La consapevolezza di amministrare il comune simbolo del turismo calabrese: Domenica Cortese
da 'Signora Politica - Donne sindache in Calabria Appunti di un viaggio', cittàcalabria edizioni, Soveria Mannelli, 2005
di Claudio Cavaliere
Tropea (VV) - 7.127 abitanti - 60 m. s.l.m. 12 ottobre 2004 - ore 1600
Comincia così questo viaggio, in una giornata uggiosa con piccoli scrosci di pioggia. Mi sento un pò emozionato ma anche un pò scocciatore. Insomma il Sindaco di Tropea, la perla della Calabria. Chissà quante interviste avrà dovuto subire. Vado verso una delle città che un tempo è stata tra le più aperte ai traffici commerciali. La sua posizione la rendeva privilegiata. Perfino gli arabi quando cercarono di passare dalla Sicilia al continente ne fecero una loro sede. Qui ci sono ancora luoghi e nomi che li ricordano: lo scoglio "gabbaturchi". Qui ci sono tracce di una cosa che invece i calabresi odiano: il rapporto con il mare. Una delle poche marinerie calabre riconosciute era quella tropeana. Si era fatta fama di città aperta, sensibile, disponibile alle nuove idee e anche per questo molto più avanti rispetto al resto della regione. La strada mi porta ad attraversare Pizzo, il famoso tartufo gelato di Pizzo e Gioacchino Murat, il dolce e l'amaro. Il castello ricorda che qui il guascone Murat non fece in tempo a scendere, a mettere piede sulla battigia, ad uscire dalla sua illusione che si trovò fucilato. Era venuto per riprendersi il regno, fidando nei calabresi. In fondo sono così i calabresi: l'anima sanfedista e quella garibaldina. Elogiati da entrambi, dal restauratore cardinale Ruffo e dal rivoluzionario Garibaldi. Solo che bisogna essere attenti al momento, capire quale prevale. Ruffo giunse con pochi seguaci a Messina, ma già quando arrivò a Mileto, nemmeno a metà Calabria, pomposamente potè dire di aver costruito "l'armata cristiana della Santa Fede", quindicimila uomini. Lo stesso Garibaldi. A Soveria Mannelli, un pò più a nord, i calabresi in camicia rossa erano già diecimila. Forse è una questione di culo. Ci vorrebbe un barometro particolare per misurare le aspirazioni dei calabresi, per capire l'anima che prevale in quel momento. Oggi il mare è di almeno quattro colori diversi. Mi fermo a guardarlo da quel palcoscenico naturale che è Sant'Irene che fa un pò Cabo da Roca. Il promontorio del Poro era una delle principali bellezze di tutto il Mediterraneo, oggi colate posticce di cemento su molte scogliere lo hanno reso diverso. C'è una zona nell'acqua che sembra ribollire, e per un attimo mi fa pensare che forse è in arrivo una tromba d'aria. Lungo la strada molti i cartelli che pubblicizzano la famosa cipolla di Tropea, quella rossa alla quale non c'è anno che non gli si dedichi un bel convegno internazionale sulle proprietà organolettiche. In questo siamo unici, per i convegni non c'è regione che ci batta: dal peperoncino al cedro al bergamotto, solo per restare in tema di prodotti naturali. Arrivo a Tropea la colta, sede delle prime logge massoniche della Calabria, importate da un religioso, l'abate Jerocades che era di un paese vicino, Parghelia, un tempo il vero approdo, il vero porto di Tropea. Tropea quella più avanti. Tanto che sarà lei a raccontarmi che non è la prima donna Sindaca; che già nell'immediato dopoguerra Tropea ha avuto una donna a capo dell'amministrazione, una delle prime dell'Italia repubblicana. Le hanno telefonato dalla sardegna imvitandola ad un convegno perchè sembra che insieme alla Sindaca di un Comune sardo siano state le prime. Oggi questa zona è il carnaio del turismo estivo calabrese. Tropea è il turismo, ma la strada per arrivarci è la solita, indecente di sempre. Per le strade del paese si sente ancora parlare tedesco. Ancora gente con boxer e camicia, ancora coppie abbracciate, piccoli gesti estivi di chi, forse volutamente, ha evitato la ressa dei quattrocentomila agostani per godersi con più di tranquillità, quasi in solitudine, la città, fidando nella lunga estate calabra che oggi li sta tradendo. Ai tavoli dei bar gente indolente, i messicani mancati come li ha definiti la Sindaca. Arrivo in Comune con qualche minuto di anticipo, attendo seduto in un corridoio stretto di un bel palazzo antico. E' la mia prima intervista e come tutte le prime servirà anche per capire quali aggiustamenti fare, dove scavare di più, quale atteggiamento avere. Ripasso mentalmente i temi, riguardo la sua scheda biografica, cinquantadue anni, medico..., ma non faccio in tempo che sento passi rapidi sulle scale. Veste sportiva, quasi da teen agers, jeans e camicia verdina. Mi riceve in una stanza, la sua, con spettacolo mozzafiato, il balcone si affaccia sopra il santuario benedettino di Santa Maria dell'Isola. Lascia il balcone aperto e il rumore del mare, la risacca fa da colonna sonora durante tutta l'intervista. Viso regolare, trucco quasi assente, capelli biondi mossi. Muove molto le mani e soprattutto fuma, saranno solo due sigarette alla fine ma nel posacenere ci sono abbondanti tracce della mattinata...
Perchè siamo così poche? E' un problema culturale, di retaggio culturale. Un fatto che ci portiamo appresso da sempre, che è connotato rispetto alla società in cui viviamo oggi. Il ruolo della donna, per definizione è sempre stato visto come il ruolo di chi si doveva occupare dei figli, della casa, del marito o dei familiari più stretti. Col tempo qualcosa è cambiato perchè la donna ha voluto studiare, acculturarsi, trovare una dimensione propria nel lavoro, nuovi interessi. Però ancora oggi la realtà non è che sia cambiata in profondità. Paghiamo ancora questo retaggio. Anche per questo credo che il rapporto tra politica e donna sia ancora legato alla casualità, però è anche vero che occorre una reciprocità d'interesse. Se gli amministratori, i politici, sono ancora uomini e casualmente incontrano una donna che si vuole interessare, deve scattare la reciprocità. Perciò le quote mi sembrano un ghetto. Tuttavia se non facciamo scattare questa reciprocità in maniera spontanea, almeno provochiamola. Se la quota vuole essere una provocazione mi sta bene anche se, per me, che sono già entrata in questo circuito politico, che tra l'altro mi piace molto, sarebbe facile dire che non è buona. Sono anche le donne, però, a doversi fare carico di entrare nella vita amministrativa. Credo ci sia una grande necessità di questo senso di praticità, di realtà di cui siamo portatrici. Serve una donna a capo di un'amministrazione, al di là delle quote. Il mio non è stato un percorso politico in senso classico, partitico: lo considero un percorso sociale, d'interessamento. Non appartengo ad un partito politico nel senso di tessera o militanza. Per educazione mia personale, per retaggio familiare, appartengo ad un'area di centro destra, ma non è un'appartenenza specifica. La nostra, infatti, è una lista civica che ha più anime. La mia partecipazione alla vita politica-amministrativa è stata una scelta di una normalità assoluta. Io ero già vice Sindaco, sono stata vice Sindaco per dieci anni. Dodici anni fa è stato normale partecipare alla competizione elettorale politica, alla vita amministrativa della mia città. Non mi sono sentita nè una mosca bianca nè un essere strano.
E' stato l'interessamento verso la vita bella della mia città che mi ha portato verso l'impegno amministrativo. Certo non sono scesa in campo da sola, ma insieme ad altri amici. Nella mia giunta, c'è un'altra donna, assessore ai servizi sociali nonchè medico come me. Ma anche nell'apparato amministrativo abbiamo molte donne ai vertici. Il comandante dei vigili urbani, il capo del settore ragioneria e quello dell'anagrafe, il direttore generale, sono tutte donne. Con la mia elezione a Sindaco credo che la percezione dei cittadini tropeani verso le donne sia molto mutata, in positivo. Credo che la donna che amministra lo faccia con un senso di praticità maggiore. Se una donna dice una cosa, non sta dicendo una fesseria, una bugia, perchè ha questo spiccato senso di praticità. E questo, credo, si ripercuote anche nell'amministrazione. C'è una certa praticità, senza volersi piegare ai tempi lunghi della burocrazia, quest'altra piaga che accomuna tutti i Sindaci. Questo la gente lo capisce, perchè vuole sentirsi dire le cose con semplicità, senza travisamenti o mascheramenti. Ma per ottenere questo c'è bisogno di una presenza continua. Esiste in noi donne, poi, una particolare sensibilità che ti porta a capire anche le sfumature di tipo caratteriale degli altri. Quando dodici anni fa scendemmo in campo, il mio attuale vicesindaco, che allora era il Sindaco, venne a chiedermi direttamente la disponibilità a partecipare a quell'esperienza. La città era allo sbando, allo sfascio e si trattava di "metterci sotto" con energia e passione. Solo dopo ho saputo, però, che prima di chiederlo a me ne aveva parlato con i miei genitori, con i miei parenti più stretti; aveva comunicato le sue intenzioni. La mia famiglia è stata perfettamente d'accordo però a me non hanno detto niente, solo dopo ho appreso di questi contatti. Anche per questo i miei rapporti familiari non sono per nulla mutati, nè con il mio impegno nell'amministrazione prima nè con la sindacatura poi. Per genitori come i miei, normali, calabresi, vibonesi, tropeani, non acculturati nel senso di non possedere alti titoli di studio, ma con la semplice licenza di scuola elementare, aver ritenuto questa offerta buona, con l'obiettivo di dare una sterzata al paese, mi ha sorpreso e gratificato. Evidentemente mi ritenevano all'altezza di quest'impegno, di questa sfida.
Per questo con i familiari non è cambiato niente. La stessa cosa non posso dire con il resto della società. Da noi il concetto di potere, di potenza è vissuto in maniera atavica. Se tu sei il Sindaco puoi, hai potere, il potere di fare tutto, tutto quello che vuoi. Molte volte mi sento dire da alcuni miei cittadini la frase famosa: "Sindaco, se voi volete...". Per me è una cosa terribile. Posso affermare che, da questo punto di vista, alcuni rapporti con la comunità, da quando sono Sindaco sono cambiati. Se prima c'era un rapporto che mi portava a parlare con tanta gente, a conoscere, anche perchè sono medico all'ospedale e quindi è anche naturale per la mia professione, mi rendo conto che adesso ho un pò mutato il mio stile. Oggi il mio ruolo mi porta spesso a dover dire dei no, in una realtà in cui invece è molto più semplice dire dei sì. In questo senso il rapporto è cambiato. Non che ci siano delle distanze, ma ritengo opportuno, per una questione di correttezza, che alcuni rapporti siano diversi e cambino, sia qui sia fuori. Mi rendo conto che quest'atteggiamento serve molto a me stessa. D'estate, ad esempio, quando aprono nuovi locali, localini, evito anche di andarci. Se devo andarci preferisco andarci in gruppo e questo per evitare che qualcuno mi possa trattare in maniera diversa, preferenziale. Non che questo sia negativo, perchè può essere un segno tangibile d'affetto, di stima... Sono io che ritengo che il mio comportamento debba essere estremamente corretto, per non dare adito a nessun possibile equivoco. L'impegno politico amministrativo non mi ha fatto abbandonare il mio lavoro. Non faccio il Sindaco a tempo pieno. Io faccio il medico anche perchè noi, per una scelta fatta dodici anni fa, abbiamo deciso di mantenere i nostri emolumenti al minimo stabilito dalla legge. E' una scelta, ed io continuo a mantenermi con il mio lavoro che non ho affatto intenzione di abbandonare. Nei miei rapporti con i partiti dobbiamo distinguere tra partiti e politica. Noi magari vogliamo diminuire i tempi lunghi della burocrazia, cerchiamo di prendere decisione in tempi non biblici, perchè non siamo legati a partiti o ad ordini di segreteria di partiti. Appartenere ad un partito è una cosa bellissima però ti costringe a rispondere in una maniera che non è tua. Se la segreteria di un partito sostiene che quella cosa va fatta in quel modo, tu non puoi rifiutarti, ti devi adeguare se c'è quell'appartenenza. Per cui i tempi diventono più lunghi.
Personalmente mi sento sia una politica sia un'amministratrice. Se politica s'intende interessarsi della cosa pubblica, allora sono politica, anche se a volte è più difficile dirlo. Non ritengo corretta questa distinzione tra politica ed amministrazione. Sei un soggetto politico anche se fai amministrazione. Anche i cittadini sono soggetti politici. Con l'elezione diretta del Sindaco, poi, credo si sia interpretato il vero desiderio dei cittadini, e la scelta del Sindaco oggi avviene, a volte, anche a prescindere dalle appartenenze politiche. Personalmente sono per l'abolizione del limite del mandato che ritengo un assurdo, perchè è il cittadino a dover essere il dominus della vita politica e così come ti ha scelto ti può revocare. Con l'elezione diretta si sceglie la persona e se una persona ha male amministrato sono certa che i cittadini lo faranno pesare nell'urna. Ho sempre pensato che questa norma sia addirittura anticostituzionale. Ho svolto i miei studi universitari a Messina; dopo ho intenzionalmente scelto di ritornare anche se avevo più di un'opportunità di restare in quella città, nell'ambito universitario. Tuttavia sentivo che il mio posto era qui. Per questo non ho vissuto la scelta come una rinuncia, ma è stata una scelta serena di cui oggi non mi pento. Credo occorra fare di tutto per permettere alle persone di poter restare nei propri luoghi. Non certo perchè si deve avere paura di andare in altri luoghi, ma perchè bisogna dare alle persone la possibilità di non perdere le proprie radici. Da noi l'opzione emigrazione è quasi obbligata per potersi realizzare. Il nostro territorio, lo sappiamo, non offre molte possibilità. Però io lo vedo anche con chi ha fatto questa scelta, che la voglia di tornare rimane sempre.
Ho partecipato di riflesso a quel periodo di grande politicizzazione degli anni '70. Vivendo alla periferia dell'impero fin quando quelle idee, quei movimenti sono arrivati quì in realtà si era già andati oltre. Più che da liceale, dove abbiamo percepito qualcosa perchè avevamo professori che erano schierati o appartenenti a partiti e quindi vivevamo di riflesso le sensazioni che altri ci partecipavano, una maggiore consapevolezza l'ho avvertita i primi anni dell'Università. Anche se a quell'epoca era passato il clou, c'era un modo di pensare, di vedere le cose che si poneva chiaramente alla nostra attenzione. Però essendo periferia non posso dire di avere vissuto direttamente quella fase. Più che altro ricordo gli scontri che avvenivano in estate, quando qui a Tropea c'era un turismo diverso, nel senso che erano presenti ed andavano di moda di più i campeggi, che erano frequentati dai giovani, anche da quelli alternativi. Ho chiara la consapevolezza di amministrare il comune simbolo del turismo calabrese. Forse sono altri a non averla questa coscienza. Nel senso che se nel mondo è conosciuta Tropea, un motivo c'è. Se noi dobbiamo essere da traino per la Calabria, con un Comune che è un vero e proprio luogo che riunisce provenienze, culture, estrazioni, lingue diverse, che ci ha anche fatto maturare un'apertura mentale diversa rispetto al cittadino calabrese medio, dobbiamo però avere accanto le altre istituzioni, Provincia, Regione, Ministeri. Invece combattiamo ogni giorno con le richieste che facciamo ai vari assessorati. Tutti sappiamo delle ristrettezze in cui di dibattono le amministrazioni comunali. Noi, da tempo, abbiamo fatto in modo da dare servizi dignitosi e di qualità, ai nostri concittadini, mantenendoci sempre nei limiti imposti, cercando di non fare sprechi. Ma spesso c'è bisogno delle altre istituzioni, quando parliamo delle grandi infrastrutture, di eventi che possano richiamare ulteriormente il turismo... Ma questa collaborazione non può essere una tantum. C'è una grande miniera da sfruttare che si chiama Tropea, la gente viene, qui lascia qualcosa e per questo dovrebbe essere un gioiello, come Taormina. Io non mi stanco di affermare che Tropea ha bisogno di una legge speciale proprio per creare quell'indotto tale da impedire al cittadino calabrese di emigrare. Per questo la nostra politica è anche quella di entrare nei diversi circuiti nazionali di qualità. Siamo nel gruppo dei soci fondatori delle città dei sapori, dei borghi di eccellenza, siamo città del sole... Però se io non ho i soldi per aggiustarmi le strade, qualcuno me li deve dare, perchè questo significa dare qualità ai servizi per le persone che vengono a visitarci.
Dobbiamo ficcarci in testa la cultura dell'accoglienza. Non dobbiamo considerare chi viene qua come il pollo da spennare e pensare che tanto il prossimo anno ne verrà un altro. Dobbiamo crescere anche noi in questa cultura dell'accoglienza. Mi piacerebbe essere un Sindaco visto come un interlocutore sempre positivo. Quando vengo fermata per strada o avvicinata dagli altri cittadini faccio di tutto perchè mi vedano come qualcuno che ascolta, che sente le necessità, il bisogno, e che in ogni modo si impegna per dare una risposta. Di questi primi due anni di sindacatura credo di aver vissuto momenti molto particolari. Anzitutto il momento positivo della conferma, quando abbiamo capito che avevamo vinto. Una riconferma è sempre un momento con un'alta valenza politica. Ricordo poi come altro momento positivo la conferma delle cinque vele di LegAmbiente, una scommessa che avevo lanciato nel mio programma elettorale. Ci occorre per fare durare il periodo estivo di più, perchè abbiamo grandi potenzialità nel favorire il turismo destagionalizzato. Pian piano gli operatori turistici hanno cominciato a capire che i loro locali debbono essere cambiati anche per poter ospitare la gente in primavera, se non addirittura in inverno. E anche questa la considero una vittoria. Se tra 2002 e 2003, prima della stagione estiva, abbiamo registrato quattrocentomila presenze, un motivo c'è stato. Un altro momento che mi sta dando grandi soddisfazioni è stata la battaglia per la sanità. Sanità che non volevamo fosse vista come il campanile, ma come la dovuta attenzione verso un territorio particolare. E questa battaglia è avvenuta anche grazie al supporto costante e alla presenza di tutti i Sindaci del territorio. Il diritto alla salute, non solo per noi ma anche per quelli che ci visitano, è uno dei primi elementi della qualità che dobbiamo poter offrire. E' stata una battaglia lunga, ho minacciato anche le dimissioni se non si dava la dovuta attenzione a quest'esigenza, e pian piano stiamo venendo fuori in maniera positiva. Adesso c'è un'altra grande battaglia, che non ho iniziato io, ma che abbiamo iniziato insieme dodici annai fa. Dobbiamo metterci in testa che non ci dobbiamo rivolgere sempre verso o contro lo Stato, ma che lo Stato siamo noi, e noi abbiamo delle regole che dobbiamo rispettare. Dobbiamo cercare anzitutto noi, amministratori e istituzioni locali, di essere il punto di riferimento. Da questo punto di vista io sono per quella brutta, vecchia parola che adesso sta tornando di moda, che è la questione morale, che assume oggi una sfumatura ancora più determinante perchè siamo in Calabria, perchè siamo in provincia di Vibo Valentia, e quindi è giusto che torni alla ribalta. Ma senza creare eroi e vittime, ma facendo in modo, ciascuno nella nostra quotidianità, di essere il riferimento dell'altro. I miei rapporti con i colleghi Sindaci sono buoni. Oggi i Sindaci, anche grazie all'elezione diretta, hanno una maggiore responsabilità nei confronti dei cittadini. Il Sindaco non è l'espressione di accordi che si facevano prima e che duravano lo spazio di una settimana e poi avanti un altro. Oggi il cittadino sceglie, vuole essere rappresentato e vuole vivere meglio nella sua comunità. Anche per questo è più facile, insieme con gli altri colleghi, affrontare problemi che ci accomunano, i rifiuti, il problema dell'acqua, il problema turismo, la sanità. Man mano che i rapporti si fanno più alti, Provincia e Regione, questi rapporti cominciano ad essere più difficili, più problematici. Credo che un pò tutti avvertano questa lontananza. Solo che al cittadino di questo non importa granchè, non se ne rende conto, specie nelle piccole comunità dove ciascuno chiede e ottiene velocemente udienza dal Sindaco. Quello stesso cittadino che non comprende le difficoltà da parte del Sindaco ad investire dei problemi gli altri livelli istituzionali, soprattutto quando le competenze non ci appartengono, non sono del Comune. E allora c'è bisogno di passaggi lunghi, di intermediari, di un doversi rapportare con altri perchè riferiscano a chi di dovere. Credo che qualunque Sindaco calabrese sia testimone di questa difficoltà di comunicazione. Non abbiamo ancora sviluppato una realtà di servizi in gestione associata con gli altri Comuni. Abbiamo messo in piedi una realtà che si chiama Consorzio del Tirreno, otto Comuni. Lo statuto ci permette di poterci configurare come realtà che inizia a discutere di servizi associati, una cosa che considero la chiave di volta per limitare le spese. Abbiamo già iniziato da diversi anni un discorso che riguarda la depurazione, il sistema idrico e credo che prima o poi dovremmo confrontarci anche su questa realtà dei servizi. Anche se ora si stanno creando gli organismi provinciali che dovrebbero rappresentare un inizio di consorzio tra Comuni e Province. Mi sono documentata sulle esperienze in corso e sono convinta della bontà di procedere in questa direzione, soprattutto tra piccoli Comuni, anche perchè la legge oggi prevede incentivi, garanzie per non far pesare troppo i tributi sulle tasche dei cittadini. Già il fatto di cominciare a parlarne è un fatto importante, culturalmente importante per gli amministratori della mia area. Noi viviamo anche quest'altro grande problema che è la nostra sicurezza, la sicurezza degli amministratori; e accanto c'è l'enorme problema della criminalità organizzata, della 'ndrangheta e nel vibonese di alcuni potenti clan. Credo che questo problema non è stato affrontato con la dovuta importanza fin dall'inizio. Forse, col tempo si sono migliorati anche loro, evidentemente hanno saputo prendere tutta una serie di contromisure che rendono più difficile l'azione repressiva, una maggiore qualità del delinquere. Certo è che nei nostri piccoli centri amministrare non è facile. Non necessariamente l'atto intimidatorio che subisce il Sindaco, l'assessore o il consigliere ha una matrice mafiosa. Può anche essere il gesto della disperazione o di un no non accettato, insomma può assumere diverse sfaccettature, oppure può essere una cambiale non pagata. Comunque il primo problema della Calabria rimane quello della criminalità organizzata. Per definizione gli interessi stanno dove c'è il denaro e dove il denaro circola. Noi siamo una realtà importante dal punto di vista turistico, nel nostro territorio è concentrato oltre il quaranta per cento dei posti letto di tutta la regione Calabria, quindi ristoranti, attività commerciali, pizzerie, ecc. C'è anche quella vecchia piaga che si chiama usura e che si chiama mazzetta. Certo che mi rendo conto di questo e so che non siamo affatto un'isola felice. Mi rendo anche conto che tra i problemi che affliggono la mia piccola città di settemila abitanti, che poi in estate diventa di oltre trecentomila, c'è la droga, e anche qui c'è un'adolescenza che deve essere salvaguardata, difesa da questo grande insulto. Ma questa comunità ha tutti i vizi e le virtù di una grande città. Il Sindaco ha il dovere di mettere in campo quanto è nelle sue possibilità. Progetti che partono dai bambini e arrivano fino agli anziani. Sia i bambini cosiddetti normali sia quelli che vivono nel disagio familiare perchè le famiglie vivono il disago economico o perchè le famiglie appartengono a circuiti ben definiti. Il Sindaco di questi problemi ne deve parlare sempre e continuamente. Lo deve ricordare a se e agli altri che ci sono questi problemi, che esistono. Non c'è criminalizzazione di una comunità. Una città che è consapevole della realtà non è una città criminalizzata, ma matura, perchè accanto a questi fatti ce ne sono altri cento positivi. Noi abbiamo un centro d'ascolto per le tossicodipendenze, un centro diurno per disabili mentali, ci sono trenta associazioni che s'interessano di musica, di sport, di cultura. E' una città che ha tanto da fare e lo fa, giorno per giorno. Magari si maschera dietro un'apparente indifferenza, ma è una città in cui c'è molta solidarietà, che non si dice, ma si pratica. Anche nell'ultima querelle che ha investito la stampa nazionale. Su questi fatti ci deve essere la costituzione di parte civile da parte dei Comuni, perchè altrimenti parliamo invano e non rappresentiamo i cittadini. Il vero problema è che siamo esseri umani e a volte non rispondiamo solo di noi stessi. Ci sono le famiglie. Abbiamo le nostre debolezze, le nostre alzate d'orgoglio. Vero è però che molte dimissioni a seguito di atti intimidatori sono annunciate ma poi non hanno seguito. E questo è positivo, perchè se hai un riscontro di solidarietà e di attenzione da parte dei tuoi concittadini, non è vile tornare indietro. Se porto avanti tutto il mio programma come sto facendo, e già in questi primi due anni ho un buon riscontro, e se c'è la collaborazione piena dei consiglieri, degli assessori, se c'è questa voglia, non solo mia, ma anche di chi sta insieme a me, è certo che mi ricandiderò. Devo anzitutto trovare la voglia di farlo. Oggi non riuscirei a fare a meno di quello che sto facendo, ma questo è un pezzo del mio carattere, perchè se inizio una cosa la devo terminare. Solo dopo posso decidere di smettere. Ma gli altri, coloro che mi hanno mandato qui, debbono poter dire: mi hai propinato un tuo programma, cinquanta cose, ne hai fatto solo dieci, non vali, mettiti da parte. Certo la difficoltà a gestire vita privata e vita pubblica è enormemente aumentata. Io poi continuo con il mio lavoro, però il tempo riesco a trovarlo, per forza. Certo si sacrifica qualcosa: mi piacerebbe fare una vacanza, stare fuori una settimana, ma questo non è possibile. Però ritagliarsi il maggior tempo possibile per ciò che interessa, questo si può fare. A volte vorrei più tempo per me, per le mie cose, però mi rendo conto che se occorre fare qualche qualche rinuncia questa investe inevitabilmente le mie cose. Ma senza pensarci troppo. Gli incontri con i cittadini li facciamo quotidianamente, per strada. Mi piacerebbe, però, che i cittadini frequentassero di più i consigli comunali, perchè uscendo per strada quando mettiamo l'avviso del consiglio, i capannelli per leggerlo ci sono, ma poi la frequenza è poca. Il tropeano è così, un messicano mancato. E' una persona che dilata le cose nel tempo, però le fa. E' tendenzialmente indolente a volte simpatico a volte no, ma questi siamo. In ogni caso l'incontro con i cittadini è costante quando presentiamo programmi che hanno una progettualità spinta. Ogni nostro progetto è presentato alla città, un modo per offrire alla visione e alla partecipazione quello che stiamo mettendo in campo per loro. E' questo quello che vogliono sapere i cittadini. Ciò che si sta facendo, che si sta progettando per loro. Noi abbiamo il reddito minimo, forniamo assistenza ad una trentina di anziani; un gruppo di donne dal reddito minimo hanno gestito la stagione estiva, tenendo pulite le spiagge libere, tenendo pulito il verde, le utilizziamo per tenere pulita ed aperta la biblioteca; un centro per ragazzi fino a dodici anni lo riapriamo a giorni perchè sono arrivati gli altri finanziamenti. Abbiamo coinvolto anche i carabinieri in pensione, perchè pensiamo possano essere una figura che funziona da deterrente a qualsiasi tentazione. Il campetto di calcetto, speriamo sia maggiormente frequentato. La gente queste cose vuole vederle. E noi le facciamo. Quando ci trasferiamo alla nuova sede comunale inviterò tutta la cittadinanza, deve venire. E' la loro casa.