TROPEA, città stregata
di Paul Schurek (1939)
Tropea è una piccola cittadina in fondo alla Calabria. Mi parve di trovarmi colà come in un mondo fantastico. Avevo visto il luogo in un grigiore di rovine, sulla sommità di alti rupi, e volli fermarmi. Nessun impiegato ferroviario mi chiese il biglietto, nessuno mi diede il benvenuto o mi negò l'accesso. E quando passai per le anguste stradette, le porte e le finestre delle case erano aperte. Io vi guardavo dentro e stavo in ascolto, ma in nessun luogo si muoveva alcunchè nè si udiva alcun rumore. Solo dalla buia finestra di una cantina potei udire lo strascichio di piedi stanchi e vedere il bagliore di un lume. Poi apparve, come un fantasma, il volto rugoso di una vecchia indorato dal chiarore di una lampada a petrolio. Dalle mandibole sdentate uscì il bisbiglio di parole incomprensibili. Salutai imbarazzato e passai oltre. Una sudicia insegna appesa di sbieco mi attirò in un locale caldo come un forno. Era circa mezzogiorno e avevo fame. Tuttavia, per quanto aspettassi, non si notava qui nulla di vivo se non il ronzio di numerosi insetti. In un'altra osteria c'era per soprappiù un grosso gatto nero che mi guardava di sottocchi, accoccolato immobile sul bancone. Io sostenni il suo sguardo, dissi alcune parole di complimento, ma quello non fece neppure le viste di volermi servire. Il luogo sembrava privo di vita, eppure degli utensili sparsi qua e là attestavano la presenza di persone. Dov'erano queste? Mi trascinai avanti angustiato. Il caldo era opprimente, il riverbero mi accecava. Mi sentivo in bocca la lingua inaridita e il sudore mi gocciolava dalla fronte. La mia ombra, contratta in una massa informe, oscillava vicino ai miei piedi. Avevo un desiderio di frescura e di luce attenuata, e forse sarei entrato di soppiatto in una di quelle buie finestre di cantina, se di lì un topo non mi avesse rivolto il suo ghigno. Grasso e pigro era sdraiato sul terzo gradino, digrignava i denti, alzava la coda sinistramente nuda e non si muoveva da quel posto. Decisi di abbandonare anche questo luogo stregato, quando un sussurro mi giunse all'orecchio. Seguii questo suono che mi pareva così familiare, e ben presto mi trovai davanti ad una lacuna in un muro in rovina: davanti a me lo spazio si stendeva infinito, una brezza salina m'investì e giù, nel fondo, il mare ondeggiava mollemente. Discesi brancolando giù per le scale sdrucciolevoli e così potei contemplare dal basso la città, che mi pareva una strana vegetazione sprigionatasi da rocce possenti. Dei muri screpolati minacciavano di crollare, dei vani di finestra sembravano occhi fissi nel vuoto; uno spettacolo sconfortante. Però ai miei piedi il mare mi attirava e mi largiva il suo profumo così familiare. Chi avrebbe potuto resistere? Ben presto mi trovai nelle onde tiepide, fortemente saline. Fu questo un divertimento non solo per me, ma anche per i Tropeani, che improvvisamente furono sul posto. Anzi, mentre nuotavo supino, notavo che la rupe si riempiva di vita. Alle finestre apparvero dei visi, così pure nelle lacune dei muri, sui merli di un convento simile ad una rocca si raccolsero degli uomini avvolti in neri mantelli e su tutte le scale delle figure si muovevano verso il basso. Come per un comando magico si era ridestata la vita assopita. Quando, dopo essermi rinfrescato, ritornai sulla spiaggia, tolsi l'asciugamano dalla mia valigetta e incominciai ad asciugarmi, fui circondato da molti uomini tra i sei e i sessant'anni, che bisbigliavano <<freddo, freddo>>. Non so di dove venissero. Poichè una conversazione dava scarsi risultati, nonostante gli sforzi delle due parti, presi la mia valigetta e camminai per un certo tratto lungo il limite delle onde. I Tropeani mi accompagnavano confortandomi colla musicalità del loro dialetto, che io comprendevo così come si comprende la musica. Io li ringraziai di gran cuore in dialetto basso tedesco. Un sentiero mi condusse su per il pendio del monte; qui i miei accompagnatori si fermarono l'uno dopo l'altro ed infine entrai solo in mezzo a questo paradiso. Già al primo entrarvi fui accolto dal sorriso delle arancie mature in mezzo al pallido verde. Ne afferrai qualcuna, e i frutti succosi, staccandosi facilmente dalla buccia, mi porsero ristoro. Così m'incamminai per un rigoglioso prato verdeggiante, ove delle capre brune brucavano l'erba e dei maiali neri grufolavano cercando non so che cosa. Poi mi trascinai lungo l'alveo pietroso e scosceso di un torrente, ove alcune donne erano affaccendate a sbattere, a stropicciare e a risciacquare delle biancherie vicino al corso d'acqua attenuato dalla stagione estiva. Ancora qualche passo più in sù, e mi trovai in un giardino piantato a ulivi e viti. Più sotto, campi ondeggianti di grano, in mezzo ai quali occhieggiavano i fiori scarlatti dei rosolacci. E v'erano anche arance splendenti in mezzo al fogliame, e portavano fiori sullo stesso ramo. Penzolavano grossi bacelli di fagiuoli, e un fico mi porse i suoi scuri e dolci frutti in mezzo alla sua vasta ramaglia blu-argentea. Assaggiai tutto e proseguii il mio cammino, tutto compreso dell'impulso irresistibile della terra. Qui è sempre terra di raccolta e di semina. Un contadino preparava già il terreno; camminava lentamente dietro due bufali grigi dalle corna selvagge, conficcando l'aratro a chiodo nel campo. Mi salutà garbatamente. Poi salii ancora più in alto, vicino ad un muro in rovina, dal quale ricadeva una pioggia di glicini stanchi di sole. In mezzo ad una forra mi arrampicai su per il monte tra i cespugli fitti come foreste vergini e profumo di menta, finchè il mio sguardo potè spaziare libero sul mare, lontano fino all'orizzonte colorato di viola. Quassù crescevano castagni ed erba. Mi adagiai su quel molle guanciale e sognai il mio Holstein. Quando la sera diede principio al suo breve e irruente giuoco di luci, feci ritorno a Tropea. A quell'ora le barche rosse e turchine dei pescatori erano tirate in secco. E sulla piazza riposavano uomini, ragazzi e capre. Stavano tutti lì alla rinfusa e mi adocchiavano. Come sono belle queste capre montanine dal colore bruno, dalle corna leggiadramente ritorte! Con quanta grazia stanno adagiate con le zampe anteriori ripiegate! La loro barba oscilla mentre esse ruminano adagio adagio. Questi uomini, questi ragazzi e queste capre sono tutti contenti e se ne stanno lì dietro le loro immagini sacre, finchè scende la notte. Essi hanno tutto perchè hanno poco. La fame mi spinse nella casa aperta di un oste, che fece onore al suo nome. Come di incanto mi preparò su di un piatto un pesce come non ne avevo mai visti. Mi mescè del vino come non ne avevo mai assaggiato. Mentre lo bevevo, pensavo a che cosa mai poteva paragonarsi: non era nè secco nè pastoso nè aspro, eppure aveva un pò di tutti questi sapori. Intanto l'oste mi andava raccontando delle cose pazzesche, a giudicare del suo gesticolare. Tutto ciò mi eccitava, sebbene non comprendessi una parola. A tarda notte, leggero come una piuma, con un forte toscano in bocca, percorrevo la silenziosa cittadina, mentre sopra il mio capo scintillavano le stelle. Il gran carro stava basso all'orizzonte. Io ripresi il viaggio e continuai a percorrere questo bel mondo.