di Eugenio Di Carlo (1930)
Più di una volta Pasquale Galluppi, abbandonate per un momento le astratte e severe speculazioni, intese il bisogno di dare alle sue idee e sentimenti colore e veste poetica. Dolorose circostanze di famiglia, avvenimenti politici di importanza suscitarono quasi sempre la vena poetica del filosofo calabrese, e le offrirono degni argomenti. Certo in questo campo egli non raggiunse altezze notevoli, nè egli deve alla sua attività poetica la grandezza, alla quale invece pervenne come filosofo; e tuttavia anche questo aspetto della personalità del Galluppi va riguardato, sia in sè stesso, sia come espressione del costume dei tempi, e documento a particolari circostanze della sua vita, e ai suoi stati d'animo. Finora un solo sonetto del Galluppi era conosciuto; e precisamente quello pubblicato per la prima volta dal Toraldo nell'Eco a Tropea (30 Agosto 1902), e ripubblicato dal Gentile nel suo noto volume: Dal Genovesi al Galluppi, Napoli, 1903, pp. 218-9. Un secondo sonetto è quello pubblicato da me per la prima volta sulle colonne di questa rivista (NOSSIDE), fascicolo 11, Novembre 1929. Posteriori ricerche mi hanno condotto alla scoperta di sue sonetti del Galluppi, ambidue pubblicati, ma del tutto ignorati: uno in morte della figliola Donna Raffaella, l'altro intitolato: La Redenzione. Il primo venne pubblicato a Napoli, nel 1837, pei torchi del Tramater, insieme ad altri sonetti tutti in morte di Donna Raffaella1; il secondo trovasi pubblicato a p. 43 della <<Nuova raccolta di eccellenti sonetti d'illustri italiani viventi, o da poco morti del secolo XIX ad uso di coloro che studiano lingua, poesia ed eloquenza>>, compilata dal bibliofilo monteleonese Nicola Aloi (Chieti: Tip. dell'Intendenza di Francesco Delvecchio, 1849). Il testo del primo è il seguente:
Parto da te, mio padre, e vado a Dio Lasciando il mondo ingannator fallace Campo solo di guerra e non di pace, Ove non mai si appaga uman desio.
Parto, mio genitor, sì parto, addio per te quest'alma in pianto si disface; ma lascio di goder di un ben fugace ma il secol lascio sì perverso e rio !
Al ben che non inganna io dono il core, a lui consacro l'alma e il mio pensiero, egli è l'oggetto sol degno d'amore.
Solo si trova in esso il bene, il vero, egli è solo dell'uom l'alto signore... La figlia mi dicea con cor sincero.
Il secondo sonetto ci porge testimonianza della viva fede cattolica del suo Autore, oltre che riguardato dal punto di vista estetico ci sembra più elaborato del precedente. Il testo è il seguente:
Tragge l'alto Signor dal nulla il mondo, Forma l'uomo perfetto, giusto e santo. Il precetto divin dall'uomo è infranto. De' mali sorge l'ocean profondo.
Già tutto il germe uman di colpe è immondo. Reca ovunque la morte il duolo e il pianto. Satan di regger l'uomo ottiene il vanto. La terra geme de' delitti al pondo.
Di salvar l'uom decreta il Fabbro eterno. Scende il Verbo divin dal Cielo in terra. Trema la morte e si spaventa Averno.
S'offre al Padre sdegnato il divin figlio. Il sangue versa il Redentor superno. Vedo l'alto mistero, e inarco il ciglio.
Un altro sonetto ancora avrebbe scritto il Galluppi per la monacazione di una delle figlie, come attesta V. Pagano nel suo volume dal titolo: Galluppi e la filosofia italiana. (Napoli, 1897); ma le ricerche finora fatte sono state infruttuose.
NOTE 1 Sono di Francesco Ruffa, Antonio Barone d'Ignazio, Alessandro Langer, Agostino Casazza, Luigi di Francia, Emanuele Romano, Giuseppe Toraldo (in latino), Carlo Toraldo, Vincenzo Ponticelli, Lorenzo Borsini, Gaetano Coniglio, Federici Notarianni (in latino), Michele Notarianni (in latino), Domenico Braghò.