di Enrico Moretti
(1907)
In un bel giorno di ottobre, illuminato da un sole caldo e risplendente, fui a Ricadi, bianca borgata del Mandamento di Tropea, che siede fra i colli verdi e il mare iridescente. Nella chiesa di S. Pietro, che sorge in un piazzale fuori l'abitato donde si gode la vista del mare che incanta, una chiesa ampia, di ordine corinzio, eseguita da un disegno d'un arciprete del luogo, Dott. D. Pasquale Petracca, anima calda di poesia e d'arte, ebbi ad ammirare due tele pregevolissime: La Madonna del Rosario, di stile della decadenza, dietro l'abside, e un S. Pietro del cinquecento nella cappella a sinistra, sul transetto. Questa ultima ha attirato i miei sguardi. La tradizione, tuttora vivente sulle labbra del popolo, vuole che fosse portata da Roma da un vecchio e pio pilota, verso la prima metà del secolo XVI, al tempo in cui nella borgata fioriva la marineria per il gran commercio dell'olio coi principali porti d'Europa, fra cui quello di Marsiglia, di Venezia, di Genova, prodotto dagli uliveti maestosi degradanti al mare, che popolavano il pianoro di Capo Vaticano e di cui allora Ricadi si perdeva nel più folto. Il dipinto fu posto nella chiesetta, nel luogo in cui ora sorge la nuova, non si sa con quanta divozione di quei buoni e forti marinai, che l'han protettore. E qui, quando il sole morente indorava le cime degli uliveti e circonfondea in una gloria di luce rosea la chiesetta solitaria, i vecchi pescatori, accompagnantisi alle figliole dalle forine snelle per l'esercizio del remo e fresche di onde marine, si radunavano per la prece vespertina all'ombra proteggitrice del Santo. Talvolta i loro canti si confondevano all'urlo dei marosi o ai gemiti della bufera che squassava la chioma degli ulivi annosi. La tela, di cm. 90 su 1 metro e 80 di altezza, prima rettangolare, fu, verso la fine del secolo XVIII, dal vandalismo d'un antico parroco, certo D. Antonio Melidoni, arrotondata nella parte superiore per farla capire nell'acona. Non è l'umile seguace del Nazareno chiomato, genuflesso innanzi a Lui, fra la turba dei discepoli, per ricevere la potestà delle chiavi, nell'arazzo di Raffaello; non il timore sacro da cui è preso nella prigione fra le guardie immerse nel sonno, irradiato dal fulgore dell'angelo che viene a liberarlo dai vincoli, nella tela del Domenichino; nè la passione rassegnata, espressa da la calma soave del viso, nella Crocifissione di Paolo Veronese; ma è il Pontefice in uno sfondo scuro dorato, ammantato d'un pluviale sontuoso che da una parte scende in ricchissime pieghe a covrire il ginocchio, su cui posa un libro, che siede nella cattedra, col capo maestoso e venerando volto a sinistra, con la mano destra spiega il simbolo della Trinità mentre con l'altra impugna le somme chiavi. Due angeletti nudi e ricciuti, soavissimi, con voli perugineschi, gli sospendono nel capo il triregno che si scorge appena nella penombra dello sfondo. L'impasto dei colori è ricco, vivace, trasparente, d'un caldo dorato pieno, di quel dorato che usava Bernardino Pinturicchio narrando le gesta del Piccolomini sulle pareti del Duomo di Siena e il Perugino pingendo le madonne modeste per le contrade solinghe dell'Umbria mistica. Il manto è d'un color di malva disfatto con largo fregio agli orli, uno di quei colori estetici adoperati da Benozzo Gozzoli nelle lussuose gualdrappe e nei magnifici strascichi fiorati nel celebre Corteo dei Magi. Sotto il manto, l'occhio arguto dell'artista vi scorge le mille pieghe della veste, d'un bianco verdigno che fa pensare agli svolazzi abbondanti del Giorgione e alle sciarpe di Tiziano Vecellio. Il disegno è largo, gli scorci liberi, flessuosi, non frenati dalle leggi del convenzionalismo dei secoli anteriori. Tali caratteri me lo fanno attribuire alla scuola veneziana, la scuola dei panneggi sontuosi, delle ricche e vivaci tavolozze, delle spezzature risolute del pennello, anzi a Palma il Vecchio, il soave pittore delle teste orichiomate delle fanciulle della Laguna, come si rivelò possente nella Santa Barbara a S. M. Formosa in Venezia; l'egregio pittore delle teste senili, come restò celebre in quella del Senatore Pasqualigo a S. Silvestro di Venezia, del Doge Priuli a Berlino, di Gastone di Foix a Vienna, che sul tramonto incantevole avvolgente Venezia voluttuosa in un manto di porpora, si recava nel suolo a contemplare i vecchi gondolieri in riposo. La succennata tela della Madonna del Rosario a Catanzaro, di cui la testa del Guzman è d'una verità inarrivabile, presenta gli stessi caratteri del S. Pietro in quistione, senonchè quella è meglio conservata e questa andò soggetta a diverse peripezie, e poco mancò nelle famose espoliazioni artistiche dei francesi, quando la potenza napoleonica estese il suo dominio in Italia. Di questo ultimo fatto rimane ricordo nel bollo che esiste tuttavia in calce, nella parte posteriore del quadro. Ma la figura, a chi la guardi attentamente da un punto di luce, specie nelle ore del pomeriggio, appare chiaramente: le tinte vivaci sembrano come trasparenti, la testa, eretta e dignitosa, d'una esecuzione mirabilissima sembra volgersi e parlare. Io contemplavo estatico senza sapermene staccare, mentre il sole tiepido di ottobre si perdeva nella placida riviera del Tirreno. Un ultimo raggio fuggevole, filtrando pei finestroni dell'abside, illuminò l'Apostolo in tutta la sua maestà pontificale. Poi le ombre....
Dai monti Silani, dicembre 1907.