Sebbene possa sembrare cosa non conveniente che ad una traduzione della Gerusalemme Liberata del Tasso in versi esametri latini si premetta una pagina di prosa italiana, nondimeno spero che il non aver io dimestichezza con la lingua di Virgilio e di Cicerone, ed il sentire nel tempo medesimo l'irresistibile bisogno d'esternare certi profondi sentimenti dell'animo mio, mi servano di scusa presso il cortese lettore. L'opera, che vi presento, cultori della lingua del Lazio, è l'ultimo frutto che il mio carissimo zio, Giuseppe Toraldo, con somma cura maturò, e ch'egli grandemente si compiacque di scrivere negli anni estremi della vita, la quale, arrivata ai novanta anni, finì nel dì ventiquattro aprile di questo anno. Gli amatori delle lettere latine vi troveranno proprietà elettissima ed efficacissima di pesati vocaboli, precisa chiarezza di frasi, nobile e comodo giro di clausole, e verso fluido ed elegante. La modestia di mio zio fu tale, che non volle mai pubblicare le sue produzioni, se si vogliano eccettuarne poche, di poca importanza, e pubblicate per invito di amici, sebbene fosse uomo d'ingegno non comune, d'estesissima erudizione, e cultore esimio delle immortali lingue dei Greci e dei Romani. A lui la teologia e le lettere erano talmente a cuore, che le insegnò gratuitamente, tanto l'una, quanto le altre, nel Seminario della sua città natale, a somiglianza di quel primo savio della Grecia, che rinfacciato dal sofista Antifone di non essere sapiente, non sapendo riscuotere danari dalle sue lezioni, rispose che come erano chiamati infami quelli che vendevano la loro bellezza, così erano appellati sofisti coloro che barattavano a contanti la loro sapienza. Ei fu di costumi tanto illibati e soavi, che nella vita privata lo facevano da tutti riverire ed amare. Ed i suoi superiori volendogli dare quel più che possano i Vescovi, e saviamente consigliandosi che le dignità ecclesiastiche debbono essere conferite ai migliori per dottrina e bontà, egli, con modestia antica, rifiutò sempre ogni onore; perocchè un sincero amatore degli studii non può essere vago d'ambizione e di brighe. Del cibo e del sonno fu parchissimo, e senza delicatezze; le sue delizie furono sempre negli studii. Mi preme di avvertire che la presente versione fu fatta nell'edizione Salesiana della GERUSALEMME, con note del dott. Giovanni Francesia, 1869, e che nella parafrasi latina mancano alcuni versi, che l'autore non avea finito di limare quando gli sopraggiunse la morte. In questa occasione mi è sommamente caro che questo primo segno di amore e di perenne riconoscenza alla memoria dell'amatissimo mio zio Giuseppe, serva anche a ricordare l'altro mio zio Carlo Toraldo, giurisconsulto, matematico e poliglotta insigne, all'onoranza del quale il fratello, di poco superstite, consacrò tutto lo studio suo
Felice Toraldo
Tropea, Calabria, luglio 1899.