PER IL 'CROCIFISSO NERO'
DI TROPEA
 

di Alfonso Frangipane
(1922)


La importante rivista Fiorentina "Arte e Storia" nel suo fascicolo Ottobre - Dicembre 1921, pubblica un articolo illustrato dal marchese Felice Toraldo, che tratta de Il Crocifisso nero pel Vescovato di Tropea. Il nostro illustre amico e consocio march. Toraldo da tempo va rivelando con i suoi appassionati studi le più interessanti opere artistiche di Tropea. Ha già trattato del Ciborio, del Bacolo, e del mausoleo dei Cazetta, che sono nella Cattedrale, delle pietre tombali figurate in S. M. dell'Isola, delle diverse chiese tropeane; ha dato, in sostanza, un mirabile esempio di come si possa rendere un alto servigio al proprio paese amorosamente studiandone e mettendone in luce le documentazioni artistiche.
La leggenda ricordata dall'A. a principio del suo studio potrebbe avere il suo valore storico, in quanto che il naufragio di una nave presso Capo Vaticano ed il recupero del Crocifisso per opera della famiglia Buongiovanni di Tropea, che lo portava nella chiesa cattedrale, potrebbe in sostanza significare, che il pregevole lavoro non fu lavorato sul posto, ma venne da altra regione e per la via del mare.
Questa leggenda, anzi, ha per me uno speciale interesse, perchè lega all'opera il nome di una famiglia tropeana, che potè esserne veramente donatrice alla chiesa (I Buongiovanni nel XV secolo commissionarono opere d'arte in Napoli per Tropea; v. Filangeri. Not. su Francesco da Milano, marmoraio. Docum.) mentre, di fronte a questo, come ad altri Crocifissi, frequentemente trovabili nelle chiese della Calabria, io ho pensato quasi sempre all'abilità, animata da intensa fede, di ignoti e pur valenti monaci - artisti, che dal secolo XIV, al XVIII andarono diffondendo le loro produzioni nei conventi e nelle chiese nostrane. Il Crocifisso di Tropea sarebbe fuori di tale produzione monastica, sarebbe venuto da una delle illustri botteghe toscane o meridionali - come ritiene il Marchese Toraldo - di scultori non solo di legni ma anche di marmi, di artisti, insomma, nobilmente riconosciuti per tali, anzi fra i maestri?
Io seguo con spirito fraterno e con silenziosa attenzione le ricerche erudite dell'aristocratico e colto conterraneo nostro, e poi che mi è ormai nota, dai suoi precedenti scritti, la sua convinzione che la via eseguita da alcuni di quei cimeli artistici sia stata quella che dalla Toscana scende all'estremo lembo d'Italia, ho voluto ricordarmi di tali ricerche nei miei pellegrinaggi nelle città e chiese toscane. Mi sono ricordato del <<Ciborio cividalesco>> di Tropea con tanto d'innanzi alle squisite cesellature marmoree del forte lucchese m.o Matteo (conterraneo di Mons. Balbo, vescovo di Tropea nella seconda metà del XV secolo) quanto di fronte al Tabernacolo della Cappella del Sacramento o dei Neroni nella chiesa di San Lorenzo di Firenze.
E pur considerando che quella finissima opera di Benedetto da Settignano ed altre di squisiti scultori-decoratori della Rinascenza, nel cuore della Rinascenza, abbiano dato al marmo del Duomo di Tropea soltanto un riflesso della loro squisita bellezza, ne ho gioito per me e per l'egregio studioso nostro.
Per il Crocifisso - che, beninteso, è <<nero>> perchè dipinto deplorevolmente con tinta scura a vernice coppale, mentre doveva essere color legno naturale con dorature a zecchino - la via di provenienza, ove si escludesse la lavorazione speciale monastica, potrebbe essere stata una di queste due: O la solita via settentrionale, ma non oltre Napoli, perchè rarissimamente commissioni di calabresi andarono a cercare artisti più lontani dalla metropoli meridionale od al massimo da Roma; oppure a via del sud, della Sicilia che protende le sue montagne nel mare quasi di fronte a Tropea (Messina o Palermo). La fucina messinese, fornitrice inesauribile di opere artistiche e decorative alle chiese dell'estremo continente, specie al tratto Reggio - Amantea, aveva abili <<Crocifissari>>, anche prima dei famosi Matinati e di altri del Cinquecento. Il magnifico Cristo del Museo Nazionale di Messina, ne è un documento insigne, veramente capitale per lo studio dei Crocifissi di Sicilia e di Calabria.
Ma sono scarse le affinità tecniche tra questo documento, per sfortuna quasi isolato, ed il Cristo di Tropea, c'è una sicura distanza di epoca tra le due opere; e se si toglie una impronta goticizzante comune, nella prima opera più fine, ingenua, come sbocciata appena ne' giovanissimi risvegli dell'Arte, nella seconda ormai caduca, stanca, non rimane che il contrasto evidente tra le due espressioni artistiche. L'una squisitamente stilistica, l'altra, quella di Tropea, audacemente realistica. Di quel realismo cui appunto si riferiscono e si rinfocolano i nostri sospetti circa la paternità, diremo così, legittima dell'opera quale prodotto di uno scultore professionista, di un maestro che stia tra Baccio da Montelupo e Benedetto da Maiano o Antonello Gagini.
I Buongiovanni di Tropea furono veramente i donatori del Crocifisso? A chi lo commissionarono? O lo ricuperarono da qualche ex convento o da qualche antica cappella privata? Sono tutti interrogativi cui soltanto documenti storici potrebbero rispondere in modo definitivo.
Per ora si deve, purtroppo, rimanere nella critica puramente artistica; e si può notare l'accentuazione anatomica del Cristo di Tropea qual segno evidente di quella fede profonda, tormentata e tormentatrice, che anima tutte le opere monastiche, e che non sa i freni armoniosi dell'Arte profana. Codesta Arta monastica, la quale si diffonde e s'intreccia da provincia a provincia, da convento a convento, da cappella a cappella, per tanti secoli, se fosse adeguatamente studiata rivelerebbe molti segreti che ci turbano. Sotto l'umile saio basiliano, benedettino, francescano, si nascosero per tante epoche figure insigni di geniali artisti, di pazienti e fervidi artisti, che dall'arte profana trassero norme ed impulsi, cui aggiunsero la propria lirica, la propria passione fatta di spasimo e di mistero.
I monaci - artisti furono sempre i migliori <<Crocifissari>>; fino a quel frate Umile da Petralia, che sbozzò rudemente, in Sicilia ed in Calabria, i suoi famosi Cristi seicenteschi, riuscendo a mettere nei loro volti un dolore tremendo e la sintesi più impressionante del dramma divino ed umano.
Che lo studio, tutto ancora da fare con ardue ricerche di documenti e di pezzi d'appoggio, dell'arte monastica e specialmente dei forti maestri <<Crocifissari>>, ora ignoti, possa un giorno rivelare il segreto del magnifico lavoro del Vescovato di Tropea? Che possa rivelare anche qualcosa del Crocifisso della chiesa di Gesù e Maria in Nicotera?
Notiamo: Quest'altro Crocifisso, cui accenna il T. per rilevare alcuni punti di contatto stilistico con il lavoro tropeano, pur essendo ritenuto sul posto come bizantino, ha comune la sua storia con il Convento di S. M. della Grazia di Nicotera, fondata al principio del XV secolo, e dal quale proviene.
Altri punti di contatto esso ha con il Cristo di Tropea, e sono di fattura, nel modo di rilevare le vene delle braccia e delle gambe. Ma, è meno relistico nel modellato, Anche meno rigido del Crocifisso del Museo di Messina, flette il corpo a somiglianza dei tipici Cristi bizantini.
Ma le braccia e la testa hanno modellazione progredita, e tutta l'opera può essere coetanea del Convento della Grazia, in cui stette accanto alla statua marmorea della Madonna, la statua leggiadra di sicura provenienza messinese e gaginesca ch'è nel duomo di Nicotera.
L'argomento interessante e mai trattato di proposito mi ha fatto dilungare forse oltre le linee di una doverosa recenzione allo studio egregio del marchese Toraldo.
I lettori di <<Calabria Vera>> me ne perdoneranno, ben sapendo che tutto può servire alla Storia delle Arti in Calabria, finora, purtroppo, avvolta di ombre, che a poco a poco dovrebbero diradarsi.
 
 
 
 
 

 
 
Il Crocifisso nero della cattedrale di tropea
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