Vecchia Papaglionti
il perchè di un abbandono definitivo
 

di Pasquale Mazzitelli
(1998)


Quando, nel 1981, ebbero inizio i lavori per il trasferimento dell'antico centro abitato di Papaglionti c'era solamente da sapere che l'impresa appaltatrice procedesse con impegno e serietà.
L'impegno, la serietà e la competenza sono stati, ho il dovere di ammetterlo, la caratteristica dell'impresa e, dopo solo due anni, 52 alloggi erano già pronti.
Mancavano i fondi per realizzare le opere primarie.
Ci siamo appellati, come Amministrazione, alla sensibilità dell'Assessore ai LL.PP. (On. Mallamaci) e abbiamo ottenuto un contributo di 500 milioni.
Con la Cassa DD.PP. abbiamo contratto un mutuo di 50 milioni per l'impianto di illuminazione pubblica e, sul terrazzamento limitato da profonde vallate (lungo le quali interessantissimi reperti archeologici invitano alla meditazione e alla riscoperta di remote civiltà), cominciò a avverarsi il sogno di quanti hanno invocato, per decenni, il diritto di vivere in alloggi degni di essere definiti tali e di usufruire degli indispensabili servizi.
Nel 1984 le finestre delle nuove case furono spalancate e orizzonti nuovi si sono delineati con il superamento di annosi problemi abitativi per la piccola comunità che aveva conosciuto sacrifici, paure e privazioni in angusti locali e strutture fatiscenti le cui precarie condizioni erano state riconosciute sin dal 1952 dai competenti organi del Genio Civile di Catanzaro.
Papaglionti cominciò a vivere l'ansia e l'impegno del recupero per un ruolo diverso nel contesto sociale e nella prospettiva di un futuro migliore.
Alla tristezza e alla rassegnazione, pietrificate quasi nei muri sgretolati dell'antico centro abitato e che avevano penalizzato la gente laboriosa di una piccola frazione vittima della lentezza burocratica e forse anche della apatia... delle Istituzioni; alla speranza, cullata da diverse generazioni e trasformazioni quasi in odioso silenzio, in rassegnazione ad un destino sinistro che gravava su quel grappolo di abitazioni, monumento alla tristezza, successe la voglia di mettersi in cammmino coi tempi e sul volto dei cittadini si lesse la certezza di un domani migliore.
Quale sindaco, vissi quelle ansie, feci mie quelle speranze e il giusto premio alla paziente attesa dei concittadini, vittime di ritardi burocratici, costituì non solo un momento di soddisfazione ma soprattutto una parentesi di riflessione e di meditazione quando negli occhi di quanti trasferivano nelle nuove case masserizie e speranze colsi la tristezza e il dolore per il distacco dai luoghi che quelle masserizie avevano custodito e quelle speranze avevano conosciuto.
Ecco perchè alla soddisfazione di aver contribuito alla realizzazione di un progetto garante di migliori condizioni di vita si accompagnò la volontà di recupero della vecchia Papaglionti.
E non solo per un processo di sviluppo con ripercussioni sul piano occupazionale e sociale; ma soprattutto per far vivere le tradizioni di una cultura contadina che animò una comunità e illuminò una convivenza i cui valori sono incisi nelle "testimonianze materiali" che hanno resistito ai tempi.
Le radici, l'anima della piccola entità sociale di Papaglionti sono scolpite, infatti, per l'attento visitatore, nelle rughe degli intonaci e nelle ferite che il tempo inesorabilmente provocò alle strutture modeste e anguste ma loquaci di metodi e canoni di convivenza che solo nei valori della solidarietà, della religiosità dei rapporti hanno potuto trovare energia per conservare quel microcosmo nobile e ricco di antichi valori propri di una civiltà contadina non contaminata, pura e genuina.
Il lavoro degli architetti Simoncini e Veronesi, quindi, non è da considerarsi solo come proposta di conservazione urbanistica e ambientale, ma come supporto a una idea e alla esigenza di far vivere le tensioni ideali di una realtà arcaica i cui valori autentici sopravvivono e ai quali dobbiamo rifarci per alimentare l'antica fiaccola della fede nella religiosità dei rapporti umani, della convivenza pacifica, della solidarietà, della democratica partecipazione alla cresita della nostra comunità.
Il solo recupero edilizio e urbanistico significherebbe inserire nel consumismo e nel "commercialismo" la storia di una piccola realtà contadina legandola al freddo calcolo di un ritorno squisitamente economico con ripercussioni pur necessarie sul piano della fruizione turistica, ma capace di distruggere quella realtà bucolica che si vuol far vivere, che si vuole temprare per farla vincere sulla fredda logica di interessi produttivi e commerciali.
Dobbiamo recuperare, anche e soprattutto, il nostro passato, la nostra storia.
Solo così possiamo conoscere a fondo il presente come sintesi e come risultato di antiche virtù e di eterni valori.
A essi potremo ispirare la nostra azione per contribuire a costruire il futuro.
 

 
 
PAPAGLIONTI
INDICE:
|  In margine ad un recente congresso
|  Il perchè di un abbandono definitivo |