UNO
SGUARDO
DAL
MARE
 
 

di   Donatella Baglivo
 


Chi vive lontano dalla propria terra, strappato agli affetti e alle amicizie, non è pregiudizialmente destinato all'infelicità, anche se non voglio sottovalutarne il travaglio e la sofferenza. Credo comunque che l'emigrante avveduto possa sfoderare una freccia in più dal proprio arco, realizzando un rapporto sentimental-culturale che lo legherà per sempre al proprio paese d'origine.
Vivere in una terra diversa da quella natia significa, in molti casi, godere di un punto d'osservazione privilegiato, dal quale le tradizioni e la cultura che si sono dovute abbandonare acquistano oggettivo spessore e risalto. Sulla chiarezza delle immagini si innesta poi quell'elemento di "pathos" che carica di valori sconosciuti agli altri l'esperienza dell'emigrato.
La vita dell'attore Raf Vallone, classe 1916, calabrese di nascita e piemontese d'adozione, propone tutti gli elementi di quella condizione umana che ho appena descritto. Nato a Tropea, dovette seguire molto presto la famiglia a Torino, dove il padre, Gaetano, si trasferì per esercitare la professione di avvocato.
Da allora, Raf ha vissuto una vita per molti versi straordinaria durante la quale ha continuato a coltivare un amore profondo per il Sud, sentendosi orgoglioso della straordinaria eredità culturale di cui si era nutrito.
"Vivendo a Torino - dice l'attore - ho avuto certo maggiori chances che se fossi rimasto a Tropea, dove sono nato: negli anni del liceo e dell'università ho frequentato insegnanti come Leone Ginsburg e Luigi Einaudi. Giocando nella squadra di calcio del Torino sono arrivato a far parte di quella stessa nazionale che perse ingiustamente la finale contro la Germania del periodo nazista. Esercitando la professione del giornalista, ho curato la terza pagina dell'Unità mentre, contemporaneamente, recitavo in teatro. Tuttavia - continua l'attore - fin da bambino ho continuato ad avvertire un tenero sentimento di nostalgia per la Calabria, dove tornavo d'estate con la mia famiglia. Spesso a Torino sentivo che mi mancava l'odore dell'uva pestata a piedi scalzi dai contadini. Mi mancava il contatto col mare o la sua vista dall'alto della rupe sulla quale si alza Tropea, una cittadina dal passato ricco di storia: quel mare sonante di voci e di vite che risalgono agli albori della civiltà mediterranea".
Quando si dice il caso. Durante gli anni della sua esperienza giornalistica, inviato dal giornale per cui lavorava, Vallone andò a vedere di persona quali fossero le condizioni delle mondine, le donne al lavoro nei campi di un'Italia ancora prettamente contadina. Il lungo e dettagliato reportage che Raf scrisse in quest'occasione, finì tra le mani di Giuseppe De Santis e il regista ne rimase conquistato tanto da trarne lo spunto per girare il celebre film "Riso Amaro" (1949). E' così che cominciò la carriera di Vallone come attore cinematografico, De Santis lo volle nel cast del film assieme a Vittorio Gassman e Silvana Mangano.
"Fu l'inizio di tre carriere niente male - mi ha detto, divertito, l'attore -". Il successo fu tale, aggiungo io, che tre anni dopo lo stesso cast venne nuovamente ingaggiato per un altro celebre film "Anna" (1952), diretto da Alberto Lattuada.
 
 


Il Cast di "Anna"

Con "Riso Amaro" comincia, dunque, per Vallone una carriera piena di soddisfazioni, il giovane attore lavorerà con i più importanti registi del momento vivendo a fondo e con profitto la grande parentesi creativa del cinema italiano neorealista del dopoguerra. Nel 1950, ancora De Santis lo vuole come protagonista del film "Non c'è pace tra gli ulivi", dove Raf viene preferito, nel ruolo del protagonista, addirittura ad Amedeo Nazzari. Sempre del 1950 è anche il film "Il cammino della speranza", dove l'attore viene diretto da Pietro Germi. Nel cast figura anche il nome della brava attrice Elena Varzi, la donna che Vallone sposerà e amerà per tutta la vita.
Il 1953 è l'anno in cui il giovane Raf ottiene il primo ingaggio all'estero: il regista Marcel Carnè lo chiama a recitare una parte da protagonista nel suo nuovo film dal titolo "Teresa Raquin". E' su questo set che Vallone conosce l'attrice Simone Signoret, donna dalla grande personalità di cui conserva un ricordo vivo ed affettuoso: "E' stata l'attrice più straordinaria che io abbia mai incontrato" mi ha detto Raf con quel suo piglio spontaneo che denuncia una profonda sincerità. Dal 1958 è ancora un'altra presenza su un set francese, quello del film noto in Italia col titolo "La trappola si chiude", recitato accanto a Magali Noel.
Il 1961 è l'anno in cui l'attore inizia una fortunata stagione professionale negli Stati Uniti: l'avventura americana comincia con il film "El Cid", diretto da Anthony Mann e interpretato accanto ad attori straordinari del calibro di Sophia Loren e Charlton Heston. Il successo ottenuto da questa famosa pellicola, fa entrare Vallone nel cuore del pubblico americano e crea le premesse per una lunga serie di ingaggi ad Hollywood. Raf ricorda alcune esperienze con molto piacere, altre meno. Io mi sento in dovere di menzionare l'ottima prova di sè che l'attore ha dato in almeno altre due occasioni: nel film "Lettera al Cremlino" (1970) di John Houston, girato assieme a Orson Welles e Max Von Sydow e nel film "Il padrino parte III" (1990). Diretto in questa occasione da Francis Ford Coppola, Raf ha la possibilità di recitare accanto ad un Al Pacino in stato di grazia.

Appassionato di poesia e amante della letteratura, Raf aveva cominciato, già giovanissimo, a recitare in teatro assecondando il suo talento naturale. Negli anni della collaborazione con il giornale "L'Unità", quando si presentò l'ottima occasione di lavorare nel film "Riso Amaro", Vallone si trovò di fronte ad un bivio: "Non sapevo davvero cosa fare - racconta l'attore - se continuare con il giornalismo o trasformare in qualcosa di serio l'esperienza iniziata in teatro.
Lasciare il giornale fu davvero duro, perchè significava anche uscire da un entourage di amicizie straordinarie alle quali ero molto legato. Ad ogni modo, decisi che il mio mestiere era fare l'attore".
E' certo anche in virtù dell'importanza che il teatro ha avuto nei primi anni della sua vita che Raf Vallone, nonostante il successo ottenuto nel mondo del cinema, non ha mai del tutto rinunciato a calcare le tavole del palcoscenico. Vale la pena di ricordare il successo di critica e di pubblico ottenuto dall'attore con le sue interpretazioni in "Ornifle" di Anouilh e nel "Tommaso Moro" di Shakespeare, entrambi a fianco del figlio Saverio.
Un approfondimento a parte merita invece il fortunato incontro tra Vallone ed il teatro di Arthur Miller: all'inizio degli anni Sessanta l'attore è a Parigi dove recita come protagonista nell'opera teatrale "Uno sguardo dal ponte", per la regia di Peter Brook. Questa versione del lavoro di Miller è diversa dal solito, in quanto mostra un altro finale rispetto all'originale, riscritto dallo stesso Vallone, in questo adattamento teatrale, il protagonista decide di suicidarsi.
"Secondo me, l'uomo è vittima - spiega Raf - di una passione vissuta con innocenza assoluta, e quando vede dove questa passione lo ha portato, decide di farsi giustizia da sè". Nel 1962, quando Arthur Miller concede l'autorizzazione a fare di "Uno sguardo dal ponte" un film, l'autore chiede espressamente che si adotti il finale della versione di Parigi. E' un grande onore per Raf, che viene chiamato sul set del film ad impersonare un ruolo che ormai conosce molto bene: "Quel finale in cui il protagonista viene preso a schiaffi e decide di farla finita - dice l'attore - è il momento più alto della mia carriera".
In quel periodo il tuo successo personale ha raggiunto il massimo livello, la tua fama valica i confini, ti attaccano addosso l'etichetta di sexy-symbol, è scomodo per te questo...Beh, adesso se ci penso, sì....
Perchè? "Alla mia età, cammino col bastone, è un sex-symbol largamente superato dal tempo".
Come lo vivevi in quel tempo? "Con innocenza, non sapevo di esser un sex-symbol, certamente ne ho usufruito qualche volta, con grande pazienza di Elena, mia moglie". Come ti sei trovato con gli americani sul set? "Mi sono trovato bene perchè tutto è prefissato fino alla nausea, fino alla noia. Se un regista ha una specie di estro improvviso e muta qualcosa, succede un cataclisma sul set. Bisogna chiedere il permesso al produttore, al montatore...E poi si rifà quello che è stato scritto, quindi tutto è precisione a Hollywood è l'artificio della noia priva di vibrazioni umane.
Mi mancava l'Italia in modo tremendo...mi mancava lo spazio occupato dalle piazze italiane, dai vicoli italiani, questa storia che i nostri antenati hanno scritto con lettere luminose ed eterne; sentivo la mancanza di questa eternità, del monumento italiano".
Sei felice di aver scelto di fare l'attore, avresti voluto fare il calciatore, l'avvocato, cosa avresti voluto fare ? "No, il calciatore no, avrei voluto fare il direttore d'orchestra e qualche rimpianto è nel fatto che, essendo stato uno sportivo, ma non solo per il calcio, ma anche nello sci, nel nuoto...Soprattutto mi ricordo che quando andavo in una città che non conoscevo, passeggiavo per ore e ore, per conoscere, per assorbire l'anima della città. Ricordo che la prima volta che sono andato a New York mi affascinavano questi grattacieli, questa spinta verso l'alto, allora mi stendevo sul sidewalk, sul marciapiedi per guardare l'ascensione di questi grattacieli verso il cielo... E mi ricordo che la gente mi sorpassava tranquilla senza mai chedere se stavo male...ma io restavo imperterrito nella mia contemplazione. Quando io contemplo una cosa sono talmente preso da questa contemplazione che la realtà intorno a me non esiste più".
Ancora una curiosità: è lavorando in teatro a Parigi che Vallone incontra e conosce la grande Marlene Dietrich. "Una sera mi venne a trovare nel camerino ed io rimasi sorpreso - racconta l'attore - poi siamo andati a cena insieme e siamo diventati amici, credo che per descriverla esista solo un aggettivo adatto, la "grandeur". Era una donna di una generosità straordinaria. La stampa fece più di un'ipotesi sul nostro rapporto, ma non fu mai niente più che una grande amicizia".
Che ne pensi dell'evoluzione della donna? "La donna è l'essere più straordinario che Dio abbia mai creato, perchè raggiunge dei vertici di poesia inarrivabili e sa essere di una cattiveria veramente diabolica".
C'è una donna che ti ha fatto particolarmente soffrire nella vita? "Sì, Doris Dowling, la mia partner in Riso Amaro...aveva veramente il senso della distruzione di se stessa. Era veramente il contrario di me, io ho cercato di portarla al mio livello o alla mia concezione, alla mia condotta, ad una certa scala di valori, ma questa mia scala di valori, veniva sovvertita da lei con una prepotenza tremenda".
Che cos'è l'amore per te? "L'amore è una grazia del destino...E' una grande conquista. L'amore bisogna conquistarlo. Non sanno quanto sono fortunati gli uomini che amano, quanta ricchezza può dare l'amore, quale espansione, dilatazione del proprio io nell'altro essere. E' stupendo, è una grazia del destino, però ripeto bisogna saperlo coltivare, è una pianta tenerissima, delicata, si sciupa molto facilmente, bisogna irrorarla ogni giorno. Di solito l'uomo riserva la propria fantasia e la propria immaginazione un pò a se stesso, invece bisogna dare l'immaginazione e la fantasia alla donna che tu ami, implorandone la pazienza, come ho fatto io con Elena".
Adesso sei innamorato? "Sì, l'amore nel senso altruistico della parola, cioè il volere il bene della persona che tu ami e non il tuo, e volendo il bene della persona che tu ami, vuoi molto bene anche a te stesso, cioè curi te stesso, arricchisci te stesso".
Raf hai paura di invecchiare, della morte? Come vivi questi anni della tua vita? "Le dirò che questo mondo mi sta annoiando a tal punto che sono pronto a lasciarlo senza grandi rimpianti. Specialmente le vicende italiane mi annoiano in maniera spaventosa: le stesse fotogtafie, gli stessi pensieri fasulli, gli stessi atteggiamenti, le stesse condotte di uomini che senza carisma...non abbiamo un uomo politico che abbia un vero carisma. Paura della morte, non tanto, non credo di aver paura della morte. Ho paura di invecchiare, questo sì, perchè vede, il fatto di non avere una libertà fisica, diventa anche una mancanza di libertà psicologica. Il fatto che io non possa fare delle nuotate da un'isola all'altra, oppure scalare le montagne d'inverno con le pelli di foca, andarmene su e scoprire la bellezza di un'alba in montagna, fra la neve...sono cose che mi mancano, che fisicamente non posso più fare e questo è un impoverimento anche psicologico. La mia estasi sai qual è, adesso? E' andare lì sulla sedia, mettermi seduto e guardare il mare e il sole che declina. Questo senso della ineluttabilità del tutto mi dà un gran senso di serenità".
Mi stavi parlando del mare, vuoi continuare? "Eh sì. Il mare è vita, quando uno entra nel mare, anche zoppo come sono io ora e non posso più nuotare bene, perchè ho paura dei crampi, sei comunque investito da questa vitalità che l'elemento della natura ti dà, proprio ti scuote, ti ringiovanisce e ti senti tornare alla natura, cosa che l'uomo dimentica spesso. Mi ricordo il pensiero di un grande scrittore americano che dice "quando sono stanco degli uomini mi metto sotto gli alberi e sento il colloquio che gli alberi hanno con il vento. E' molto più interessante che sentire le chiacchiere umane".
Quali sono i tuoi sogni nel cassetto, che cosa ti piacerebbe realizzare? "Mi sarebbe piaciuto fare un Re Lear in Italia, cosa che non ho potuto fare, mi sarebbe piaciuto, quando ero giovane, fare l'Amleto".
Hai qualche rimpianto? No!
Chi è oggi Raf Vallone? "Se lei me lo dice mi fa una cortesia. Non lo so. Un piccolo essere pensante nel buio generale".