Capitan Giangurgolo

Sono molti i gruppi che presentano dialetto
itanializzato tipico delle nuove generazioni.
TEATRO POPOLARE
IN CALABRIA
E' indispensabile la ricerca dialettale per
far rivivere oggi le espressioni di un tempo.
 

di Carlo Grillo


Sono sempre in crescita in Calabria le formazioni stabili che si prefiggono di riscoprire e rivalutare le tradizioni popolari della nostra terra. Giovani e meno giovani si associano con l’intento di allestire spettacoli teatrali che vanno dalle commedie in vernacolo ai recital di poesie e musica popolare. C’è nell’aria una gran voglia di dialetto! Pensiamo ai cabarettisti locali che appaiono frequentemente sulle reti televisive private: essi presentano, nel loro modo di esprimersi, un bilinguismo che a tratti è piacevole, altre volte un po’ meno, ma in ogni modo bisogna dare un riconoscimento a questi artisti per il coraggioso tentativo di valorizzare la lingua dialettale e di non vergognarsi di essere calabresi. Il discorso cambia quando parliamo di associazioni che si costituiscono con la finalità di fare opera di rivalutazione della cultura popolare attraverso il teatro. Molti autori, registi o direttori artistici che dir si voglia, dichiarano apertamente di fare teatro popolare e, tutto sommato crediamo che siano in buona fede, ma ciò non li assolve dal fatto che essi spesso travisano il termine creando situazioni, ruoli e personaggi che di “popolare” hanno ben poco.
Lo sconfinato campo delle tradizioni popolari che ingloba il corpus delle tradizioni orali (canti, proverbi, filastrocche, indovinelli, scioglilingua, favole, ecc.) dà spazio anche a racconti di tipo farsesco, o meglio a cronache di farse carnevalesche realmente realizzate in piazza in tempi più o meno lontani. I contatti tra il mondo della scrittura (cultura egemone) e il mondo delle tradizioni orali (cultura subalterna) si sono fatti negli anni sempre più assidui e visibili per cui non è difficile reperire da qualche testo letterario notizie intorno alle farse o, addirittura intere stesure, magari un po’ rivedute e corrette, ma non svestite della loro genuinità primitiva. Senza voler entrare nei meriti di una ricostruzione storica e letteraria, diciamo che è proprio dalle farse carnevalesche che prende il via un discorso intorno al teatro popolare calabrese. Teatro spesso anonimo, ma non perché si sia smarrito il nome dell’autore (al contrario, in ogni paese e città della Calabria c’è sempre un buon informatore pronto a parlarci di un’altra persona chiamandola per nome o soprannome, indicandola come, “uomo di penna” e, quindi, capace di creare dialoghi e monologhi per ogni occasione), ma perché è spesso il risultato di molteplici creazioni individuali. Per capirci, ci sono paesi in cui la stessa farsa viene ripetuta per anni, ma ogni volta con le opportune modifiche in quanto il fine principale è quello di fare “satira” su un fatto realmente accaduto. Ciò comporta una serie di interventi e manipolazioni su una struttura già consolidata e (cosa più importante) condivisa da tutta la collettività. Col cambiare degli avvenimenti cambiano i ruoli e i personaggi e tutto ciò comporta, inevitabilmente, la creazione di un’opera nuova. Un tema più volte affrontato, ad esempio, è quello delle donne “fedigrafe e svergognate” che ci rimanda per analogia formale a quel vecchio filone del mondo classico, ripreso successivamente in epoca rinascimentale, della “beffa dopo l’inganno”. Ma qual è l’atteggiamento degli autori contemporanei nei confronti del teatro popolare calabrese? Sono tutti in possesso di quella sensibilità necessaria per poter descrivere il carattere del calabrese a volte umile e sottomesso, altre volte testardo e indomabile? Non risponderemo certamente noi a questo interrogativo, tuttavia su una sola cosa ci vogliamo pronunciare e precisamente sull’aspetto linguistico delle commedie che si vanno a rappresentare in città e in provincia. Nella stramaggioranza delle suddette opere si nota un dialetto italianizzato che è tipico delle nuove generazioni. Essendo, si dia il caso, l’autore egli stesso appartenente a un periodo in cui il linguaggio aveva già subito le sue naturali modifiche, per cui espressioni di una volta non fanno parte del suo bagaglio culturale, succede spesso che egli scriva come parla. Ed è proprio in questo che consiste l’errore: attribuire quello che è il suo linguaggio a personaggi che si esprimevano in tutt’altra maniera; un tempo ci si esprimeva metaforicamente, si parlava con doppi sensi, allusioni, con evidenti tagli allegorici e, soprattutto, ci si esprimeva con i proverbi che sintetizzavano concetti molto profondi e veri. Ciò premesso, è di estrema importanza nel teatro popolare curare, oltre agli ai contenuti, anche gli aspetti linguistici perché sono spesso questi ultimi che danno più vigore e consistenza ai primi. Indispensabile è, pertanto, la ricerca dialettale se non vogliamo che scompaiano per sempre quelle belle espressioni di un tempo che con la loro immediata freschezza rappresentano un mondo sicuramente più autentico del nostro.