DUE STORIE DI VESCOVI
di Caterina Pagano
Quando si parla dell'incantevole terra della Calabria, qualunque sia l'argomento, anzichè risaltarne gli aspetti positivi, si tende a sottolineare il degrado culturale, sociale, economico; ad evidenziarne l'omertà, il clientelismo, la corruzione di alcune classi sociali, etc.., come se tutto ciò fosse una nota caratteristica del presente e della sola nostra regione immaginando, a torto, il tempo dei nostri avi come una realtà amena, proba ed integra. Lo studio del passato ci offre, però, una visione non molto diversa da quella attuale, se non per certi aspetti ancora più degradante e drammatica se, nell'insieme, si pensa alla miseria della stragrande maggioranza della popolazione. Una realtà dalla quale emergono fatti e personaggi che non possono e non debbono trovare giustificazioni. Protagonisti di questo affascinante viaggio nel passato sono due vescovi, vissuti quasi contemporaneamente nel Settecento; mentre lo scenario teatrale è rappresentato dalle cittadine di Nicotera e Tropea, alla cui guida spirituale erano tenuti, rispettivamente, monsignor Francesco Franco e monsignor Felice Paù. Dallo studio accurato dei documenti custoditi presso l'Archivio di Stato di Catanzaro e presso la relativa Sezione di Vibo Valentia, emergono fatti dai quali traspare una personalità diversa da quella tramandataci da storici locali.
Nicotera: Palazzo Vescovile Francesco Franco
Discendente della famiglia dei Duchi di Precacuore e di S. Agata, resse la diocesi di Nicotera dal 1745 al 1777, anno della morte, avvenuta il 20 aprile. Personaggio con spiccate caratteristiche di spavalderia e tracotanza, amava circondarsi di cittadini di altrettanta indole; partecipava alla vita politica del paese ingerendosi nella nomina di sindaci di suo gradimento; conduceva una vita dedita più all'arricchimento materiale che all'arricchimento spirituale; abusava della propria autorità per sfruttare l'ignoranza e l'ingenuità di cittadini, istigandoli a presentare <<querela criminale>> contro personaggi di spicco della zona per poi sopprimerli, affinchè non manifestassero <<l'istigazione fattasi ed altre indebite procedure>>. La sua condotta induceva i cittadini di diversa estrazione sociale a produrre ricorsi alla Regia Udienza Provinciale. L'iter burocratico, però, non raggiungeva quasi mai l'obiettivo prefissato, in quanto i ricorrenti ritrattavano le loro argomentazioni, allettati con denaro o persuasi con mezzi coercitivi. Non è possibile trattare di tutti i ricorsi o attestazioni rese con atto pubblico. Tratterò del ricorso che più di ogni altro sucitò scalpore e per la qualità dei ricorrenti e per la qualità delle Dignità davanti ai quali fu presentato. Nel rogito del notaio Domenico Brancia datato 5 gennaio 1758, si legge che i parroci della diocesi di Nicotera1 per porre fine al malcontento che si andava fermentando nei cittadini, per ripristinare la pace, si presentarono al cospetto del Papa e del re, denunciando il loro vescovo per la sua pessima fama, per <<essere aperto disturbatore della quiete, e pace comune>>, per perseverare a premiare <<i rei e castigando i buoni cittadini>>, per <<vedovare le Chiese del necessario servizio di Dio>>, etc. Nell'esposto verbale, i parroci evidenziarono come da sempre furono <<da più particolari>> presentate varie suppliche sia alla S. Sede, sia al Real Trono, senza essersi mai attuata alcuna forma di giustizia essendosi, il vescovo, giustificato con attestazioni ottenuti <<per vim o per denaro>>. Anche i parroci diocesani, sebbene armati di molto coraggio, spirito d'iniziativa al punto di rompere il velo omertoso, non ottennero l'effetto sperato, tutt'altro. Infatti, l'8 luglio dello stesso anno perveniva al Preside della Regia Udienza di Catanzaro un real Dispaccio nel quale tradotto dall'idioma spagnolo, si ordinava ai religiosi ed anche al canonico Grillo (anche egli, precedentemente e separatamente, aveva inoltrato a Roma ricorso contro il suo vescovo) di presentare umilmente perdono a monsignor Francesco Franco, di ritrattare ed annullare, per atto pubblico, le attestazioni ingiuriose rese precedentemente. Gli ordini s'estendevano anche al Prelato, obbligandolo ad accogliere i ricorrenti con amore paterno. Felice Paù Felice Paù
Resse la diocesi di Tropea per circa 32 anni dal 1750 al 1782, percependo una rendita annua di cinquemila ducati. Secondo le testimonianze tramandateci, egli acquistò fama per aver ridotto la diocesi in <<fienile>> con notevole arricchimento personale, dei suoi familiari ed amici, in particolar modo di Angela Scattaretica, donna scaltra e baldanzosa che lo seguiva ovunque. L'opera di <<vedovanza>> della diocesi fu la caratteristica più costante del mandato episcopale. Nella città di Terlizzi (provincia di Trani), suo paese d'origine, aveva fatto costruire un sontuoso palazzo con le rendite della Mensa Vescovile, adornandolo con quadri, statue di marmo, argenteria, libri ed un antico orologio di ferro, di proprietà della Curia. Anche in Tropea, alla distanza di un miglio dall'abitato, aveva fatto costruire un altrettanto <<sontuoso casino>> in contrada S. Angelo, per dimora estiva. Fu proprio in tal luogo che il Prelato trovò la morte la notte di mercoledì 6 novembre 1782 alle ore 1,30, dopo aver consumato un decotto e senza ricevere il viatico2. Il decesso del Vescovo avrebbe dovuto apportare benessere alla diocesi e placare il malcontento generale, ma non fu così. L'opera di spoglio continuò, accentuandosi. Nella stessa notte alcuni suoi amici3 raggiunsero ed assalirono il palazzo vescovile, imposessandosi di molti beni, in particolar modo della biancheria. Nel secondo giorno il Governatore della città di Tropea, D. Guido Cavalcanti, nell'inventariare i beni, s'imposessò di due scatole preziose e ricoperte d'oro, pretendendo dal vicario D. Rocco Coiro un onorario di 20 ducati, oltre le spese, e ducati 30 per aver permesso di occultare molti beni prima dell'annotazione, nella quale non risultava alcuna menzione di argenteria e biancheria. Il malcontento generale aumentò quando il vice economo, Ferdinando Fazzari, propose e furono eletti quali canonici della Mensa Vescovile soggetti di pessima fama4; mentre avrebbero potuto essere scelti uomini che per dottrina e per costume erano irreprensibili5. La Real Camera di S. Chiara, avendo avuto notizia della sparizione di molta somma di denaro contante ed <<in fedi di credito>>, di molta argenteria, incaricò il 28 dicembre 1782 il magnifico Giuseppe Mannella, Ufficiale della Regia Udienza Provinciale, a condurre con zelo informazioni sulla condotta del vescovo, sia in Tropea che in Terlizzi, per appuntare quanto era stato denunviato. Le informazioni assunte e le relative dichiarazioni, contenute in un volume di 74 fogli ed in due relazioni, confermarono la sottrazione dei beni ad opera del vescovo e dei suoi amici. I due episodi testè descritti sono molto simili. In entrambi i casi i cittadini assistettero impotenti ad episodi non certamente esemplari. Nel primo caso, gli abusi e le anomalie venivano denunciati quasi costantemente, mentre nel secondo caso solo dopo la morte del Vescovo fu presentata denuncia a S. M. per il lento degrado della Curia. In 32 anni nessuno aveva osato rompere quel velo di omertà e complicità che vi regnava. Se fosse avvenuto il contrario, la situazione sarebbe stata diversa? Credo proprio di no. Qualora ci fossero stati dei reclami, avrebbero subito la stessa sorte di quelli prodotti nella diocesi di Nicotera. Sono comunque dell'avviso, che se le due cittadine evessero avuto una guida spirituale e morale diversa e per un così lungo periodo di tempo, certamente, il loro sviluppo culturale ed economico sarebbe stato di gran lunga superiore e, comunque, certi <<modus vivendi>> non troverebbero radici e riscontro nel passato.
NOTE 1Reverendi: Giuseppe Polito, arciprete del casale di S. Nicola de Legistis; Francesco Vinci, arciprete di Limbadi; Bruno Vinci, arciprete del casale di Badia; Antonio Lentini, parroco del casale di Mandaradoni; Domenico Rosso, parroco del casale di Comerconi; Domenico starna, parroco della terra di Motta Filocastro. 2Fu asssistito dai dottori Antonio Grassi e Francesco Cutuli insieme ai canonici: D. Leonardo Adilardi, D. Giuseppe Barone, D. Placido La Torre, il barbiere personale Cristofaro Di Lorenzo, Isabella Addisi ed Angela Scattaretica. Quest'ultima non esitò a derubarlo neanche da morto, sottraendogli molto denaro giustificandosi, in seguito, di averglielo precedentemente prestato. 3Il decano Tommaso Polito, D. Leonardo Adilardi, il notaio Giovanni Polito, l'abbate Giuseppe Nomicisio ed altri. 4Furono eletti: il decano D. Tommaso Polito, il canonico Di Pietro Giffone ed il cantore Antonino Gentile. Il primo era stato eletto vicario capitolare degli altri due, per cui pendeva la vertenza nelle città di Reggio Calabria e di Napoli; il secondo manteneva pubblicamente <<due puttane>>; ed il terzo era stato, per lungo tempo, economo della stessa Mensa. Appare difficile credere che abbia svolto il suo dovere con giustizia ed onestà. 5Come i canonici: D. Giovambattista Godano, D. Antonio Barone, D. Alfonso Cesareo, il teologo D. Michele Grillo e D. Domenico Migliarese.
RICERCHE Archivio di Stato di Catanzaro - Cassa sacra Segreteria Pagana, B. 24, fas. 514 e 515. Sezione di Vibo Valentia - Fondo Notarile. Schede del Notaio Domenico Brancia di Nicotera: 2-4-1751; 11-1-1757; 2-2-1757; 14-9-1757; 5-1-1758.