IL CROCIFISSO NERO
di Antonio Sposaro
Si tramanda da una generazione all'altra che un giorno di un'epoca imprecisata, indubbiamente non prima del XV secolo, un grosso bastimento, forse proveniente da un porto spagnolo o francese, sorpreso da un terribile fortunale, per sottrarsi alla furia del vento e delle alte e mortifere onde, si sia portato dal largo del mare verso un tratto di spiaggia di Capo Vaticano, nei pressi di una proprietà terriera della famiglia Buongiovanni, di Tropea. Era una delle tante navi, non infrequenti nel nostro mare, che univano il Sud, il Centro ed il Nord d'Italia con porti ed empori stranieri per intensi scambi commerciali per i quali, specialmente per l'esportazione del vino nei secoli XIV-XV, la rada di Tropea era un punto importante dell'itinerario marino. Quella volta ai <<lupi di mare>> della nave, che chi sa in quante altre drammatiche circostanze erano riusciti a sottrarre il proprio legno alle feroci ire del mostro marino, ciò che era apparso un sospirato miraggio di salvezza, si rivelò in effetti per una trappola di morte. La nave, incagliatasi nelle secche, si sfasciò tra gli scogli che, nascosti o a pelo d'acqua, sembrava pregustassero già con voluttà quella appetitosa preda. Galleggiava, tra le sartie e rottami, sospinto dalla risacca in una altalena tra la riva ed il largo, un Gesù crocifisso ligneo, di dimensioni quasi naturali, in una posizione rigidamente diritta. Era una parte del carico della nave. Alla fantasia popolare, portata a porre - specialmente nei secoli passati - su un piano soprannaturale fatti e fenomeni previsti dalle leggi che regolano il cosmo, quell'episodio apparve subito un miracolo. In verità non si trattava della solita nave che non si sposta di un piede fino a quando non viene sbarcata un'effigie di Madonna nascosta nella stiva, ma del naturale naufragio di un bastimento mercantile, incappato nel vortice di un ciclone. Recuperato il sacro Naufrago da devoti volenterosi e trasportatolo nella proprietà dei Buongiovanni, per disposizione dei medesimi fu traslocato nella Cattedrale di Tropea, ritenuta la sede più degna per accogliere quello che, a prima vista, sembrava un crocifisso non comune. Allo sguardo degli intenditori, difatti, si palesò per un pregevolissimo simulacro, di cui si coglieva la finitezza del lavoro quanto più ci si soffermava in un'analisi più attenta del corpo. Purtroppo completamente aride sono le fonti storiche su quello che avvenne immediatamente dopo il trasloco; si sa solo che, essendo vescovo di Tropea dal 1657 al 1665 Carlo Maranta1, il Crocifisso si trovava nell'attuale Cattedrale, e precisamante sotto l'arco maggiore dell'abside, al di sopra dell'altare principale, suscitando nei fedeli da quella posizione aerea un'intensa venerazione, pervenuta fino ai nostri giorni. Allora l'altare maggiore era discosto non poco dall'abside, tanto è vero che le due ali del coro gli restavano alle spalle. Al tempo di Francesco Figueroa2, vescovo di Tropea dal 1685 al 1691, poichè si doveva dipingere la Cattedrale, il Crocifisso fu deposto dalla sua elevata posizione e traslato nell'attuale cappella, allora della famiglia Campennì che ne aveva dato devoto assenso, modificata con i lavori di restauro del 1927 - 31. Fu in quella occasione che, per dare forme più concrete ed esteriori al culto della Croce, si costituì una congregazione di fratelli e sorelle. Tacciono le vecchie carte in merito all'originario colore del Cristo. Noi del secolo ventesimo avevamo ricevuto dal mondo passato, in preziosa eredità, un bellissimo Cristo di nera pittura, che gli dava un tono di austera singolarità ed il nome di <<Crocifisso nero>>. E avremmo avuto il buon diritto di ritenere che quello fosse sempre stato il suo colore, anche se nel 1922 Felice Toraldo, quasi ad anticipatrice annotazione, parlava di <<una probabile indoratura sottostante alla negra pittura che attualmente lo ricopre>>3, se non fosse stato fatto, nel 1979, da parte degli esperti della Sovrintendenza alle Belle Arti di Cosenza, un restauro. Lavoro, questo, sollecitato e giustificato non tanto dalla probabilità di trovare, sotto una patina nera di vecchia pittura, un Cristo di colore diverso, quanto dalla urgente necessità di rafforzare la stabilità del corpo, compromessa dalla vecchiezza. E' apparso così uno splendido Cristo dorato, proprio come aveva ritenuto Toraldo, un volta ripulito di quella incollante vernice nera che gli era stata spalmata nel XVII sec., forse per periodica manutenzione. Il Cristo, opera del XV - XVI secolo, si è sempre ammirato nella sua interezza e per certi suoi particolari anatomici: le carni così aride e tirate, che mettono quasi a nudo le arterie venose nelle gambe e nelle braccia; le costole tanto sbalzate, che sembrano a stento trattenute da una sottile fascia di carne; il volto, dolcemente inclinato in avanti sul fianco destro, con ai lati ricciuti capelli abbandonati verso il petto, esprime le grandi sofferenze che Cristo provò come Uomo negli ultimi momenti della sua esistenza terrena, ma anche la dolce rassegnazione dell'Agnello di Dio. Si può dire che in quel Sacro Volto è magistralmente scolpita la simbiosi Uomo-Dio con un tocco artistico, che subblima tutta l'opera. Non si conosce l'artefice, anche se c'è chi fa somigliare il nostro Crocifisso a quello di Benedetto da Maiano4, venerato sull'altare principale del Duomo di Firenze, o chi sostiene che esso appartiene alla scuola dei Crocifissi lignei, fiorita a Limoges5 nel '400. Un fatto è certo: tanta fede e tanta arte hanno guidato la mano dello artista, per cui si potrebbe risolvere il problema della paternità affermando: la Fede l'ha ispirato, l'Arte l'ha generato.
NOTE 1Nobile di Napoli, Cappellano del re Filippo IV di Spagna. 2Spagnolo, appartenente all'Ordine degli Agostiniani, fu predicatore alla corte del re Carlo II di Spagna. 3Felice Toraldo - Il Crocifisso Nero del Vescovado di Tropea. 4Architetto, scultore e intagliatore in legno, nato a Modena nel 1422 e morto a Firenze nel 1497. 5Antichissima città della Francia centrale, situata sulla ferrovia per Tolosa.
E ora, dopo quattro secoli, Ricadi vuole il Crocifisso.... Da "il Domani" del 18 agosto 2000 - pag.28
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