fabrizio e padrone della casa dove alloggia, il quale mostra sfiducia verso l'addottoramento del figlio. Preferisce che « monsignor Governatore » dia il suo consenso affinché Fabrizio, giovane innamorato, parta per la corte del re di Spagna con il « Cardinale legato »38. Ermete cerca di dissuaderlo appellandosi al valido insegnamento che lui gli impartisce, di Giustiniano e Cicerone. In altri dialoghi i suoi modelli sono Isidoro, Francesco Patrizi del De Institutione reipublicae, Boezio di Dacia, Platone, Teofrasto. Colpito nel proprio orgoglio, cita Seneca: « altro non è questa risoluzione che avarizia ben disse il gran Senica,in libro de moribus: avaritia senilis est similis monstro »39. La sua figura però non è una caricatura del tipo cinquecentesco, in questa commedia è il simulacro della sopravvivenza di una condizione culturale e sociale. Non è goffo quando con duttile umanità dice: << se ben povero [...], Senica libro primo epistolarum ad Lucilium: honesta res est leta paupertas, assai ricco sono mentre mi contento del mio stato, disse il medesimo Senica>>40. In queste battute c'è il risentimento di una cultura consapevole del suo superamento. E' questo il punto di transizione dal vecchio al nuovo. Ed il pedante Ermete ha solo questo incarico nella Spezzate durezze, col suo ruolo pensato apposta per lui. Nuovo, di fattura intellettualistica e molto brioso nei lambiccamenti tendenziosi, è l'altro dialogo che il pedante ha con il giovane innamorato. L'uno e l'altro adoperano concetti di trattati d'amore: anche in questo, sono a confronto due posizioni: la tradizione stilnovistica e le tesi naturalistiche di origine telesiana. Ma questà volta il pedante adopera la tecnica del prevaricamento, sostanziato dal falso moralismo con l'apporto di un latino medievale (ex. tua michi voluntas), incline al volgarizzamento, anche quando cita dalle auctoritates. Le elucubrazionì dell'uno s'intrecciano con i sottili riferimenti ai testi naturalistici dell'altro dandoci il chiaro orientamento culturale dell'autore. Il giovane sotto il velame della filosofia impartita dal maestro, quella ermetica, neo-platonica (di Ermete Trismegisto) nasconde altro.
Fabrizio - Volete ch'io lasci la più bella cosa che ha il mondo, quella che mantiene il tutto, non m'avete voi più volte detto, che Iddio governa il mondo con amore e che quelle separate intelligenze per amore assistono nei corpi celesti e che l'anime nostre per l'istessa ragione s'uniscono con i corpi umani e che tutte le cose create, hanno in se stesse un reciproco affetto di modo che amore è quello che dà l'essere al mondo e le cose, e mi meraviglio maestro che voi, che sete savio, volete ch'io lo lasci. (I, 7)41.
Qui si possono cogliere, attraverso rifrangenze ironiche e furbesche, proprie del parlare dei giovani in commedia, riferimenti al pensiero bruniano contro la Scolastica e contro Aristotele. Bruno nei dialoghi De l'infinito universo e mondi, nel poema latino Su l'immenso e nelle Ceneri delle Ceneri, per primo concepì, animati e singoli mondi nell'infinito universo e riferì alla terra e a tutti gli astri una propria anima sensitiva e intellettiva. Sono intuizioni che trovarono proseguimento nella metafisica di Campanella, per il quale l'armonia non è nel solo essere della cosa in sé, ma è
l'accordo delle operazioni fatto in modo che mentre ciascuna cosa opera per conto suo, venga nello stesso tempo ad operare per le altre e pel tutto che è lo stesso che amore42.
La risposta di Ermete chiarisce il rapporto delle tesi di Fabrizio con le discussioni filosofiche coeve. Riprende infatti la concezione aristotelica sulla natura e mette il dito nella piaga delle più risentite discussioni naturalistiche del tempo.
Ermete [...] disse il principe della scola peripatetica, or sappi che tu parli dell'amor divino, o naturale, con il quale io ti concedo che questo nostro emisfero si mantiene (I, 7)43.
Dal trattato dell'Ingegno dell'huomo di Persio sono tratti i ragionamenti sofistici che il giovane fa sul tema neoplatonico dell'ingegno legato strettamente all'amore insieme al concetto estetico del piacere di origine telesiana.
Fabrizio - Voi parlate, maestro della sensualità, o appetito carnale, il qùale è diversa cosa dell'amore, quello è vero, che esercitandosi scema l'intelletto, ma questo lo sveglia, e porge occasione all'amante di far opre onorate e virtuose. [...] Fabrizio - Voi mostrate di non aver letto, perdonatemi maestro, io voglio provare, che non posso far di meno a non amare costei. [...] Fabrizio - Io sono uomo, e come tale sono forzato regolarmi con la ragione è vero? Ermete - Questo è un assioma sicuro, transit.
Fabrizio - Or ditemi Amore è figliuolo della ragione, poiché d'altro non nasce, se non che conoscendo essere in questa signora tutte le grazie, che pò far il cielo [...]. (I, 7)44. « Amore eccitatore degli addormentati ingegni » dice Persio nel suo trattato e ancora prima, sempre su questa posizione, aveva detto « Penetra dunque lo 'ngegno per certa simpatia a dentro e non si ferma nel corpo solo, perché l'altra bellezza allogata nell'anima gli promette maggior dignità e eccellenza [...]. Ora l'uomo per la presenza della cosa amata divien più ingegnoso, perché gli spiriti più s'assottigliano e fannosi tenui>>45. Il pedante Ermete fa ricorso nelle sue divagazioni di teorie letterarie al suo bagaglio culturale e cita in suo aiuto dai Dialoghi d'amore di Leone Ebreo46, che uscirono (postumi) nel 1535. E questioni di retorica sono oggetto an cora di scaramucce intellettualistiche nei dialoghi dei due, tra motivi neoscolastici e innovazioni telesiane. Ogni battuta è controllata da un denso senso culturale, di quella cultura che vide su fronti opposti i componenti della stessa matrice rinascimentale; ma qui il contrasto è assunto in modo divertito su un piano di tensione teatrale.
Un altro specifico della commedia gloriziana è il dato giuridico insieme con l'interesse per le questioni sociali e con le riflessioni antiautoritarie. Già dalla prima scena si sprigiona una tensione di forte realismo. Si parla di un assassinio avvenuto in un tumulto, di fuga dalla patria, di travestimento e di cambiamento delle proprie generalità per sfuggire alla vendetta da parte di persone potenti. In altri dialoghi vi è insofferenza verso l'istituzione: la « corte » e la « preteria », l'una vista come luogo di corruzione, l'altra come detentrice egemonica della cultura, come sola via da percorrere per potersi dedicare alle lettere. Denuncia di strettoie sociali e culturali elitarie, troppo rigide per sogni di giustizia. Quindi, sebbene a piccole dosi, in questa commedia affiorano questioni politiche ed etico-sociali, contro la corruttela e il sopruso, presa di coscienza su cui si svilupperanno le future ideologie preilluministiche e illuministiche, che nascono appunto dalla ragione contro il consolidamento e la stratificazione dell'autorità. Le Spezzate durezze è un titolo bivalente che si regge su due tematiche: una ideologica, l'altra di letteratura teatrale. Dalla prima situazione però si sprigiona una intensa volontà di cambiamento che parte dall'uomo, dalla sua ragione, dalla sua coscienza. Uomo razionale e sovrastrutture a confronto, questi gli elementi per valutare il fine etico per un nuovo senso di giustizia lungo il « diritto sentiero della ragione », avulso dalla prestazione codina che vive dietro «il suono di un campanello ». La seconda commedia, più famosa della prima, dell'autore calabrese, è Impresa d'amore (Messina 1605, Venezia 16O7)47 che poggia su un tema giuridico del tempo, di scottante attualità: la « forgiudica ». Era questa una legge capitale che ritroveremo riattualizzata per i rivoluzionari giacobini napoletani del 1799, e per la quale Mario Pagano ebbe a dire: « il terribile giudizio della Forgiudica disonora, al secolo che siamo, il nostro codice [...]>>48. Glorizio, giurista, doveva sentire vivo il problema di questa legge messa in vigore da « uno statuto del Regno » che prevedeva sentenze fortemente punitive, per le quali veniva condannato alla pena capitale e alla confisca dei beni il « forgiudicato », cioè colui che, ritenuto colpevole in cuntumacia, bandito non si presentava al processo in un tempo stabilito (nella commedia tre mesi). La tensione drammatica nella commedia è data da una questione d'onore. Su un giovane innamorato incombe il pericolo della forgiudica, che avviluppa intorno a sé tutta la storia, rappresentata momento per momento, come una cronaca del tempo. Ma naturalmente è a lieto fine.
Coviello - [...], su tanto infraceduto alla Vicaria, ca fieto de muffa nu migliu luntanu, ch'aggio nu callo alle natiche tantu gruosso per lo tanto sedere neoppa a quilli vanche [...] Coviello - Faccia conto V.S. ca semo chiantati all'inferno vivi, ca subbeto fatto iuorno abbisogna essere a la Vicaria, a pena poi s'è vippito na vota, che è necessario circulare a le case delle iudice e poi tornare a la vanca fino a la sera, ca non c'è tiempo di poterci grattare la capo. (I, 2)55.
Un'altra traccia di come l'autore avvertiva il problema scenico, all'interno del testo, è l'indicazione della posizione del personaggio in un dato momento nei confronti degli altri personaggi presenti nella scena: « Nella porta compare, Doralice », « Delia nella finestra », oppure, « Capitano con alcuni sbirri »56. Per quanto riguarda l'allestimento dello spettacolo, problema che impegnava gli accademici amorosi e lo stesso Glorizio, un'indicazione si può ricavare dal prologo:
[...] questi amorosi vostri academici [...] han voluto per sigillo delle molte fatiche di quest'anno alzar oggi quest'apparato, con si bella vaga e onorata scena, ornata (come vedete) di ricche, varie e artificiose pitture, ridente e allegra per li maestrevoli canti e dilettuosi suoni che dentro di lei avete sentito a rappresentarvi una piacevole graziosa e ben tessuta commedia [...] stimando che le azioni tragiche e poemi funesti del martirio di S.S. Placido, fratelli e compagni e dei tormenti e morte di Cristina santa, che si sono ai giorni passati con squallido ornamento e mesti apparati, con le facce pallide e con gli occhi umidi al vostro cospetto rappresentata, l'abbiano amareggiato al quanto [...]57.
Come lo spettacolo e la festa rinascimentale, anche la scenografia era un fatto diverso ma connesso col testo drammaturgico. Allo stesso modo la prospettiva, nata in un altro campo, quello dell'architettura, si connette col testo teatrale, ma in forme molto generiche, prescindendo dai contenuti specifici. Sebastiano Serlio l'ha considerata da architetto: anche se fa « scene-tipo » per un teatro comico, cioe atte a « rappresentar comedie », esse sono convenzionali e non riguardano il contenuto. Così, in fase teorica Serlio richiede un paesaggio urbano borghese, case di ordinari cittadini: « avocati, mercanti, parasiti »58 e raccomanda la casa della ruffiana, l'osteria e il tempio, tutto in un paesaggio generico. Altre indicazioni non molto diverse sull'argomento ci vengono dalla trattatistica del tempo e la stessa tesi serliana può essere ritenuta una teorizzazione a posteriori (se consideriamo la data della stessa, 1545) di ciò che già avveniva nella prassi scenografica. Si può conseguenzialmente supporre, per Le Spezzate durezze, una scenografia non dissimile, ancora rinascimentale, con prospettive di case borghesi, la casa della cortigiana, la chiesa: l'area urbana in cui si svolge l'azione. Ma quando venne rappresentata l'Impresa d'amore, il 24 settembre 1600, le cose erano alquanto cambiate. Il teatro delle accademie stava ormai << decisamente trasformando in creazione spettacolare [...] e si pone i problemi della piacevolezza e dell'adattabilità >>59. Nel campo della scenografia si vuole un modulo che sia il più possibile adatto e riferibile al luogo dove si finge l'azione e che faccia riconoscere la città. Nasce la preoccupazione di porre il teatro in zona non limitata dalle occasioni festive, << non nell'eccezione ma nella regola, in un proprio specifico spazio della vita sociale >>60. Il prologo di questa commedia gloriziana ci parla di una fervida attività teatrale degli accademici amorosi di Tropea, di cicli di rappresentazioni di vario tipo: pastorali, sacre rappresentazioni e divertenti commedie.
Credo (nobilissimi spettatori) che tale e tanta sia l'esperienza c'avete fatto di questi amorosi vostri accademici, c'ormai siete più certi della gran voglia che lor hanno continuamente con le solite rappresentazioni di giovarvi e dilettarvi però per maggior fede, potendosi ormai con giusta scusa riposare, han voluto per sigillo delle molte fatiche di quest'anno, alzar oggi questo apparato [...]61
Gli accademici amorosi recitavano, curavano gli arredi, gli allestimenti, quindi le scene, e quell'anno in primavera avevano rappresentato una scena pastorale di Diana, due commedie di Cristoforo Castelletti, I torti amorosi e le Stravaganze d'amore, poi sacre rappresentazioni e prima ancora, a Carnevale altre commedie. Quindi la pratica teatrale era per loro un impegno assiduo, ben inserito in un contesto accademico vivace, sensibile ed attento alle innovazioni. Se aggiungiamo a questa attività teatrale lo spirito letterario degli stessi accademici e di altri amici dell'autore che offrirono per l'occasione serti di poesie belle e leggiadre, poi riportate nelle stampe delle commedie gloriziane, si è indotti a riconoscere che nelle estreme regioni meridionali fosse di moda, anche con una accertata regolarità (nel prologo si legge: << Recitato dal Consumato, Accademico Amoroso, fratello dell'autore >>62) un'intensa attività letteraria a cui possiamo senza dubbi aggiungere quella di pensiero. Spia di una vita culturalmente e artisticamente attiva della città di Tropea è il suo prezioso patrimonio di << beni culturali >> di epoche diverse. Molti palazzi monumentali con sobri portali sormontati da una maschera antefissa sono del '600 e si aggiungono ad altri di epoche anteriori e posteriori, testimoni di un trascorso civile ed artistico di spendido rigoglio. L'Impresa d'amore, dopo la prima rappresentazione, circolava in manoscritti, e ciò aveva posto il problema della revisione, prima della stampa che avvenne nel 1605. L'autore esprime il suo raccapriccio nella <<presentazione>> che appare solo in questa, e che sostituisce l'usata pratica dedicatoria. Qui si riscontrano le sue preoccupazioni per la purezza ed originalità della commedia, messe in pericolo dall'ignoranza di copisti e per la malignità di detrattori. E' la stessa commedia che si presenta <<Al mondo>>.
[...] Poichè appena nata mi mandò fuor di casa lasciando ad altri la cura della mia onestà la onde mi diede nelle mani degli Accademici amorosi della sua padria costituendo loro per miei tutori come s'io stata fossi pupilla, li quali in quei principi, per dire il vero, mi fecero straordinarie carezze, poichè con ricchissimo apparato, ornato di tutto quello, ch'è necessario alle mie pari, mi fecero in giorno solenne comparire alla presenza di nobilissima corona di cavalieri e di dame [...]ma non per questo si mosse il crudo padre mio a ripigliarmi a casa e tenermi appresso di sè, come faceva delle 'Spezzate durezze' comedia, mia sorella e sua primogenita, la quale dal dì che nacque, se la fece star in camera sua senza poter dare un passo fuori dubitando che alcun non la violasse. Or mentre che sotto la cura di persone strane mi trovava, andai scorgendo che per le molte copie, che di me si son fatte, andava tuttavia perdendo quella mia prima bellezza [...] vedendo il pericolo d'andar tuttavia peggiorando per l'ignoranza o malizia di copisti la onde mentre aspettava qualche buona occasione di liberarmi da quello stato intesi che la mia sorella era già data alla stampa [...]63.
Vezzo letterario? Non proprio, perchè le stesse preoccupazioni d'autore erano state già da tempo esplicitate in prologhi e dedicatorie da parte di altri. Anche Giovan Battista Gelli, nell'ormai lontano 1543, aveva espresso il suo rammarico nella lettera dedicatoria a don Ferrante di Toledo per la sua commedia << La Sporta >>.
E questa è che, dovendo io, comandato dalla necessità, pubblicare questa mia Sporta, per non lasciarla andare così rotta e malconcia, come intendo c'ella è, per essere stata rimessa insieme delle parti di quegli che la recitarno [...]64.
E' un problema, questo, che afflisse le opere in manoscritti di molti autori; fanno eccezione quelle di Della Porta, al quale venivano << strappate dalle mani >> da ammiratori, e portate alle stampe prima della revisione (es. << La Turca >> 1606)65. Dopo averle recepite in repertori settecenteschi, la critica si è poco interessata alle commedie di Glorizio, che sono state aggiunte ad altre di un certo tipo e inserite in un contesto di produzione codificata tra il tardo-Cinquecento e il primo-Seicento della storia della letteratura teatrale. Ireneo Sanesi, nel primo volume della Commedia, lamenta le scarse notizie sui commediografi meridionali e accenna appena al nostro autore, Si rifà a ciò che aveva scritto Pietro Napoli Signorelli << nella sua vecchia Storia critica di teatri antichi e moderni >> e poi ad Antonio Belloni << nel suo libro sul Seicento >>66. Di altra tendenza critica è il vaglio che Benedetto Croce riserva alle commedie rinascimentali, ma anche qui le commedie gloriziane sono confinate in un'area di scialba e generica produttività. Nei Teatri di Napoli si legge:
[...] Intorno al Porta si stringono numerosi scrittori di commedie, suoi deboli imitatori, come Giulio Cesare Torelli, autore dell''Anchora' (1599), Fabrizio Marotta, del 'Ratto' (1603), Filippo Gaetano, dell''Ortensio' (1609), dei 'Due vecchi' (1612) e della 'Schiava' (1613), Ottavio Glorizio di Tropea delle 'Spezzate Durezze' (1605) e dell''Impresa d'amore' (1607)67.
Ma la vera ragione di questo vuoto critico o scarso interesse è dovuto senz'altro alla lacunosa indagine sul campo, di cui abbiamo ragionato nella prima parte di questo lavoro. Una più accurata disanima delle zone culturali in ombra è dettata proprio dal bisogno di compensare dimenticanze che potrebbero risultare ingiuste. Per dare una valutazione critica alla commedia gloriziana ed inserirla nella regione dell'arte, si deve partire da una visione sociologica dell'arte stessa e dei suoi contenuti68. La strada maestra da percorrere deve tener conto del dettato della formula rinascimentale << dell'utile e del dilettevole >>, che, veicolata dal << rispecchiamento >> della vita in direzione etica, nell'opera teatrale mira all'ammaestramento del destinatario: l'individuo dotato di buon gusto. Il soggetto dell'opera teatrale è la vita stessa che funge da modello e dà la regola e la misura allo spettatore, che si calerà nella rappresentazione come vuole il prologo delle Spezzate durezze.
[...] stimando questo Poema un lucidissimo cristallo, nel quale fissando gli occhi dell'intelletto apertamente, non meno, che nello specchio materiale, si conoscono i difetti dell'animo e c'insegna d'accomodarci alla vita perfetta[...]69.
Si dà la commedia come opera di razionalizzazione, come termine di rapporto naturalistico tra arte e vita, e affinamento e purificazione dell'animo del singolo e della società. La fabula gloriziana si svolge in una trama di rapporti umani particolarmente stigmatizzati dal substrato culturale e ideologico. Vive non sulle peripezie, stereotipi attinti a un campicello comune, che pur ne formano l'accentuato impianto tradizionale, plautino e novellistico, ma su quell'elemento sociale che si coglie nei messaggi seri e pensosi di alcuni personaggi. Il dibattito culturale assai ricco e caro a Glorizio e ai suoi amici accademici è gestito da alcuni dialoganti prescelti. La forte tensione moralistica, che scava nelle coscienze per interessi d'onore e di giustizia sociale, s'intreccia con gli intrighi amorosi e con le situazioni comiche paradossali che, quando ci sono, prendono forza dalla verbosità e dalle costruzioni metaforiche dei servi e del napoletano. Per le fonti e i prestiti, per le linee generali del coordinamento dei fatti amorosi e per l'inventio, non abbiamo che da cercare nella tradizione medio-rinascimentale, dove troveremo le radici70. Il doppio riporto, comico (plautino e boccaccesco) e patetico-sentimentale che aveva trovato, in quegli anni di fine secolo, in Sforza Oddi il suo rappresentante più insigne, è la viva fonte delle due commedie gloriziane. I temi trattati sono l'amicizia, la nobiltà dei sentimenti, la serietà morale, spesse volte con risvolti di risentimenti passionali e di forte determinazione, che contrastano con gli irsuti condizionamenti psicologici di vecchi genitori o con i contrasti amorosi di amanti inflessibili, dove la complicanza dei casi assottiglia l'interesse dello spettatore. Nelle Spezzate durezze un doppio intreccio amoroso di due giovani coppie di amanti si assomma alle pretese di accasamento della cortigiana (Semprosia) e del napoletano (Prospero). Della stessa fanciulla (Vittoria) sono innamorati due giovani (Virginio e Fabrizio) uno dei quali, Virginio, più tardi, si scoprirà fratello dell'amata, ma l'incesto non si consumerà71. L'inconsapevole fratello sposerà la ragazza da lui ingiustamente rifiutata (Olimpia), sorella del rivale, con la quale aveva trascorso lunghe notti d'amore, pensando che fosse la sua prescelta (Vittoria). Il doppio intrigo amoroso e gli altri a latere, aggiunti agli inganni, alla beffa, non sono lasciati al caso, alla sorte, ma sono diretti dall'ingegno di Cusmano servo del napoletano Prospero. Quest'ultimo, grande amatore beffato, innamorato di un'altra (Olimpia), sposerà suo malgrado la cortigiana (Semprosia). I vecchi genitori sono tre (Modesto, Cornelio, Marzio), seri e umani nel loro impegno di padri di famiglia, uno dei quali (Marzio) è il padre adottivo del giovane (Virginio) scappato di casa all'età di dieci anni. La trama è complicata e ingegnosa, diversi sono i personaggi chiamati a servire l'impianto plautino, le invenzioni prevalentemente novellistiche, il narrato di marca rinascimentale. Eppure la commedia vive di un suo <<proprio>>, riconoscibile, d'autore, che trascina lo spettatore in un vissuto teatrale, in una fictio che s'alimenta d'immagini realistiche e psicologiche, che ama stare quanto vuole e come vuole nel sogno, sia esso nuovo o vecchio. Un sogno, in aluni tratti avveneristico, di giustizia, che pur muovendosi sulla tradizione comica, ormai stratificata, di maniera, si trasfonde e vive nel presente tessuto sociale e culturale. La lingua di questa commedia risente del primato della scrittura, in direzione di un gusto che predilige il ragionato, il concettoso, l'esortativo, l'ideologico. Il dialogo che non perde di vista il contenuto, la cosa da dire, s'infittisce di proverbi, spesso l'uno dentro l'altro. Tutti i personaggi parlano con la stessa lingua, ma cambia il registro. Il pedante e il napoletano però lo conservano inalterato secondo la loro tipologia: il primo si serve di un linguaggio mescidato, con i << recitati >> suggeriti da auctores e inseriti in un impianto frammisto di volgare e latino medievaleggiante, il secondo si serve del suo dialetto e del turpiloquio, di fattura precostruita. Nessun nome è allusivo o pragrammatico; fa eccezione quello del pedante. Il nome Ermete è preso dal suo stesso bagaglio culturale, che lo tiene attento a sintonizzarsi sempre con il suo interlocutore: non perde mai una battuta: vigile intellettuale, padrone della sua cultura, la modula a suo piacere. Egli non appartiene alla <<fauna risibile dei pedanti [...] maestri di scuola, tanto tronfi quanto ignoranti>>72. Lievi e flebili le battute comiche che poggiano sulla quasi inesistente tecnica linguistica della battuta ad effetto e dell'equivoco verbale, non vi è il plurilinguismo, in quanto tecnica per le battute di pronto impiego. Il comico si affida non alla pirotecnia delle parole, ma al senso insito nelle battute. Certo, Glorizio per questa commedia non si pone il problema della teatralità attuata con una forma edonistica e tecnica del gioco verbale per assonanza o replica fonica, equivoco verbale o antitesi, tecnificazione e virtuosismo di sperimentazione dellaportiana; semmai fida su elementi di << maniera >>, innervati di realismo e finalismo. Nella commedia rinascimentale, in quanto genere, si procede con una lingua letteraria tenuta sul registro del parlato, con l'adeguamento dell'espressione linguistica all'argomento trattato nella fabula. << Non è ancora problema di lingua, di sitema linguistico storicamente e sociologicamente inteso: lingua e letteratura sono considerati un tutt'uno; cultura e letteratura anche. Ma si comincia a far questione di livelli e registri espressivi >>73. Le teorizzazioni, alla fine del secolo, sono dirette, come pure le sperimentazioni linguistiche di koinè e i dialetti, come letteratura riflessa, a dare teatralità alla commedia letteraria, quella teatralità che sembrava dominio incontrastato dell'improvvisa, la quale si reggeva sulla bravura dell'attore prefessionista a cui erano affidati lingua e invenzioni, espressionismo, edonismo e spazio scenico. Nella seconda commedia Impresa d'amore si avverte subito un diverso impiego linguistico e una diversa situazione teatrale. Fu composta dall'autore in breve tempo e diretta ad un pubblico a lui vicino, di cui poteva sicuramente cogliere il gusto e interpretarne le aspettative. Il fatto che fosse inserita in un ciclo di commedie dirette ad un dato pubblico si rileva dal prologo; e che fosse stata scritta in breve tempo, in funzione di una programmata rappresentazione, si apprende da un personaggio che con una divertita e allusiva battuta esce dalla scena e si sintonizza con la realtà presente: <<[...] s'egli si aspetta di aver questa moglie, dirò com'intesi in una commedia questo carnevale che si morirà col seme in corpo come le zucche>>74. Il realismo nella commedia occupa quasi tutto l'intreccio della fabula. Un'atmosfera di mistero, di confidenze sussurrate, di confessioni, di fatti gravi, introduce il sofferto e il risentito, per ingiuste pene, fin dalla prima scena. Il pericolo della << forgiudica >> incombe su un giovane innamorato, costringendolo a travestirsi e a rimanere nascosto per sfuggire alla << legge >> che lo avrebbe condannato alla pena capitale, in contumacia, se non si fosse presentato al Tribunale << La Vicaria >> nell'arco di tre mesi. Anche nella prima commedia l'autore aveva introdotto termini realistici come: << assassinio >>, << strade piene di sangue >>, << pena capitale >>, ed era ricorso, non al consueto travestimento per fatti di cuore, ma al cambiamento delle generalità, all'allontanamento della patria per sfuggire a una probabile vendetta, ma erano solamente richiami al realismo insito nei termini, non servivano nè alla dinamica dell'intreccio nè all'azione teatrale. Nella seconda commedia Impresa d'amore il tema giuridico della <<forgiudica>> è il motore di tutta la vicenda. Questa legge che in realtà esisteva già, fin dal Medioevo, prevedeva il bando e la pena capitale, in seguito sarà mantenuta col nome di << forgiudica >> nel meridione, fino ai primi dell'Ottocento. Croce ne parla nella Rivoluzione napoletana del 1799, ne aveva parlato Mario Pagano nei Saggi politici e Carlo De Nicola, storico del tempo, nel Diario Napoletano (Dicembre 1798 - dicembre 1800). Anche nella prima commedia si accenna al bando e alla pena capitale, ma non si parla di << forgiudica >>, legge attuata, come dice l'autore nella seconda commedia, da uno << statuto del Regno >> nel 1600. Riprendiamo alcuni inserti che ne parlano:
Alessandro - [...] talchè venne all'orecchi del sig. Pietro, il quale prese questo fatto tanto criminalmente, ch'altro per che non brami, che la mia testa e vinto dallo sdegno, andò dal Vicerè e fece tanto che la Vicaria per ordine di sua eccellenza prese l'informazione, dalla quale fu dopo alcuni giorni citato e bandito con pericolo della vita. Federico - E tanto gran fatto questo, che ci vada la vita? Alessandro - Signor si, per uno statuto del Regno, che tal mi fu poi detto e quel che è peggio, dopo tre mesi i rei son forgiudicati e tre giorni soli mancano di questo termine [...] Alessandro [...] non si cura di questo, anzi tuttavia cerca di arricchire il processo d'informazione, acciochè passato questo termine, mi faci forgiudicare. (I, 1)75. Coviello - [...] di maniera tale ca passate li tre mesi de la prammateca, la Vicaria, lo forgiudicherà al sicuro (I, 2)76. Lucrezio - [...] poichè alla sola querela di mio padre, passati questi tre giorni, pò ben questa gran corte forgiudicarlo (II, 6)77. Federico - Voglio dir, che questa è pericolosa risoluzione, perchè se col presentarsi Alessandro, si provveda al male della forgiudica, non dimeno in questo modo mette a discrezion di giudici e a gran rischio di vita e per ciò si deve pensar molto bene il rimedio [...] Lucrezio - Il rimedio sarebbe che mio padre si contentasse far seco il parentato, ma poichè egli è ostinato, mi par bene, che questi due mali, se ne schivi il maggiore, e sarà a non lasciarsi forgiudicare, per esser quella una sentenza capitale [...] (III, I)78.
Glorizio conosce questa legge da giurista, e, da letterato e commediografo la traduce con forte realismo in una questione d'onore. Nella commedia il giovane Alessandro per ottenere di sposare Celia, sorella dell'amico del cuore, Lucrezio, già promessa dal padre al napoletano Orazio, cavaliere di Seggio, la bacia in pubblico come espediente compromettente per ottenere il consenso del padre. La cosa suscita, come era previsto, lo scandalo e fa scattare il senso del disonore, ma anche la conseguente querela da parte del padre offeso. Per bloccare il corso della giustizia bastava che fosse intervenuto, per scongiurare la pena capitale per il giovane colpevole, il perdono clemente del vecchio genitore. Ma questi, al contrario, non ritira la querela, non vuole il matrimonio riparatore e, ostinato nella sua posizione di uomo offeso nell'onore, pretende la condanna prevista per il reo. Il tema è fortemente tragico, ma alla fine trionfa l'amore. La trama, non semplice, è complicata dalla presenza di questioni giuridiche e dall'intervento di vari personaggi. L'impresa d'amore, da cui il titolo, è compiuta non dal reo Alesandro ma, sorprendentemente, dalla sorella gemella Settimia, la quale, intrepida, si traveste da maschio e giunge da Roma a Napoli dove è avvenuto il 'caso'. La confusione che ne nasce e la riuscita dell'impresa sono dovute alla straordinaria somiglianza dei due fratelli. Nella commedia però non si sottolinea il trito tema teatrale del travestimento e della somiglianza dei gemelli, ma è l'ardito coraggio dell'eroina di tradizione cavalleresca a prendere sviluppo autonomo nella storia principale. E' l'impresa che la fanciulla affronta con la fida balia Emilia a movimentare in senso avventuroso l'azione:
Settimia - Or perchè vedo che per aver Lucrezio per mio legittimo sposo e per Signore bisogna che Celia sia moglie di Alessandro, mossa dall'affetto ch'io porto a mio fratello e dall'amore del mio Lucrezio, aiutata dalla libertà che ho avuto per la partita di mio padre un giorno prima [...] ho disegnato un'impresa che se piacerà a Dio che riesca, m'assicuro d'un fine felicissimo Emilia - Che impresa è questa? Settimia - vi dirò ho pensato far un inganno amoroso alla signora Celia, pe mezzo del quale ella divenghi sposa di Alessandro ed io del mio Lucrezio e sarà così: io cercherò entrar in casa sua sotto nome di mio fratello, ch'essendo ambidue nati in un parto, di volto e di presenza simili, sarà facile ingannarlo e sotto questo nome disporla a fugirsene meco a Roma (II, 1)79. Settimia - [...] oh amore, me ne vengo in campo per dar principio a quest'impresa, ti prego per quelle lagrime, che da quest'occhi piovono e per quei sospiri, ch'escono continuamente da quest'arso petto, che vogli guidar questa tua guerriera in modo che non vinte, ma vincitrice ritorni (II, 5)80.
Ed è l'impavida Settimia che col suo coraggio, nell'ultimo atto, fa impallidire l'impietosa ostinazione del vecchio padre, astioso e ligio a distorti principi morali. Più volte Glorizio tratteggia la delicata dolcezza delle fanciulle. Ma altrettante volte, sottolineandone il valore, ne fa vere e proprie eroine, << guerriere >>, << paladine >> e ingegnose donne d'azione. In altro luogo fa cadere il discorso sul << sesso >> e prende l'occasione per immettersi nelle nuove congetture naturalistiche del tempo:
Federico - [...] ma a dire il vero il sesso è quello che mi turba e mi dà giusta occasione di timore. Lucrezio - Questa ragione del sesso, non sempre vera e se voi leggerete le Historie, trovarete infinite donne che han schernito i tormenti, per non mancar della loro fede, si che assicuratevi e faccia pur quel che vole mio padre che Celia li troncherà ogni disegno (III, 1)81.
Il termine << impresa >> ricorre moltissime volte nel dialogato e non solo per contrassegnare le avventure amorose, come termine petrarchesco << impresa d'amore >> o cavalleresco ariostesco << l'audaci imprese >>, ma anche nell'accezione di figura simbolica, insegna o emblema scolpita sullo scudo degli antichi cavalieri. Questa volta è il Capitano Marte a parlarne:
Capitano - [...] perchè non consideri le mie segnalate imprese, che avanzano di gran lunga tutti i famosi gesti di quanti capitani son stati, sono e saranno nel mondo da un polo all'altro, sai quell''impresa della Fenice' ch'io porto nel mio scudo accenna ch'io sia unico al mondo nel valore (I, 7)82.
Glorizio non perde l'occasione di introdurre questo termine, oggetto di argomentazione nei trattati e in quel tempo molto in voga. Paolo Giovio ne aveva codificato le regole e a Napoli Marco Antonio Epicuro era ritenuto un maestro da quanto si apprende dal dialogo di Scipione Ammirati Il poeta ovvero delle Imprese. Ancora a Napoli era famoso il trattato Delle Imprese in tre libri di Giulio Cesare Capaccio83. Glorizio è senz'altro un autore ricchissimo di riferimenti eruditi ben inseriti nel discorso sciolto e ingegnoso. Altri termini attinti al filone naturalistico-scientifico e giuridico sono accesi nella commedia per un uditorio non certamente addetto ai lavori, ma certamente in grado di recepirli in senso metaforico o in senso realistico. Appartengono alla comunicazione teatrale. Vengono presi dall'usato, e immessi nel sistema linguistico attraverso un canale di rifrazione della cultura scientifica in questa letteraria. Glorizio, che conosce il teatro come autore e come spettatore ed esprime le sue capacità artistiche tenendo presente il gusto del pubblico, è maestro nel concerto delle molteplici situazioni sentimentali e comiche, vivaci ed elettrizzanti: ma esprime se stesso nel rovello ideologico sostenuto da alcuni personaggi delle due commedie. Dallo scontro tra le alterità nascono i cavillamenti culturali e le situazioni di pensiero filosofico e scientifico nella prima commedia; i conflitti tra i vecchi preconcetti irrazionali e inflessibili di una certa società legata alle leggi d'onore, e le ragioni sentimentali, sono particolarmente accesi nella seconda. Vi è ancora presente l'impianto << plautino >> e << novellistico >> ma è scavalcato da una nuova tensione della rappresentazione drammatica; vi è un'umanità osmotica, e vi ha risalto l'uomo e la sua << ragione >>, l'uomo che cerca il suo << luogo >> in una più ampia consapevolezza di richieste culturali e una sua collocazione in una società in movimento. Glorizio agli albori del Seicento non ha chiuso con la tradizione che è presente e affolla, insieme alle nuove realtà linguistiche e letterarie, tecnico-teatrali ed ideologiche, il vissuto rappresentato sulla scena. Il vero Glorizio è in quei contrasti, dove sono presenti le autorità da sradicare, vecchi principi da ridiscutere e il moderno da collocare. Ma il dramma non è risolto, non è pacificato. Il lieto fine della fabula è solo superficie, appartiene alla rappresentazione fittizia e teatrale. Nella seconda commedia l'autorità è rappresentata dal vecchio padre astioso, che sottomette le ragioni sentimentali e la legittimità dell'amore dei giovani al suo indurito sistema mentale. E' lo stesso scontro che più tardi, in altri autori, si avrà tra << ragioni di stato >> e << ragione d'amore >>. Lo spessore psicologico delle riflessioni e la conseguente tensione tragica, senechiana, ci colgono in terribili considerazioni di vendetta (<< Sta sicuro che molto presto li vedrai troncar il collo in questa piazza >>)84 e nei termini fortemente significativi usati metaforicamente dall'autore. Un esempio ricorrente in frequenti costrutti: è la parola << sangue >>: << spander sangue >> << mar di sangue >>, << libre di sangue >>, << diluvio di sangue >>. Si colgono idee ed elementi teatrali che vedranno altre sponde, matureranno in altre stagioni. Ci imbattiamo in nuove sperimentazioni di teatro, il comico si aggiunge al divertimento e diventa esilarante in alcuni personaggi mutuati dalla tradizione classica e dall'improvvisa. Fanno parte di situazioni comiche il capitano gradasso e il servo scemo, il napoletano cavaliere di seggio e << sciupafemmine >> e il napoletano scrivano della Gran Corte della Vicaria. Il parassita, fine intenditore di leccornie, diventa trampoliere dell'iperbole, scende in campo e si confronta col capitano di guerra. Quest'ultimi due infilano il racconto nel racconto, la metafora nella metafora: << la figura e il figurato >>85, come dice lo stesso capitano al parassita. La scena si giova della piacevolezza di un dire gustoso, concettoso e saputo che cattura l'interesse del pubblico o del lettore.
NOTE
1 Giovanni GENTILE, Bernardino Telesio, in Il pensiero italiano del Rinascimento, Firenze, Sansoni 1940, pp. 220-221; cfr Alessandro SAVORELLI, Letture telesiane da Fiorentino a Gentile, in Bernardino Telesio e la cultura napoletana, Napoli, Guida 1992, pp. 445-473. 2 Cfr. SAVORELLI, Letture telesiane da Fiorentino a Gentile, cit., pp. 469-470; Giuseppe GALASSO, Telesio e la filosofia napoletana del Rinascimento, (Introduzione), in Bernardino Telesio e la cultura napoletana, cit., p. 11. 3 Bertrando SPAVENTA, Tommaso Campanella, in Rinascimento, Riforma, Controriforma e altri saggi critici, Venezia, La Nuova Italia 1928, p. 66. 4 Francesco FIORENTINO, Bernardino Telesio - ossia Studi Storici su l'idea di natura del Rinascimento italiano, 2 voll., Firenze, Le Monnier 1872-74. 5 I Documenti inediti e rari sono inseriti nel vol. II, pp. 303 3 sgg. Tra questi sono un Carme in esametri ed un Epigramma di TELESIO. Il Carme in latino è dedicato dall'a. a Giovanna Castriota e pubblicato per la prima volta in una raccolta di versi in onore della gentildonna in Vico Equense presso <<Giuseppe Cacchi, MDLXXXV>>. Del Carme si è interessato Raffaele SIRRI in un saggio Il Carme di Telesio a Giovanna Castriota, estratto da Anno telesiano, 12 novembre 1988, Accademia Cosentina, pp. 39-69. Nelle ultime pagine del saggio cogliamo un concetto particolarmente interessante per il tema affrontato nel presente lavoro: <<E' possibile interpretare questi versi di Telesio come esplicitazione letteraria della sua dottrina e ricondurre il discorso della sua poesia al tramite teoretico del suo sistema, e dire, per esempio, che questo carme è mimèsi versificata di quel momento agonico del suo sistema, quando su un programma di teoremi coerentemente materialistico innesta una riserva spiritualistica, una istanza d'altra natura>>; pp. 68-69. 6 FIORENTINO, Bernardino Telesio, cit., vol. I (dedica a Bertrando Spaventa). 7 Ivi, vol. II (dedica a Camillo De Meis). 8 L'idea della Natura dal Telesio al Galilei occupa la III parte dei due volumi del FIORENTINO cit. (voi. I, pp. 321-381; vol. II, pp. 1-254). 9 Cfr. SAVORELLI, Letture telesiane da Fiorentino a Gentile, cit.; GALASSO, Telesio e la filosofia napoletana del Rinascimento, cit.. 10 Enrico TROILO, Bernardino Telesio, Modena, Formaggini 1910 (ristampa 1924). TROILO scrive su Telesio anche nell'Introduzione al volume; Sertorio QUATTROMANI, La filosofia di Bernardino Telesio, ristretta in brevità e scritta in lingua toscana, Bari 1914. Il QUATTROMANI, discepolo di Telesio, aveva pubblicato La philosophia / di / Bernardino Telesio / ristretta in brevità [...] appresso Gioseppe Cacchi, 1589. Il Troilo, critico positivista, dà un piglio personale alle sue deduzioni che vedono il naturalismo empiristico telesiano distante 'dalle alterazioni metafisiche' del pensiero del Campanella. Nell'Introduzione (1914) è evidente come Troilo si contrapponga al metodo critico del Gentile che in Bernardino Telesio. Con appendice bibliografica, Bari, Laterza 1911, aveva dato una svolta eversiva alla tendenza metodologica del Fiorentino e in senso idealistico. 11 GENTILE, Bernardino Telesio, cit., pp. 209-210. 12 GALASSO, Telesio e la filosofia napoletana del Rinascimento, cit., p. 13. 13 Cfr. Mario AGRIMI, Telesio nel Seicento napoletano, in Bernardino Telesio e la cultura napoletana, cit., pp. 331-372. 14 Ci siamo serviti dell'esemplare: LE/SPEZZATE/DUREZZE/ comedia nvova/ del sig. / OTTA VIO / Glorizio Dottor di / Leggi / Con privilegio / IN VENEZIA /Appresso Giovanni Alberti / MDCVI / Con licenza dei superiori. 15 Cfr. Luigi DE FRANCO, La prima vera rivoluzione in filosofia: B. Telesio, in Filosofia e Scienza in Calabria nei secoli XVI e XVII, Cosenza, Periferia 1988, pp. 81-121. 16 Cfr. Cesare VASOLI, Ragioni di un Convegno, in Bernardino Telesio e la cultura napoletana, cit., pp. 49 e sgg. 17 Per la storia delle edizioni e per il testo con traduzione dal latino, a fronte, cfr. DE FRANCO, La prima vera rivoluzione in filosofia: B. Telesio, cit.; Bernardino TELESIO, De rerum natura iuxta propria principia, testo, prefazione, traduzione e note a cura di Luigi De Franco, voi. I (libri I-II-III), vol. II (libri IV-V-VI), Cosenza, Casa del libro 1965; Bernardino TELESIO, De rerum natura iuxta propria principia, testo critico e traduzione italiana a cura di Luigi De Franco (libri VII-VIII-IX), Firenze, Nuova Italia 1976. 18 Le Spezzate durezze, cit., c. 54 (I, 7). 19 Ivi, c. 70 (II, 3). 20 Ivi, Prologo, c. 8. 21 De Rerum natura, a cura di De Franco, cit., vol. I (I, 28), p. 217: « Postremo locus, addunt, locato nobilior et prior etiam est; at spatium, quantitatis et substantiae omnis expers et accidens cum sit, entibus, quae in ipso locata sunt, nec nobilius nec prius videri potest ». 22 Le Spezzate durezze, Prologo, cit., c. 8. 23 De rerurn natura, cit., vol. II (IV, 28-29), pp. 196-197: « Mundum non veluti casu quodam sed ab opifice, et longe eo sapientissimo longeque potentissimo et longe optimo, ipso nimirum a Deo constructum fuisse, eumque non coeli modo terramque, e quibus mundus constare videtur, sed entia prorsus omnia, maria, aquas reliquas, lapides, metalla, sulphurea, bituminosa, plantarum animaliunque genera omnia, et humanum in primis [...] ». 24 Cfr. DE FRANCO, Filosofia e Scienza in Calabria nei secoli XVI e XVII, cit., p. 108. 25 Le Spezzate durezze, Prologo, cit., c. 9. 26 De rerum natura, ed. cit. (liber nonus) pp. 360-361: << Praeterea (et multo mehercule prius multoque amplius) quae Dei ipsius substantiam contemplanda decernit, at nequaquam ratione [...]. 27 Notizie bio-bibliografiche di Ottavio Glorizio sono in Luigi ALIQUÒ-LENZI, Gli scrittori calabresi, Messina, Luigi Alicò 1913, ora in Luigi ALIQUÒ LENZI, Filippo ALIQUÒ TAVERRITI, Gli scrittori calabresi, Reggio di Calabria, tip. Corriere di Reggio 1955, pp. 47-48: « Glorizio Ottavio - Nacque a Tropea il 24 novembre 1536. Il padre Giulio, lo fece andare a Napoli ancor giovinetto per studiare giurisprudenza, nel 1555 conseguì la laurea, nel 1570 tornò alla città nativa ed ebbe la nomina a canonico; preferì la professione di patrocinatore, che a Messina esercitò con onore e fortuna; nel 1596, gli si conferì in quella università la cattedra di diritto canonico e feudale, che tenne fino aI 1603; fu molto stimato, ebbe la nomina a conte palatino. Sono ricordate fra le sue pubblicazioni: 1) Tractatus de sacramentis ecc., Napoli 1584; 2) Le Spezzate durezze, commedia, Messina 1605, Venezia 1606; 3) Imprese d'amore, commedia, ibidem; 4) Comentarius super literis de Rescripto, Messina, 1608; 5) Vari consigli, Madrid 1609; Messina 1610: in uno ripubblicati in Messina nel 1624 col titolo Iuri responsa pro tempore; 6) Apologia seu tractatus de immunitate ». Facciamo notare che queste indicazioni bibliografiche sono parziali. 28 Antonio PERSIO, Trattato dell'ingegno dell'huomo, Venezia, Manuzio, 1576. 29 Cfr. Anna Laura PULIAFITO, La fisica telesiana attraverso gli occhi di un contemporaneo: Francesco Patrizi da Cherso, in Bernardino Telesio e la cultura napoletana, cit., p. 251. 30 Ibid. 31 Cfr. De rerum natura, cit., Liber nonus, pp. 362-363. 32 Le Spezzate durezze, Prologo, cit., cc. 9-1O. 33 Ibid. 34 Ibid. 35 PLAUTO, Amphitruo, in Le commedie, vol. I a cura di Giuseppe Augello, Torino, UTET 1991, p. 61. 36 TERENZIO, Eunuchus, in Commedie, a cura di Orazio Bianco, Torino, UTET 1993, p. 423. 37 Tommaso CAMPANELLA, La Poetica italiana in Opere Letterarie, a cura di Lina Bolzoni, Torino, UTET 1977, p. 434. 38 Le Spezzate durezze, cit., c. 35 (I, 4). 39 lvi, c. 36. 40 Ivi, c. 37. 41 Ivi, c. 56. 42 FIORENTINO, Bernardino Telesio - ossia Studi Storici su l'idea di natura nel Rinascimento italiano, cit., vol. II, pp. 178-9, vd. nota 1. 43 Le Spezzate durezze, cit., cc. 56-57 (I, 7). 44 Ivi, cc. 53-54 (I, 7). 45 PERSIO, Trattato Dell'ingegno dell'huomo, cit., pp. 113-14-15. 46 Cfr. Le Spezzate durezze, c. 57 (I, 7). 47 Ci siamo serviti degli esemplari: 1) IMPRESA / D'AMORE / COMEDIA / NVOVA / Del sig. Ottanio Gloritio, Eccel-/ lentiss. Dottor di Leggi, / RAPPRESENTATA / in Tropea, padria dell'autore / DALL'ACADEMICI AMORO/SI di quella Città, a XXiiij, di Settem-/bre, dell'anno 1600./ IN Messina, / Nella Stamperia di Pietro Brea, Per / Lorenzo Valla 1605. / Con licenza de' Superiori; 2) IMPRESA / D'AMORE / COMEDIA / NVOVA / Del Sig. Ottauio Gloritio. Eccel-/lentiss. Dottor di Leggi, / RAPPRESENTATA / in Tropea patria dell'Autore. / Dall'academici Amorosi di quella Città,! a XXiiij di Settembre dell'anno 1600/ Con PRIVILEGIO / IN VENETIA 1607./ Appresso Giovanni Alberti. Le due stampe, in alcuni tratti del testo, presentano difformità. Di diverso vi è anche la lettera dedicatoria a Orazio Guarguante da parte di Olivier Alberti nella stampa del 1607 che sostituisce la presentazione « Al Mondo » dell'a. che è nella prima, del 1605. 48 Francesco Mario PAGANO, Opere filosofiche, politiche ed estetiche, Napoli, Rondinella 1848. 49 Su questo autore napoletano vd. gli studi di SIRRI, Sul teatro del Cinquecento, Napoli, Morano 1989 e gli studi precedenti dello Stesso. 50 Ivi, p. 96. 51 Cfr. Giovanna ROMEI. Il 'luogo' nella commedia del Cinquecento, « Rivista italiana di drammaturgia », (1980), n. 17, p. 42. 52 Ciò compare in calce all'elenco degli interlocutori. Cfr. Le Spezzate durezze, cit., c. 12. 53 Ivi, c. 31 (I, 3). 54 Per la fama di questa osteria, nella commedia del Cinquecento, vd. Giambattista DELLA PORTA, La taverna del Cerriglio, a cura di Elena Candela, Napoli, Morano 1992. 55 Impresa d'amore, cit., cc. 28-29 (I, 2). 56 Ivi, c. 156 (IV, 9), c. 186 (V, 6), c. 190 (V, 8). 57 Ivi, Prologo, cc. 8-9. 58 Cfr. Sebastiano SERLIO, Il secondo libro di Prospettiva, nell'ediz. di Ferruccio MAROTTI, Lo spettacolo dall'umanesimo al Manierismo. Teoria e tecnica, Milano, 1974, p. 198; cfr. ROMBI, Il 'luogo' nella commedia del Cinquecento, cit., p. 37. 59 ROMEI, Il 'luogo' nella commedia del Cinquecento, cit., p. 38, nota 30. 60 Ibid. 61 Impresa d'amore, Prologo, cit., c. 8. 62 Ibid. 63 Ivi, c. 3. 64 Giovan Battista GELLI, La Sporta, in Opere a cura di Delmo Maestri, Torino, Utet 1976, p. 49. 65 Cfr. SIRRI, Sul teatro del Cinquecento, cit. pp. 300 e sgg. 66 Ireneo SANESI, Le Commedie, in Storia dei generi letterari, Milano, Francesco Vallardi 1954, p. 638. 67 Benedetto CROCE, I teatri di Napoli, Bari, Laterza 1917, pp. 50-1. 68 Cfr. SIRRI, Nozioni di estetica, estratto da Istituzioni letterarie, Napoli, De Simone 1974, pp. 57 e sgg. 69 Le Spezzate durezze, Prologo, cit. c. 10. 70 Il volume del SANESI, cit. è indispensabile per un'indagine di tale genere. 71 Per il tema dell'incesto nella commedia del Cinquecento cfr. Clara BORRELLI, Tema tragico in commedia, << AION-SR>>, XXVI (1084) 2, pp. 353-369. 72 Cesare SEGRE, Polemica linguistica ed espressionismo dialettale nella letteratura italiana, in Lingua, stile e società, Milano, Feltrinelli 1974 (1963), pp. 405-406. 73 SIRRI, Invenzione linguistica/invenzione teatrale, in Sul Teatro del Cinquecento, cit., p. 254. 74 Impresa d'amore, cit, c. 60 (II, 2). 75 Ivi, c. 20 (I, I). 76 Ivi, c. 30 (I, 2). 77 Ivi, c. 73 (II, 6). 78 Ivi, c. 94 (III, I). 79 Ivi, cc. 56-57 (II, I). 80 Ivi, cc. 67-68 (II, 5). 81 Ivi, c. 95-96 (III, I). 82 Ivi, c. 50 (I, 7). 83 Sull'impresa cinquecentesca, sul suo significato e sua simbologia vd. Giancarlo INNOCENTI, L'immagine significante. Studio sull'emblematica cinquecentesca, Padova, Liviana 1981. 84 Impresa d'amore, cit., c. 182 (V, 4). 85 Ivi, c. 50 (I, 7).
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