NUOVE SCOPERTE NEL DUOMO DI TROPEA
di Pasquale Toraldo
Un piccolo saggio da me fatto nel mese di ottobre del 1926 mi confermò nel dubbio, divenuto realtà, che la nostra Chiesa Cattedrale sorgesse sulle propaggini della necropoli cristiana del V sec. di cui in varie epoche si scopersero gli avanzi. Resta pure accertato, e recentemente confermato dagli scavi per la conduttura dell'acqua, e dal nuovo impianto di fognatura, che le prime costruzioni di Tropea sorgessero ai piedi di quel mammellone calcareo su cui fu scavata la necropoli cristiana rinvenuta nel diroccamento del castello edificatovi da Belisario nel sec. VI. Facendo astrazione del valore artistico, per il momento, del Duomo Tropeano, consideriamo brevemente come la presenza di questa sacra costruzione su queste propaggini della necropoli romana e cristiana rivestì un particolare valore storico. Su questa medesima necropoli, nel diroccamento del castello fu rinvenuta una delle prime chiese cristiane di Calabria, S. Maria del Bosco, presso di cui furono le tombe di un Monsi presbitero, di una Leta presbitera, e di una Irene conduttrice della massa tropeana. Senza internarci sul valore di questo rinvenimento, osserviamo come sorge spontaneo il dubbio, che, pur non avendo per il momento trovato, per le scarse ricerche, tracce di costruzione nell'attuale Duomo anteriore all'XI sec., non abbandoniamo il sospetto che questa magnifica fabbrica sorgesse sul luogo della tomba della nostra martire tropeana, che qui probabilmente ebbe la prima sepoltura. Ciò non si deve sorprendere se con il pensiero ci portiamo a Roma dove numerose sorsero le basiliche sulle tombe dei Martiri. Se il sacro tempio abbia avuto una fondazione anteriore all'undecimo secolo non consta in maniera sicura. Un capitellino a martello ritrovato nel sottuosolo farebbe dubitare: con esso potremmo finanche risalire all'ottavo o nono secolo. A noi resta dubbio che la nostra martire S. Domenica sia stata venerata in quell'epoca, anzi aggiungiamo che essendo veneratissima ella attrasse le ire e le brame dei corsari saraceni, ragion per cui vennero le sue ceneri prima nascoste dagli eremiti basiliani e indi trafugate in Sicilia. In questo tempo potremmo quindi ricercare le cause della distruzione della chiesa primitiva e indi la occasione alla riedificazione secondo lo stile del tempo. Il corpo antico della chiesa attuale ci rivela tre periodi di costruzione, che noi preferiamo definire meglio tre successivi ingrandimenti sebbene a breve distanza. Quale la più antica? Due ragioni principalmente fanno ritenere essere la parte delle absidi con la parte delle navate ad essa più prossima, quella più antica. Se noi riteniamo che questa chiesa venne edificata sulla tomba di santa Domenica, questa tomba appunto doveva formare il cuore del sacro edifizio. A confermare che la parte delle absidi sia la più antica è la loro rozza struttura di muratura mista a pietrame grezzo e mattoni di coccio, a cui si aggiunge ancora la lieve reminiscenza d'arte araba in quel piccolo accenno di arcate cieche intrecciate comuni ad altri edifizi bizantini calabresi. Questa influenza non deve qui meravigliarci, anzi tutt'altro: è un lontano sprazzo del periodo di quell'emirato arabo tropeano di cui ben poco ci è rimasto. Accanto al culto di santa Domenica dobbiamo aggiungervi qualche secolo dopo quello alla Madonna di Romania, a cui venne allora consacrato, secondo come è indicato in un documento normanno di cui appresso parleremo. Dobbiamo certamente a questa diffusione di culto i successivi ingrandimenti di questa chiesa tropeana. Non anteriormente al secolo XI possiamo ritenere tutto il restante degli avanzi ritornati in luce, anzi credo che con l'ultimo ingrandimento, salvo sempre quello fatto nel sec. XVII, entriamo nei primi del sec. XII. Lateralmente a sinistra, come già sanno i lettori del <<Brutium>> il sacro edificio è ricoperto da una cortina in tufo in quadrelli con un pseudo-portico in basso ad archi quasi a tutto sesto con cimasa a tasselli quadri di influenza bizantina. Superiormente una fila di finestre alternate da archi e nicchie. Questo motivo ci richiama altri edifici contemporanei fra cui la Roccelletta di Squillace e S. Maria dei Catalani in Messina. Se in questi due sacri edifizi troviamo delle somiglianze nella decorazione esterna, essi potrebbero appunto darci un'idea di come erano e di come potrebbero ricostruirsi le absidi di cui non son rimaste che le fondamenta. Internamente il corpo della Chiesa è diviso in tre navate da arcate a sesto acuto poggianti su pilastri in blocchi di pietra. Sono archi in conci di pietra, le cui luci vanno progressivamente diminuendo dall'ingresso alle absidi producendo l'effetto di una lunghezza maggiore. L'unico documento sicuro che a noi è pervenuto a proposito della nostra Cattedrale di quest'epoca è il diploma di Ruggiero Borsa, figlio di Roberto il Guiscardo, in cui è detto <<dedi etiam plateam meam ad illuminandam Ecclesiam>>. Questa donazione quindi par fatta con lo scopo di abbellire, adornare il sacro tempio con pitture, nè a me sembra potersi in altra maniera interpretare questo documento. Finora queste pitture sono a noi pervenute in minutissimi frammenti, solamente trovati fra il materiale di riempimento nella elevazione del pavimento presso il presbiterio: però speriamo che dei frammenti troveremo lungo le pareti, come si rileva da qualche indizio. Data la estrema piccolezza dei frammenti non è possibile dare un esatto giudizio sulla loro consistenza, solamente possiamo arguire come essendo di piccole dimensioni alcune testine raccolte, esse fan dubitare essere stati gli affreschi divisi in quadri come abbiamo nell'esempio massimo di S. Angelo in Formis della stessa epoca eseguito sotto l'abate Desiderio, che aveva avuto in donazione verso il 1060 la chiesetta di santa Maria dell'Isola di Tropea, già dei Basiliani. La simiglianza del Cristo dell'abside di S. Angelo in Formis con quello da me rinvenuto in una grotta basiliana presso Caria, mi fa credere se non l'artista, comune la scuola bizantina che li ha prodotti. Ciò a Tropea non deve sorprendere considerando la grande laura basiliana che viveva qui presso, ed il rito greco fino allora usato.