di Gaetano Valente
La storia della casata de Paù, rilevata in un libro di famiglia del primo Ottocento1, prende le mosse dal suo capostipite Giannotto, un feudatario catalano signore del castello <<de Paù>>, nel contado di Barcellona, imparentato con il gran capitano Consalvo di Cordova al cui seguito era venuto in Italia nella spedizione spagnola per la conquista del regno di Napoli2, e alla fine del conflitto dallo stesso destinato governatore di Bitonto, morendovi nel 1512. Tra i suoi discendenti stabilitisi a Terlizzi è annoverato appunto Gennaro de Paù3, il padre di Felice. Gli aveva imposto quel nome perchè <<trovandosi senza prole maschile, fece ricorso con preghere al Santo Protettore della famiglia Felice da Cantalice>>. Felice de Paù nacque il 25 maggio 1703, due giorni dopo fu battezzato dallo zio canonico don Domenico e l'anno successivo cresimato4.
<<Per tutto l'anno quarto di sua età vestì l'abito votivo di S. Felice Cappuccino (...), in età di anni sette fu iniziato nella prima tonsura da monsignor Giacinto Chiurlìa, vescovo di Giovinazzo, e nell'anno 1717 (...) fu per sentenza investito del beneficio di patronato eretto da Annibale seniore5. Gli studi di humanità li fece sotto la direzione del sacerdote Don Gaetano Rubini che allora godeva fama di buon istitutore. Terminò gli studi della lingua latina in età di anni 13. Il padre per l'amore che egli aveva per la giurisprudenza voleva che il figlio allo studio della stessa si addicesse, ed egli medesimo gli leggeva le istituzioni Giustinianee. La indole del giovane alquanto avversa a tale studio ne lo rimoveva, ma perchè si sentiva inclinato a quello delle lingue, specialmente per la greca, a tutt'uomo si dedicò>>6.
Prosegue l'estensore delle note biografiche indugiando sulla formazione musicale di Felice con il Dalè, <<espertissimo e rinomato maestro compositore di violoncello sotto di cui si perfezionò nel contrappunto ed apprese a suonare il detto strumento>>7, oltre, naturalmente, al claviembalo. E con lo stesso maestro cominciò a destreggiarsi nella composizione musicale su schemi poetici di sua creazione, <<ispirandosi talmente alla melodia delle note della signora Broschi, che il padre per distrarlo ne lo inviò a Roma, ove perfezionatosi nello studio della letteratura e della musica, divenne una delle notabilità del Napoletano>>8. Era ormai diciannovenne e correva l'anno 1722. La chiesa locale stava vivendo i più torbidi anni della sua storia, per i toni aspri assunti dalle fazioni nella plurisecolare vertenza giurisdizionale, pro o contro l'arciprete-prelato di Terlizzi e il vescovo di Giovinazzo. Sfocerà ben presto in violenti scontri tra gli opposti schieramenti, disordini e sollevazioni popolari. Di qui la visita apostolica del vescovo di Bisceglie Antonio Pacecco (1725 - 1727) e la drammatica risoluzione finale di Benedetto XIII di condannare senza appello la chiesa di Terlizzi alla piena dipendenza dal vescovo di Giovinazzo. Il padre di Felice aveva intuito tutto e conosceva bene cosa ne pensasse suo figlio. Un motivo in più per allontanarlo in tempo dal paese, dovendo pur sempre proseguire i suoi studi e addottorarsi in vista di una carriera, per l'onore della casata. Affidato alla cura e protezione del cardinale Francesco Giudice9, Felice non disattese le mire paterne impegnandosi subito con serietà e con tutto il suo ardore giovanile allo studio delle pandette e laureandosi quattro anni dopo, l'11 aprile 1726, nell'uno e nell'altro diritto nell'almum archigymnasium Sapientiae, suo relatore fu il cardinale Prospero Lambertini, in quel tempo avvocato concistoriale10. Ricorrente è anche la qualifica di <<professore in filosofia e in teologia dommatica e morale>> attribuitagli in seguito nei documenti11. E' certo, comunque, che privilegiò ben presto gli studi umanistici12, il suo primo amore, e, naturalmente, la poesia e la musica. Si protrasse infatti per altri sei anni la sua permanenza a Roma, contraendo prestigiose amicizie con i personaggi più ragguardevoli del bel mondo dorato della Roma papale. A quest'epoca si riferisce l'affabile familiarità e stima di cui lo degnò il cardinale Prospero Lambertini, già suo relatore, conservandogliela anche dopo essere divenuto pontefice con il nome di Benedetto XIV13. E molti alri ne annoverò nel mondo della cultura con le assidue frequentazioni dei circoli più esclusivi. Una particolare rilevanza assume invece per il nostro assunto la sua affiliazione all'accademia romana dell'Arcadia, sotto il nome di Anemo Micalesio, per l'incisiva influenza esercitata nella sua formazione e produzione poetica e musicale di carattere pastorale. In tale contesto si colloca una sua composizione, appunto poetica e musicale, del 1730, chiaramente di genere frivolo14. E in materia di musica, oltre che di erudizione varia, di scienza e di diritto ecclesiastico, mantenne in seguito stretti rapporti epistolari con molti intellettuali del suo tempo, da tutti esaltato come grande erudito e letterato15. Celebrato è stato altresì dagli specialisti in campo musicale come critico e banditore della riforma dell'opera già voluta dal Lulli16, con <<un trattato musicale, famosissimo per oltre un secolo>>17, ponendosi egli stesso sulla stessa scia come compositore di buona musica. <<Amante delle belle lettere e dell'arte>>, il giovane rampollo della nobile casata de Paù non mancò di avvalersi della lunga permanenza nella Roma dei papi e degli artisti per organizzare l'allestimento di una vera e propria galleria nella vastissima sala del palazzo paterno, <<profondendo molto denaro nell'acquisto di vari pennelli originali dei più grandi pittori italiani>>18. In questa sale, appositamente attrezzata a teatro, il de Paù allestirà, tra gli altri trattenimenti musicali da lui composti, la rappresentazione du due suoi melodrammi o, meglio, Oratorii sacri, ispirati a due personaggi biblici femminili, Micol e Ester19. Era tornato in famiglia, nel 1732, sempre più deciso a proseguire nella carriera ecclesiastica. Per la discendenza ereditaria non c'erano più problemi avendo suo padre avuto altri figli dal secondo matrimonio. Era pure passata la gran buriana della visita apostolica del Pacecco e avviata ormai in Sacra Rota l'istanza di revisione della sentenza del 172720. Il capitolo della collegiata puntava decisamente alla concattedra con Giovinazzo per sanare in radice la plurisecolare vertenza giurisdizionale21. Gli anni trascorsi da Felice de Paù a Terlizzi fino alla sua elezione vescovile lo videro protagonista assoluto della vita sociale e religiosa del paese. Ancora prima di inserirsi nel vivo delle vicende cittadine si occupò a mettere a punto sulle orme del Lulli quel suo trattato sulla riforma della melodia cui si è accennato22, e a impartire <<educazione musicale ai giovani>>23, senza tuttavia trascurare le sue composizioni e i due melodrammi già in cantiere in quel tempo. E a lui si rivolgerà nel marzo del 1735 il sindaco dell'epoca, il nobile Tommaso de Gemmis, per fargli approntare una <<commedia>> con <<le composizioni di tutte quelle parole e musica che ci saranno di bisogno (...) per la recita di detta commedia>> in occasione di uno <<sperato>> passaggio per Terlizzi del re Carlo III di Borbone per manifestargli <<la particolar gioia concepita per le sue glorie e conquiste>>24. Ma sin dal 1733 Felice de Paù è già a fianco dell'arciprete Murgigni come suo vicario25. Si erano infatti affacciate nuove avvisaglie di scontri con il vescovo Paolo Mercurio da poco insediatosi sulla cattedra di Giovinazzo. Rimanendo semplice chierico gli è affidato il governo della chiesa locale con la più ampia libertà d'azione, mentre di lì a poco sopraggiunge l'inabilità del Murgigni. E' sufficiente leggere nelle due voluminose raccolte solo qualcuno dei suoi innumerevoli editti e decreti, sempre autenticati con il sigillo della sua casata26, per coglierne la profonda cultura giuridica e teologica e il grande senso di responsabiltà di governo, profondendovi tutto il suo impegno per l'attualizzazione della riforma tridentina in tutti i settori della vita ecclesiastica e religiosa del paese, anche con provvedimenti mirati a conferire maggiore dignità alle ricorrenti celebrazioni liturgiche27. Dell'aura popolare e del prestigio tra le file del clero, unitamente al mandato conferitogli di <<avvocato della lite>>, si avvalse il de Paù per assumere con fermezza la difesa delle ragioni e dei diritti della sua chiesa contro l'intransigenza del vescovo in materia di giurisdizione. E fu scontro durissimo, con reciproche accuse di abuso di potere e comminazioni di scomuniche28 e fino a una irruzione dello stesso vescovo in piena assemblea capitolare per imporvi <<con tanta milizia armata>> la sua presidenza. Immediata la reazione del vicario Felice de Paù risoltasi in una filippica davvero feroce, ampiamente riportata in verbale29. Ma è, poi, lo stesso de Paù a intrecciare una fitta rete diplomatica, interessando alla vicenda la Nunziatura e il re di Napoli30, per avviare su basi concrete del diritto e alla luce delle disposizioni tridentine la soluzione della spinosa vertenza giurisdizionale31. In questo clima di concordia discors si innesta l'altra esperienza collaterale di governo del de Paù, ancora semplice chierico, chiamato dal vescovo di Bitonto Giovanni Barba a reggere l'ufficio di vicario generale e di esaminatore sinodale32. Ne approfittò per farsi finalmente ordinare prete. Nell'ottobre del 1744 ricevette gli ordini minori e maggiori e il 24 settembre del 1746, già quarantatreenne, il presbiterato33. E decisiva si rivelò frattanto la sua opera d'intermediazione presso gli organi competenti di Roma e di Napoli e lo stesso pontefice Benedetto XIV per risolvere le questioni pendenti e gli altri nodi giuridici fino alla definitiva bolla papale del 26 novembre 1749, che sanciva l'erezione della collegiata di Terlizzi in cattedrale, unita aeque principaliter a quella di Giovinazzo34. Il prestigio accreditatogli dalla famiglia e la notorietà di cui godeva presso i circoli culturali partenopei lo avevano già da tempo introdotto negli ambienti di corte rimeditandosi ben presto larga stima e familiarità da parte del sovrano, tanto da fargli riservare non appena disponibile35 una delle sedi vescovili di nomina regia36. Nel caso specifico la segnalazione regia sembra del tutto autonoma, senza cioè seguire la normale prassi burocratica attraverso i rappresentanti del sovrano presso la S. Sede. Porta la data del 17 gennaio 1751 il regio decreto di designazione di Felice de Paù alla cattedra vescovile di Tropea37 e quella del 15 marzo successivo, previo l'esame di prammatica davanti a una speciale commissione38, l'elezione in sede concistoriale39. Quattro giorni dopo fu consacrato a Roma dal cardinale Guidoboni Cavalchini40 e il 24 giugno raggiunse la sede designata, facendosi precedere da una lettera pastorale41. L'esperienza di governo pastorale di Felice de Paù si situa nel positivo contesto post-concordatario e si articola nell'arco cronologico di ben trentuno anni, consentendogli piena continuità di azione nell'attivare un vasto programma di interventi per la pratica attuazione delle normative tridentine, a cominciare dal seminario, impegno prioritario e principale assillo della S. Congregazione del Concilio. Illuminanti circa lo zelo profuso nell'adempimento di tutti gli obblighi di cura pastorale nello spirito del Tridentino si rivelano le superstiti visite ad limina, in una esposizione redazionale molto ampia e accurata e puntualmente cadenzate per i primi cinque trienni, dal 1754 al 176642. Di supporto alle relationes posteriori non pervenute, sono oltremodo preziose le notizie raccolte quasi dal vivo da uno storico locale43. Da un esame complessivo delle situazioni emergenti, del suo atteggiamento risoluto nell'affrontarle e dell'intransigenza adottata nei confronti delle istituzioni locali, per il recupero totale della giurisdizione episcopale, si può a ben ragione dare credito alla comune opinione formatasi nell'ambiente ecclesiastico del circondario sul suo conto, nel corso, appunto, di oltre trent'anni di episcopato, di essere stato un rigorista. Il tutto, però, contemperato dalla signorilità e gentilezza del tratto e dall'affabilità del portamento. La prima relatio resta al riguardo la più significativa consentendo di cogliere le varie problematiche pastorali, la fermezza decisionale con cui le affronta e risolve e i primi risultati conseguiti. Dopo aver fornito una vasta panoramica sullo stato della diocesi44, passa a tracciare il programma delle iniziative pastorali intraprese sin dal primo impatto con i reali bisogni della sua Chiesa, a iniziare dal principale obiettivo delle normative conciliari, il seminario:
<<Ubi primum ad hanc ecclesiam me contuli non sine maximo animi mei merore inspexi quod hic non seminarium, sed eius velut quoddam simulacrum erat, illudque ab ecclesia cathedrali dissitum et distans. Aedes angustae ac pene collabentes, numerus clericorum vix ad septem, aut octo ascendebat, magistri et officiales sine delectu adsumpti, ita ut nedum profectus ullus non videbatur aut nulla florebat ecclesiastica disciplina, sed et ne quidem sperabatur>>.
Può pertanto riferire ai cardinali di aver già messo mano alla esecuzione di un grande progetto edilizio provvedendo nel frattempo a riabilitare gli studi e la disciplina dei seminaristi in attesa che vengano trasferiti nel nuovo seminario che sta sorgendo <<iuxta ecclesiam cathedralem et episcopale palatium (...), quo completo, quadraginta saltem iuvenes in eo commode institui et formari ad veram pietatem possint et religionem. Rectorem et magistros viros graves et doctos, qui de presenti moras Neapoli \ trahunt, conditionibus satis honestis, iam conduxi>>45. E nella seconda relazione del 1757 può presentare ai cardinali la sua creatura, il nuovo seminario, inaugurato il 6 giugno dell'anno precedente e da tutti ammirato per la sua <<amplitudo, elegantia, claritas>>, per la maggior parte eretto a sue spese, <<de meo ultra modum sumptu (...), quod nullum nobilius (invenitur) in hac utriusque Calabriae regione>>46, accogliendo attualmente quaranta alunni con propri superiori e insegnanti fatti venire da Napoli47. A tre anni di distanza sarà pronto anche il palazzo vescovile, radicalmente ristrutturato e reso più rispondente alle esigenze e attività pastorali, con propria cappella e scalinata di accesso alla cattedrale48. Ne approfitta per coinvolgere in questa campagna di riorganizzazione degli spazi sacri anche i parroci e i sodalizi confraternali per un'opera di bonifica delle loro chiese, mentre prosegue personalmente a creare nuovi spazi e strutture per comodità della diocesi:
<<Fabbricò in seguito monsignore nel locale dell'antico Monistero Basiliano di s. Angelo un casino, che dal suo nome fu detto Villa Felice, per commoda, ed amena abitazione de' vescovi ne' mesi di estate, e vi eresse altro casino prossimo al primo ad uso de' Seminaristi>>49.
Il suo chiodo fisso, insomma è il seminario e la formazione culturale e religiosa dei futuri pastori. Soleva ripetere che l'ignoranza dei preti lo atterriva. Si rivela pertanto estremamente determinato nel reperimento delle necessarie risorse finanziarie per costituire sufficienti e stabili rendite per il futuro mantenimento del suo seminario50, a iniziare dalla tassazione delle rendite capitolari e parrocchiali e fino al recupero alla gestione ecclesiastica dei monti di pietà e dello stesso ospedale cittadino51. E' proprio in questa direzione, nei confronti dei poteri forti cittadini, il capitolo e l'università, che si sviluppa inizialmente lo scontro più vivace. Con il primo, e con il clero in genere, per la tassa sulle rendite beneficiali per il seminario, non solo, ma anche per l'innovativa imposizione degli statuti capitolari fino allora inesistenti e da lui stesso compilati, e con la seconda e le autorità laicali, per aver voluto con forza riportare nell'alveo delle normative conciliari abusi inveterati di privilegio.
<<Tolse l'abuso della sede distinta, ove sedevano nella cattedrale il Governatore, il Giudice e li due sindaci ne' giorni festivi, in cui pontificava il vescovo, e ne ottenne precisi ordini dal governo. Questi urti non pertanto produssero, che agli ecclesiastici fu tolta l'amministrazione del monte di pietà52, e dello stesso ospedale civile, che prima venivano da essi governati>>53.
Ma è poi singolare come riesca a ricomporre abilmente con la sua sottile arte diplomatica la trama dei rapporti con interventi mirati a rilanciare e accrescere lo stesso prestigio del potere vescovile e, con esso, l'influenza nelle vicende complessive della vita cittadina54, anche nei confronti del potere laico, fatto segno, ormai, del crescente favore popolare e della gratitudine di tutto il circondario55. Con uguale energia e rigore affrontò le situazioni eversive di alcune istituzioni religiose, per loro natura avulse dalla realtà diocesana e impenetrabili all'azione pastorale, quali erano appunto le comunità monastiche e conventuali, approdando, quanto meno, a soddisfacenti soluzioni. Come il caso del monastero di S. Giorgio, di osservanza francescana. La comunità, costituita da tre sole coriste e due oblate, aveva creato seri problemi al suo predecessore. <<Inter cetera, moniales eo audaciae pervenerunt ut ad argenta preziosioraque vendenda, immo potius dilapidanda proruperint. Fuerunt proinde cedulonibus relaxatis publice excomunicatae (...) et pluries cum reincidentia absolutae>>. Ciò nonostante, prosegue il de Paù, si erano successivamente opposte con tanta forza, <<maxime favore suorum coniunctorum>>, agli stessi ordini della Santa Sede di lasciare il monastero, <<ita ut praedecessor meus, timore perterritus, manus tanto operi admovere substitit (...). Sed ego tandem, implorato iuxta literas ipsius S. C. regio brachio, sine strepitu rem feliceter expedivi>>, trasferendole negli altri due monasteri, <<ubi et pie, et exemplariter vivunt>>56. Più serio, invece, per la nota esenzione degli Ordini religiosi dalla giurisdizione vescovile, il problema <<puellarum diversorum Ordinum quas terziarias sive bizocas vocant, quarum hac in civitate infinitus est numerus>>. A porre rimedio agli scandali per la loro assidua frequentazione di chiese e conventi, <<sub spirituali directionis praetextu>>, aveva chiesto ripetutamente ai cardinali romani di poter almeno <<edicta decernere, quibus sub poena excommunicationis prohiberem praedictis religiosis ne deinceps puellas oblatas habitu religioso vestire audeant>>57. Naturalmente l'impegno pastorale del de Paù non si articola unicamente nel rimuovere con successo gli ostacoli alla penetrazione della riforma in ogni settore della vita religiosa della diocesi, ma anche nell'ottemperare con estrema fedeltà a tutti gli obblighi delle normative tridentine: residenza58, visite pastorali59, catechesi, predicazione, disciplina ecclesiastica, e tutta una infinita serie di attività portate avanti all'insegna del suo motto programmatico <<fortiter et suaviter>> e di cui può tracciare un positivo bilancio nell'ultima relazione disponibile del 176660. E non poteva mancare, naturalmente, di fare partecipi i cardinali della S.C.C. del suo entusiasmo e della sua contentezza per il grande profitto negli studi di oltre quaranta seminaristi, cui si erano aggiunti <<alii triginta convictores>>61, partecipando egli stesso alle loro esercitazioni scolastiche aperte anche al pubblico. Non vi è dubbio che la sua sia stata una delle più esaltanti e proficue stagioni vissute dalla diocesi tropeana sul piano del rilancio delle istituzioni e del ruolo episcopale, interpretando in maniera fortemente personale l'incarico pastorale, senza trascurare l'apparato esteriore con l'adozione, pur sempre efficace, di uno stile pomposo e ricercato, congiunto a un atteggiamento severo e intransigente, mirato a rappresentare e assicurare una guida forte e autorevole a un frantumato universo diocesano. E di tanto ha lasciato il segno nella memoria storica locale.
<<Era il Paù alto di statura, secco, e più tosto bianco di corpo, lungo di volto, di occhio vivace, e rotondo, e naso aquilino. Aveva il portamento esteriore serio, e si addimostrava autorevole, grave, e pieno di decenza, per cui ispirava rispetto, e venerazione. Amava la conversazione de' nobili, e de' letterati, e i suoi discorsi condiva d'ilarità, gaiezza, e svariato sapere. Predicava con grazia, eloquenza, e soda dottrina. Le sue chiesastiche funzioni eran magnifiche per le cerimonie, maestose pel contegno, imponenti per splendidezza dell'apparato, e dell'illuminazione, divote per la santa unzione, di che il Prelato le condiva; onde venne sempre mai applaudito dalla sua greggia. Restio dimostravasi Monsignore alle rappresentanze, che da' Capitolari, e da altri uomini di polso venivangli proposte sopra talune sue ordinazioni, e spiegava specialmente con gli ecclesiastici un tono dittatorio. Benigno per altro coi secolari, ed amico della nobiltà, e de' letterati, liberale coi poverelli, manteneva a sue spese vari giovani della diocesi nella capitale applicati agli studi, i quali poi riportavano in provincia il tesoro delle scienze, e delle lettere. Non meno letterato Monsignore era di quello, che nelle scienze sacre, e profane profondamente istruito, e le belle arti possedeva a segno, che avendo il celebre Metastasio fatto porre in musica dalla conosciutissima Marianna Martines, allieva del Sassone, il Miserere tradotto da Saverio Mattei, surte alcune controversie musicali ne prese parte io Paù, e propose all'amico Mattei gravi difficoltà, sostenendo essere stata rozza la musica antica, e non come la moderna animata, e copiosa. Lo che bellamente eseguì in alquante, che colle risposte del Mattei si leggono nella edizione delle opere del Metastasio pubblicata a cura de' fratelli de Bonis, e nell'altra data alla luce de' fratelli Porcelli in Napoli62. Per tante cospicue virtù il nostro Felice riscosse lode da' Monarchi e da' Pontefici, e molti letterati l'encomiarono, e gli dedicarono i parti del loro culto ingegno (...). Monsignor Paù usando della sua influenza e de' suoi pecuniosi mezzi, ottenne dagli eredi di alcuni letterati Tropeani preziosi inediti manoscritti delle di costoro opere63, che ripose. come aveva fatto de' quadri, nella sua biblioteca domestica in Terlizzi. Finalmente Monsignore fatto vecchio, attaccato da catarro64, mentre dimorava nella Villa Felice, se ne volò al cielo il dì 6 novembre 1782 all'una e mezzo della notte; e celebrate l'esequie il giorno appresso, fu tumulato nel sepolcro de' vescovi nella Cattedrale>>65.
NOTE
1 Libro di famiglia de Paù (= LFP). Voluminoso registro in folio, in carta solida e rilegato in cuoio, destinato a raccogliere le memorie di famiglia e le registrazioni delle proprietà immobiliari e loro variazioni. E' senza numerazione di pagine e per la maggior parte in bianco. Quelle scritte contengono annotazioni genealogiche della casata con ampie note biografiche relative ai due principali personaggi che più hanno onorato la casata, Gennaro de Paù e il figlio Felice. 2 Contestualmente al tramonto della monarchia aragonese. 3 Gennaro de Paù (1668-1750) per cultura e prestigio personale è largamente rappresentato nelle testimonianze della vita sociale e religiosa di Terlizzi. Interessanti questi dati biografici tracciati nel libro di famiglia: <<Uomo illustre nelle scienze e caritatevole dei poveri, zelantissimo dell'onore della patria e del pubblico bene, amante e dilettante di musica, protettore e premutore (così) delle sceniche rappresentazioni. Fu sindaco moltissime volte (17). Fu infine la delizia, l'onore della città, ed il vero padre della patria, sempre inclinato e proclive alla beneficenza ed alla pietà>> (LFP). 4 ARCHIVIO DIOCESANO DI TERLIZZI (= ADT), Sacre ordinazioni, f.96. 5 Diretto discendente di Giannotto aveva fondato nel 1612 un beneficio di patronato laicale per eventuali eredi che avessero scelto la carriera ecclesiastica. Ultimamente era stato goduto dallo zio canonico di Felice, don Domenico, morto appunto nel 1717. 6 LFP, paragrafo <<Felice de Paù>>. Proseguì gli studi di humanità sotto la guida di un altro <<ottimo istitutore>>, don Tommaso Lopez (ADT, Sacre ordinazioni, f. 96). 7 LFP, Felice de Paù. 8 MARINELLI GIOVENE, Memorie storiche di Terlizzi città nel Peuceto, Bari, 362. 9 Era della stessa famiglia del feudatario di Terlizzi e in quel tempo decano del sacro collegio. 10 ASV, Processus Datariae, 128, ff. 84-85, certificato di laurea in copia autentica; ADT, Editti e decreti, II, ff. 87-88. 11 Tra l'altro, ivi, ff. 43-44. 12 Non mancò di dare un saggio della sua preparazione umanistica componendo una <<Orazione latina avuta in Roma il 26 novembre 1725 per l'apertura dell'accademia di Giurisprudenza>> (da appunti inediti dell'avv. F, Tempesta, cultore di storia patria, = RPT). 13 Concordano molte testimonianze anche circa la particolare stima e dimestichezza riservategli dal re di Napoli Carlo III Borbone. Si veda tra l'altro: LFP; MARINELLI GIOVEVE, Memorie storiche, cit., 352; AA.VV., Puglia d'oro, Bari, s. d. (<<Il cardinale Lambertini lo ebbe caro sopra tutti>>). 14 Sotto il titolo <<Novella amorosa>>, datata <<Roma 1730>> (RPT). 15 Così si esprime, tra l'altro, lo storico locale dell'Ottocento: <<Nell'amena letteratura, per scritti, e rinomato abbastanza per le corrispondenze letterarie col Martorelli, col Metastasio, col Mazzocchi, e con altri scienziati (...) si rese chiaro nella repubblica delle lettere>> (MARINELLI GIOVENE, Memorie storiche, cit, 352). Più puntuale in merito alla formazione musicale e alla corrispondenza con i maggiori esponenti del mondo artistico del tempo il riferimento in L. GIUSTINIANI, Dizionario geografico, XI, Napoli 1805, 165: <<Nel tomo 8 delle opere di Metastasio stampate in Napoli nel 1782 sonovi alcune dottissime sue lettere sopra la Musica moderna, dirette al Ch. Saverio Mattei. In altra poi del celebre Metastasio de' 9 luglio 1770 indirizzata al Mattei, è grandemente lodato da quell'esimio poeta. E' encomiato ancora non poco dal Martorelli, e da Agnello Avitabile in una sua lettera scritta al sommo uomo Alessio Mazzocchi, e portata dal Martorelli istesso>>. Interessante anche una testimonianza di uno storico locale di Tropea che andremo a rilevare. 16 G.B. Lulli (1632-1687) fu il vero riformatore dell'opera francese ponendo nella centralità dell'opera il dramma e eliminando dalla musica tutto il superfluo. In altra direzione si svolse più tardi la riforma del Gluck con la collaborazione del sopranista terlizzese Millico (si veda VALENTE, Vito Giuseppe Millico, cit., 50-58). 17 AA.VV., Puglia d'oro, (raccolta di notizie sulle più eminenti famiglie pugliesi). Tra l'altro: <<Compositore eruditissimo, fu l'antesignano (così, sta per banditore di una idea) del Lulli nella regola armonica>>. Non si ha notizia di una pubblicazione intestata al suo nome. 18 Ivi. La prestigiosa quadreria è sommamente lodata dall'abate Fortis (ospite della famiglia nel 1789) in una lettera a Elisabetta Caminer Turra elencando una serie di opere di celebri artisti: Veronese, Bassano, Pietro da Cortona, Ribera, Annibale Caracci, Brughel, Rubens, Perugino, Parmigianino, Giulio Romano, Luca Giordano, Correggio, Salvator Rosa, Martorelli, Giaquinto e <<perfino il divino Raffaele (così, in altra fonte è detto che si trattava di uno studio, olio su carta raffigurante la Vergine)>>. Poi così continua: <<Il celebre cav. Hamilton, ministro plenipotenziario Britannico alla corte di Napoli, sommo giudice di quanto appartiene alle arti del disegno, fu qui pochi giorni addietro, e verificate parte a parte le ricchezze pittoriche dei Signori de Paù, protestò replicatamente d'esser rimasto sorpreso nel trovar cose di tanto pregio in una Città di provincia, e così lontana dalla Capitale>> (in <<Il Giornale Enciclopedico di Vicenza>>, 6, 1789). 19 Il <<Micol>> venne rappresentato nel 1745. <<Il sempre lodato non abbastanza, Felice de Paù, avendo da due anni prima inventato ed introdotto per la prima volta in Terlizzi, senza altro esempio in Provincia, il costume di far rappresentare in teatro gli oratorii, avendone composto uno per la ricorrenza (della festa patronale) intitolato il Micol, e da lui stesso posto in musica fu rappresentato dai primi professori del tempo, due dei quali vennero appositamente da Napoli, cioè il concittadino Millico ed il signor Giovannino Monruoli (...). Vi fu in Terlizzi affluenza tale di forestieri, e di tutta la nobiltà della Provincia che molta rimase in disagio. Grande fu la sorpresa per la sublimità delle parole, per la vaghezza della musica>> (da LFP). Entrambi i melodrammi verranno ancora rappresentati più tardi. 20 Cf VALENTE, Le questioni, cit., 51-59. 21 In tal senso si era espresso il giurista Pietro Giannone per la soluzione della vertenza. Si veda in Bibl. Naz. Bari, Fondo D'Addosio, Ms. I/III, f. 653. 22 Cf nota 49. Il trattato è sotto il titolo originale <<Della musica antica e moderna>> e datato <<Terlizzi 1733>> (RPT). <<Da esperto scrisse pure in quel tempo alcune osservazioni critiche su musiche altrui>> con un suo dotto intervento dal titolo: <<Parere sulla Commedia intitolata L'antimatrimonio del sig. marchese Matteo Sacchetti>> (ivi). 23 MARINELLI GIOVENE, Memorie storiche, cit., 262-363. 24 ASB, Sez. Trani, Atti notarili, Notaio Nicola de Giacò, Terlizzi, prot. 16, 1735, ff. 60v-62v. L'anno precedente aveva riportato piena vittoria a Bitonto sull'armata imperiale austriaca aprendogli la conquista del regno di Napoli. 25 A distanza di qualche anno Felice de Paù si adopererà a farlo integrare nei privilegi prelatizi di cui era stato privato il suo predecessore Marino de Martino sin dal 1689. Cf VALENTE, Feudalesimo e feudatari, V, cit., 264-266. 26 Sono raccolti nella versione originale in due volumi cartacei (ADT, Editti e decreti, IAB-II). 27 ADT, Editti e decreti, I, f. 54. Tra gli altri provvedimenti è da notare il divieto per chi non ne avesse l'approvazione <<di predicare, sermocinare, fare catechismo o in qualsiasi altra maniera insegnare ed istruire il popolo>>, perchè <<taluni per la propria ignoranza si rendono ridicoli o scandalosi>>. 28 Tra i tanti documenti disponibili, cf ivi, Acta criminalia, nn. 410, 434, 438; Conflitto giurisdizionale, 4, fasc. 36, n. 19. 29 ADT, Conclusioni capitolari, III, 1726-1750, f. 208; Conflitto giurisdizionale, 4, fasc. 36, n. 28. 30 Ivi, Conclusioni capitolari, III, f. 244, verbale del 27 novembre 1739; 31 E' fatto espresso riferimento all'abile regia del de Paù, facendo la spola tra Napoli e Roma, in una lettera testimoniale del 1746 rilasciata dall'arciprete prelato Antonio Fioravanti, successore del Murgigni: <<lites summa doctrina ac prudentia sedavit, estinxit>> (ADT, Editti e decreti, II, ff. 87-88). 32 ASV, Processus Datariae, 128, f. 35. E' datato al 2 marzo 1744 l'attestato di larghe referenze a suo riguardo rilasciato all'arciprete prelato Murgigni per il vescovo bitontino annoverando i titoli di canonico, nobile, professore di filosofia teologia dommatica e morale, avvocato dei poveri, vicario e ufficiale generale (ADT, Editti e decreti, II, f. 43). 33 Nei relativi atti di curia è ricorrente il richiamo al concordato del 1741 per la provvista del sacro patrimonio. Piuttosto cospicuo quello assegnatogli dal padre, consistente in una decina di ettari tra i più pregiati della sua vastissima proprietà fondiaria. ADT, Sacre ordinazioni, f. 96. Credenziali del vescovo Mercurio in Processus Datariae, f. 81. 34 ASV, Acta Concistorialia, 34, f. 87. Per nomina pontificia Felice de Paù fu insignito della prima dignità capitolare. 35 Le prime informazioni sul soggetto partono già da qualche anno prima. In una sua lettera testimoniale del 10 settembre 1746 l'arciprete prelato Fioravanti così si esprime: <<idoneum reputamus ad quaecumque beneficia et dignitates etiam maiores et curatas in cathedralibus assequendas>> (ADT, Editti e decreti, II, f. 81). 36 Si riferisce al diritto di patronato pervenuto alla corona di Napoli del cosidetto <<privilegio carolino>> facente capo al trattato di Barcellona del 1529 tra papa Clemente VII e l'imperatore asburgico Carlo V, re anche del regno di Napoli, in cui venne riconosciuta al sovrano la facoltà di nominare i vescovi di quasi la metà delle diocesi meridionali per motivi di ordine strategico. Ampiamente in merito si veda M. SPEDICATO, Il mercato della mitra. Episcopato regio e privilegio dell'alternativa nel regno di Napoli in età spagnola (1529-1714), Bari 1996. 37 Originale in ASV, Processus Datariae, 128, f. 86. Nel secolo precedente la designazione dei titolari a questa sede era vagliata con estrema cautela dal <<Consiglio Supremo>> di Madrid indirizzato a preferire <<naturales (spagnoli) que pueden ser mas idoneos para el expecilmente quando siendo la ciudad de Tropea, puerto de frontera de la Calabria Ultra>> per un pieno affidamento dei soggetti, dato il valore strategico della città (SPEDICATO, cit., 144). 38 E' interessante una nota autobiografica, riferita cioè dallo stesso Felice e gelosamente custodita nelle memorie di famiglia, circa le precise circostanze di quell'esame. E' detto tra l'altro che <<il papa Benedetto XIV volle personalmente esaminarlo, dopo udito l'esame da monsignor Tria, da monsignor Valente, promotore della fede, dall'eminentissimo cardinale Cavalchini, prefetto della Congregazione dei vescovi, quale esame durò minuti 52 con grandissimo plauso avendolo con sua meraviglia il papa stesso dichiarato al signor generale delle poste signor Francesco Caligola>> (LFP). 39 P. R. RITZER-P.P.SEFRIN, Hierarchia Catholica medii et recentioris aevi, (=HC) VI, (1730-1799), Patavii 1958, 419. 40 Ivi. 41 <<Lettera pastorale al capitolo, al popolo e diocesi di Tropea per la promozione al vescovado. Kal. Aprilis 1751>>: La notizia e l'intestazione del documento sono in RPT. 42 ASV, SCC, Relationes diocesium 820 B. Tropien, ff. 101r-161v. Sento il dovere di ringraziare il prof. L. Carnevale Caprice per avermi procurato presso l'ASV l'intera documentazione. Le relazioni risultano tutte presentate dal suo procuratore D. Stefano Bonucci. Personalmente ne presentò soltanto una, dopo appena un anno di episcopato, quella del 1752, non pervenuta. 43 V. CAPIALBI, Memorie per servire alla storia della Santa Chiesa Tropeana, Napoli 1878, 94-108. 44 La diocesi risulta <<divisa in due parti, una situata nella Calabria Ultra e chiamata diocesi superiore, costituita da 24 località, oltre alla città di Tropea>>, con 25 parrocchie a 13 confraternite, e l'altra parte nella Calabria Citra, distante 60 miglia circa, costituita da 17 località, 21 parrocchie, 3 confraternite, 3 monasteri femminili di osservanza francescana e 18 tra monasteri e conventi maschili, di cui 3 di Conventuali, 3 di Cappuccini, 3 di Minori Conventuali, due di Minimi di s. Francesco da Paola, due di Agostiniani, 1 di Carmelitani, 1 di Cistercensi, 1 di Cassinesi, un collegio di Gesuiti e un ospizio di Basiliani. Il capitolo cattedrale annovera 24 canonici, di cui 6 dignità, e 24 partecipanti (dalla relatio del 1754, f. 107v). Le rendite della mensa vescovile ascendono a 3400 ducati, gravate però da contributi pensionistici del valore di 1000 ducati da erogarsi al suo predecessore dimissionario Gennaro Guglielmini (HC, VI, cit., 419). 45 ASV, SCC, Relationes diocesium 820 B, Tropien, ff. 107v-108r. 46 Ivi, f. 115r. 47 Ivi, f. 115v. Fu rettore anche <<il dotto abate Serrao, morto vescovo di Potenza nel 1799>> (CAPIALBI, Memorie, cit., 101). 48 Interessanti le solenni epigrafi di due lapidi apposte nelle scalinate del seminario e del palazzo vescovile. 49 Ivi, cit., 103-104. 50 Tiene costantemente informata la SCC sulle operazioni finanziarie messe in atto con la tassazione del due per cento, ridotta poi all'uno e mezzo per cento sulle rendite beneficiali del capitolo e delle parrocchie (ASV, SCC, Relationes diocesium 820 B, Tropien, ff. 108, 115). Ma riuscirà a convogliarvi anche le rendite di una chiesa e di una abbazia, contendendole validamente, queste ultime, a un cardinale presso il supremo tribunale di Napoli (CAPIALBI, Memorie, cit., 101). 51 ASV, SCC, Relationes diocesium 820 B, Tropien, f. 157rv. 52 Si riferisce al principale monte di pietà situato nella città di Tropea. 53 CAPIALBI, Memorie, cit., 104. Alla ricerca di una alternativa alla perdita del monte di pietà istituirà per proprio conto un <<monte frumentario>> per provvedere ai bisogni dei <<pauperes coloni (...) ab avidis divitibus (...) maximis usuris et iacturis expositi>> per i prestiti delle sementi (ASV, SCC, Relationes diocesium 820B, Tropien, f. 158v). 54 Illuminanti queste annotazioni del Capialbi: <<Tenace difensore della giurisdizione ecclesiastica in nostro Felice entrò in lizza col capitolo, e colla città di Tropea, e mediante provvidi decreti ridusse i capitolari alla stretta osservanza delle leggi canoniche, e poi volendoli ricompensare (...), concesse loro la cappa magna, la mitra, gli stivaletti, i guanti, e l'anello more Abbatum, e ne spedì la bolla>>. E accontentò anche gli altri preti, <<insignì i curati della città colla mozzetta violacea di seta, ed i preti del loro coro con mozzetta violacea di lana>>. Tacitò i mugugni dei preti, non solo soddisfacendo la loro vanità, ma anche compensandoli largamente con maggiori entrate prebendali, accorpando tre benefici già appartenenti al vescovo di Caiazzo (CAPIALBI, Memorie, cit., 102-103). 55 E' oltremodo rivelatrice una sua lettera al fratello Carlo del 16 febbraio 1752, a un anno appena dal suo insediamento, in cui dopo aver sfatato un possibile trasferimento, desiderato dalla famiglia, alla sede di Giovinazzo per la recente morte del vescovo Mercurio, così presegue: <<Si potrebbe contentare ogni vescovo essere così amato e stimato dai sudditi, qual'io mi vedo dai miei Tropeani, e questi per verità m'han colmato d'infinite attenzioni ed amorevolezze (...). Non potrete credere quanto si vedon obbligati dal vedere la grand'opera del Seminario che ho intrapreso (...) e molto meno potrete figurarvi come si trovano obbligati, che essendosi qui portato il Comandante dei Micheletti con 70 uomini per procedere contro de' fuorusciti, si son trovati inquisiti di proscrizione la maggior parte dei Nobili, ed infatti fu carcerato il sindaco, un Patrizio, ed uscì l'ordine di carcerarne altri quattro, e tutto il paese si trovava in un timore e confusione incredibili, io mi sono interposto con tutto il fervore, ed ho incontrato tanta grazia presso detto Comandante che tutti sono stati liberati. Potete voi figurarvi le benedizioni, le lodi, ed i pubblici ringraziamenti, e non san trovare nè pensare alla maniera come farmi conoscere la di loro perpetua obbligazione. Vi basti sapere, che se mai succedesse, ed io dovessi abbandonare questa chiesa, ne proverei un sensibile dolore, perchè nè dai Terlizzesi, nè dai Giovinazzesi, nè da qualsiasi altro popolo mai potrei sperare di ricevere tanta venerazione ed amore quanto ne ricevo dai miei Tropeani>> (RP). 56 ASV, SCC, Relationes diocesium 820 b, Tropien, f. 108v. D'intesa con la SCC provvede ad accantonare alcuni beni dello stesso monastero e a costituire una congrua rendita per il loro sostentamento e a destinare i rimanenti e lo stabile in via di restauro, <<magno sumptu magnoque labore inceptum>>, per la fondazione di un <<conservatorio>> per le stesse <<moniales professae aliaeque virgines educandae>> di famiglie povere (ivi, ff. 152r, 158v). 57 Ivi, ff. 118v, 161r. Nella relatio del 1763 in riferimento alle <<beguines seu tertiariis religiosis mulieribus>> osserva che almeno è riuscito a farle restare nelle proprie case (ivi, f. 151v). 58 Nella relatio del 1766 riferisce che in otto anni si è recato una sola volta in patria per sistemare le cose di famiglia e i nipoti a seguito della morte del fratello. Uno di questi nipoti se l'era portato a Tropea per avviarlo agli studi a Napoli. Gli affiderà in seguito l'insegnamento di latino e greco in seminario (LFP). 59 Nei primi tre anni ne aveva già effettuate due raggiungendo <<per invia et clivosa>> tutta la diocesi <<quanvis pleraque oppida in dissitis montanisque partibus essent sita>> (ivi, f. 109r). In seguito si servirà di <<convisitatori>> per raggiungere le località impervie di montagna (ivi, f. 159r). 60 Ivi, ff. 157r-161v. Fino a quest'epoca non gli è stato consentito di celebrare il sinodo diocesano per i noti contrasti con l'università e le autorità regie. 61 Ivi, f. 160r. Si astiene però dal manifestare l'altra iniziativa di promozione culturale, attivata nel frattempo, come quella appunto di mantenere agli studi alcuni giovani promettenti della diocesi sforniti di mezzi, come dalla testimonianza appresso riportata del Cabialbi. 62 E' messo in particolare evidenza l'autorevole prestigio del de Paù in campo musicale. 63 Tra gli altri manoscritti sono da segnalare le traduzioni poetiche del grecista Francesco Galluppi, patrizio tropeano, tratte da alcune commedie di Aristofane, autorizzando a ritenere che il de Paù aveva certamente programmato di musicarne qualcosa. 64 Nel LFP la sua morte è ascritta a un attacco di apoplessia o emorragia cerebrale. 65 CAPIALBI, Memorie, cit., 104-107.
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