VINCENZO TORALDO D'ARAGONA Patrizio di Napoli e di Tropea - Presentazione della 39^ Tornata -
di Salvatore Libertino
Nei diversi momenti delle passate tornate ci siamo occupati di alcuni rispettabili rappresentanti di Casa Toraldo, che in almeno cinque secoli di storia diede tanto lustro alla sua Terra nel campo delle armi, della letteratura, della scienza, del diritto, della politica, dell'archeologia, dell'arte. A cominciare da Gaspare (1540 - 1591), valoroso uomo d'armi, condottiero nel 1571 a Lepanto e insigne letterato, suo nipote Francesco (1585 - 1647) e figlio di Vincenzo, che nel 1647 ebbe, alla fine di una fulgida carriera di stratega militare al fianco dei più celebri comandanti dell'epoca, il ruolo di governatore del popolo napoletano, al canonico Giuseppe (1809 - 1899) illustre e fine latinista traduttore dei versi della Gerusalemme Liberata e della Divina Commedia, Carlo (1815 - 1897), uomo politico, giuriconsulto, matematico e poliglotta insigne che molto s'adoprò alla fine dell'Ottocento per far arrivare a Tropea la ferrovia fino a Felice (1860 - 1924) che a cavallo dell'Otto/Novecento costituì nel campo della ricerca assieme a Pasquale punto fermo di riferimento nel raccogliere e diffondere la storia di Tropea e del suo territorio lasciando innumerevoli saggi di critica storica, artistica e archeologica. Ora è il momento di occuparci di una pietra miliare di quel Casato che risponde al nome di Vincenzo vissuto nel tardo Cinquecento il quale si distinse per alti meriti letterari. Vincenzo Toraldo d'Aragona era il figlio primogenito di Aurelia Sanseverino e del tropeano Gaspare, eroe di Lepanto, dal quale ereditò l'inclinazione alle lettere e la baronia di Badolato, titolo che il padre aveva a sua volta ricevuto dal fratello primogenito Giovanfrancesco. Poche sono le notizie biografiche che riguardano Vincenzo, patrizio di Napoli e di Tropea, che visse nella capitale partenopea e che sposò l'11 dicembre 1584 in prime nozze Diana, figlia del patrizio napoletano Ascanio Filomarino e di Donna Diana de Bernardo dei Duchi di Bernalda, dalla quale ebbe tre figli: Francesco, Aurelia e Gaspare. Dopo la scomparsa di Diana, a soli tre anni di matrimonio, Vincenzo si risposò con Luisa Bragamonte dei Conti di Pelfloranda che gli diede altri tre figli: Caterina, Ippolita e Cesare. Non sappiamo quali e quanti possano essere stati i rapporti e i contatti del Toraldo con la Calabria ed in particolare con Tropea. Crediamo che ce ne furono dal momento che l'ultimo figlio di primo letto, Gaspare, nato nel 1585, è vissuto a Tropea essendo stato nel 1635 sindaco dei nobili di quella città, e che poi morì assassinato nel 1641 a Badajoz, in Estremadura, dove ricopriva il ruolo di Maestro di Campo Generale. Due sono le opere lasciate in stampa da don Vincenzo Toraldo d'Aragona: il dialogo La Veronica o del sonetto, pubblicato in Genova presso Bartoli sul finire del 1589 e il canzoniere L'Ortolano, in Lione, s. e., nel 1603. Diversi suoi contributi sono sparsi nelle maggiori opere di illustri letterati del tempo come Giambattista Marino, Francesco Maria Vialardi, Giambattista Manso, Tommaso Stigliani, attraverso il quale ci pervengono notizie di componimenti mai pubblicati su Maria Maddalena e Tomiri, Regina dei Messageti. Mentre citazioni, aneddoti e rapporti epistolari - come un'importante lettera pubblicata in una raccolta postuma di scritti vari del cosentino Sertorio Quattromani nella quale si parla di epigrammi e sonetti composti dal Toraldo e inviati in anteprima al poeta calabrese - si trovano nelle opere del pittore Romano Alberti legato da calorosa amicizia anche con il padre Gaspare, del Manso e del Tasso, anch'egli amico di famiglia. Talvolta tali recensioni sono determinanti ai fini della ricostruzione biografica come nei Venti del Sebeto dove Piergirolamo Gentile Riccio nel 1619 svela che Vincenzo Toraldo muore ucciso a Napoli sua città natale: " / che 'n quel terren in cui già si benigno / avesti il tuo natal largo spargesti / morendo, un fiume tepido e sanguigno. / " . L'idea de La Veronica o del sonetto nasce durante una sosta a Genova del Poeta in viaggio in Spagna, ospite del principe Alberico Cybo Malaspina, principe di Massa e Carrara, cui è dedicato il libro. Lo spunto è la composizione di un sonetto in lode di Donna Veronica Grimaldi (1565 - test. 31-V-1616), figlia del patrizio genovese Giovanni Battista e di Maddalena Pallavicini, e scritto da un certo "Risvegliato", che corrisponde al nome accademico dello stesso Vincenzo socio dell'Accademia degli Svegliati, istituita da Giulio Cesare Cortese.
Se in fronte al nome vostro impresso è il vero, E in voi vera onestà, beltà verace Con ragionar umilmente audace Congionte sono e con valore intiero;
Qual meraviglia, o de le donne altiero Divino mostro, se per voi mi sface Santo ardor sì, che mai non trovo pace Co 'l grave duol, s'in voi non penso o spero?
Questa adunque mortal già morta spoglia L'alma abbandona, e in voi brama ricetto, Ardendo ogn'or d'onesti, alti desiri.
Deh, con vera pietà sì vero affetto, Donna immortal, gradite, e non vi doglia, Che virtù vera anco amor vero ammiri.
Ne nasce un appassionato e lungo dialogo, sulle caratteristiche di tale componimento e in generale sul modo giusto di <<far sonetti>>, tra i due interlocutori: Partenopeo e Genovino. Si discute delle regole metrico-stilistiche, della forma, della struttura delle rime, delle partiture delle strofe, ma anche della chiarezza di ciò che si intende dire attraverso l'impiego dei vocaboli più adatti. Una sorta quindi di disputa letteraria, formula editoriale presa a prestito dal padre che aveva pubblicato a Napoli nel 1573 - l'edizione più nota - presso Horatio Salvioni, i Discorsi Cavallereschi dell'illustre Gaspare Toraldo in un dialogo compresi ne' quali copiosamente si ragiona di tutti quegli esercitii così del corpo, come dell'animo, che necessariamente a compito cavaliero si ricercano, e lo fanno riguardevole, et chiaro. Dell'opera paterna conosciamo un'altra edizione antecedente, forse la prima, edita sempre a Napoli nell'anno 1571 da Giuseppe Cacchij. Dalle pagine della Veronica traspare qualche sequenza autobiografica di Vincenzo/Partenopeo che tra le righe ricorda affettuosamente sia il padre don Gasparo sia la madre Aurelia Sanseverino e che annuncia di aver già scritto i primi quattro atti di una favola boschereccia intitolata Artoleone. Il canzoniere L'Ortolano è una raccolta di rime, divise in 40 sonetti, 30 madrigali, 5 odi, 4 egloghe e 2 canzoni, composte e scritte in chiave bucolica/ortolana che offre l'immagine più manieristica dell'Autore ma anche molti cenni di inventiva originale. L'opera fa riecheggiare solo in parte il classico canzoniere petrarchesco laddove è evidenziata la rappresentazione della storia d'amore per un'unica donna amata, dal nome in tema, Fiora. La novità è che tale rappresentazione si muove attraverso varie sfaccettature nel continuo scenario di un mondo boshereccio, o meglio 'ortolano' che fanno della raccolta un'opera senza dubbio nuova. Rendono a pieno l'idea due madrigali presi a caso:
Ah, non uccider, Fiora, Quel pargoletto nero Pulce d'Amor guerrero; Che nel tuo petto ove il suo stral fin hora Mai non fè piaga ei fella; Ma tu, cruda e rubella Tra l'unghie il premi, e sì vuoi pur ch'e' morta; Dategli tomba amanti, ove sia scritto Qui d'Amor giace il buon soldato invitto.
Lo specchio che un sol volto Di te mostrava, ecco ne mostra sette Poi ch'egli si rompette; Le zucche e i porri ch'hai poc'anzi accolto Più sette volte anchora, V'appaion dentro, ò Fiora; Ben fè chi 'l rotto vetro hà poi raccolto; Fan le tue zucche, i porri, e 'l tuo bel viso Moltiplicati un Orto, un Paradiso.
Tra le pagine dell'Ortolano tantissime sono le metafore e le espressioni esplicite che si rifanno alla tradizione popolare erotica-sessuale, cara a Tommaso Stigliani, comprese le frequenti coloriture di riferimenti dialettali e gergali. Per questi motivi si suppone siano state decise dall'Autore la stretta limitazione della tiratura editoriale che fa del testo una vera rarità e la voluta falsa edizione in Lione senza l'indicazione dell'editore, peraltro dedicata a un fantomatico "Monsigneur Le Duc de Nemour". Molti sono i saggi di critica letteraria che rendono onore a don Vincenzo Toraldo d'Aragona e alle sue due opere rendendone ancora più interessante e importante il contenuto: di Vincenzo Dolla, Un canzoniere tardo-cinquecentesco in chiave "ortolana": L'Ortolano di Vincenzo Toraldo; di Giulio Ferroni e Amedeo Quondam, Vincenzo Toralto; di Bernard Weinberg, A History Of Literary Criticism In The Italian Renaissance; di Francois Lecercle, Poétique et sociologie d'un genre: sur La Veronica de Vincenzo Toralto; di Giovanni Parente, Vicende Napoletane del sonetto tra manierismo e marinismo, i cui testi sono riportati in questa tornata a lui unicamente dedicata. Si aggiungono a questi, altri documenti che lo riguardano, apparsi nelle opere di alcuni fra i già citati letterati del tempo: Sertorio Quattromani, Giovanni Battista Manso, Tommaso Stigliani e Giambattista Marino. Concludiamo con l'anticipazione che gentilmente ci ha voluto fornire il Prof. Dolla, docente di Metrica e Stilistica all'Università 'Federico II' di Napoli, che quanto prima pubblicherà uno studio sui "capricci" (5 odi e 2 canzoni) inseriti nell'Ortolano. Come dire, che l'opera toraldiana costituirà ancora oggetto privilegiato di attenzione e interesse nel mondo letterario. E questo non ci può fare che molto piacere ! Buona lettura !