Una rara immagine della collocazione del Crocifisso nero nella Cattedrale
di Tropea prima dei restauri (1926-1930).

IL CROCEFISSO NERO
DEL VESCOVADO DI TROPEA

di Felice Toraldo
(1921)


Illustrando il ciborio cinquecentesco della cattedrale, occorse ricercare l'autore nelle officine toscane, e forse l'dea fu coronata di un certo successo con le irrefragabili prove e induzioni stilistiche e storiche concludenti nella quasi certezza, che donatore del prezioso cimelio, sia stato il famoso e valoroso grecista, il nostro Vescovo di quel tempo, Mons. Balbi e di conseguenza autore del lavoro il conterraneo suo, il Cividale, o perlomeno qualche esperto della sua bottega...
Ma oltre del Ciborio, il Duomo di Tropea è ricco di altri pregevoli lavori di quel torno di tempo - e fra questi il Crocefisso nero...
Una pia leggenda fa credere che questo eccellente lavoro sia pervenuto a Tropea per il naufragio di una nave che si ruppe fra gli scogli del mare presso il Capo Vaticano, verso delle proprietà di famiglia Buongiovanni di Tropea, che ne curò il ricupero e il trasloco nella Cattedrale della patria sua. Dico subito che questa pia leggenda non può rassomigliarsi a quella della venuta in Tropea del quadro bizantino che si venera col massimo culto nella Cattedrale medesima, sotto il titolo di Madonna Santissima di Romania, perchè al debole mio giudizio, il Crocefisso non ha nulla di bizantino, per la finitezza del lavoro e una probabile indoratura, sottostante alla negra pittura che attualmente lo ricopre. Si sa che lo stile bizantino si sviluppa a lunghe linee e non con precisione di caratteri e nudo - mentre il nostro Crocefisso ha una dettagliata anatomia, e non è male dire sia opera tra l'arcaico e il verista e certo di un periodo di tempo in cui l'arte già tracciava una via luminosa ad opere sublimi.
Il Gesù crocefisso della Cattedrale di Tropea è in legno, di grandezza quasi naturale, in forma rigidamente diritta, e con i piedi l'un sull'altro fermati da un sol chiodo. Anche le mani sono fermate da un chiodo e naturalmente contratte come quello del Crocefisso di Benedetto da Maiano a Firenze, mentre il piede destro passato sul sinistro presenta il dorso nella parte superiore arrotolato per lo sforzo del peso di tutto il corpo dell'uomo, chè la croce è priva del suppedaneo, all'uso del Donatello e altri.
Certo la vita del Redentore nel suo ultimo periodo ha dovuto avere delle sofferenze e delle contrazioni inaudite - ed il nostro lavoro ne riproduce il sacro corpo con carni stirate e magre, sì da farne risaltare il tesuto venoso e negli stinchi e nelle braccia, come nel ventre. Le costole sono molto pronunziate, e copre la parte centrale del corpo un drappo piegato, un perizoma con molta semplicità, e di cui gli estremi pendono uno nel centro delle gambe e l'altro a sinistra. Tutto questo lavoro è condotto con arte e fede - ma quello poi che sublima l'opera è il lavoro del Capo del Gesù. L'espressione di quel volto è fatta da mano adusata del credente e dell'artista ad un tempo! Esso è dolcemente piegato a destra in avanti con lunghi riccioli di capelli e piccola barbetta finemente lavorati alla maniera del Crocefisso di Benedetto da Moiano a Firenze, gli occhi semi aperti e la fronte spaziosa lievemente corrugata, danno una rivelazione delle umane sofferenze di quel corpo logorato dai travagli di quelli estremi momenti, sorretto dalla soprannaturale forza dello Spirito Divino!  Gira intorno a quel corpo Santo una corona di spine sulla forma adoperata dal Brunelleschi a Firenze e da Michelozzo a Venezia - e nel centro della croce, un'aureola gigliata sotto la tabella accartocciata del I.N.R.I., chiude il bellissimo lavoro.
Il volto Santo è di una esecuzione purissima; l'artista ha ritratto dal duro legno la valentia e la fede che lo animavano nell'esecuzione dell'opera che veneriamo e che conservasi in ottime condizioni, meno un leggero logoramento nelle dita dei piedi.
Riveste tutto il corpo una patina oscura di pittura antica, tutta uguale che può ben dirsi usata per coprire la sciupata doratura del primitivo lustro.
Ed ora; che ha lavorato quel Crocefisso? quale mano eletta ha scolpito quel Capo espressivo, parlante delle sofferenze umane e della forza Divina?
Il nostro attuale Duomo è il terzo sacro edifizio che ha la sede Cattedrale. Il primo è stato un vetusto tempio pagano sacrato a Marte - e poi sacrato a S. Giorgio ed ora demolito. - Di là passò in altra chiesa eretta posteriormente e sacrata a S. Nicola della Cattolica - e finalmente fu edificata la sede Cattedrale attuale, consacrata il 20 novembre 1496. Ma questo prezioso lavoro del Crocefisso era delle precedenti cattedrali, oppure fu splendido ornamento esclusivo della nuova ed attuale?
Tacciano le vecchie cronache su di ciò - ma solo sappiamo che all'epoca di Mons. Maranta, che fu Vescovo di Tropea dal 1657 al 1664, il vecchio Crocefisso era esposto alla venerazione dei credenti sotto l'arco maggiore dell'abside della Cattedrale, al di sopra dell'altare maggiore - e che fu poi Mons. Figueroa, vescovo dal 1685 al 1691, che lo fece discendere da quell'alto luogo e collocare nell'attuale cappella gentilizia, un tempo, della famiglia Campenni ed a spese del canonico D. Giuseppe Grillo.
L'uso della S. Croce e dei Crocefissi si propagò maggiormente dopo l'invenzione fatta da S. Elena - e culminò nell'arte del 1500. Molti sono gli autori di splendide opere d'arte del genere e sono celebri i Crocefissi del Brunelleschi e del Donatello vissuti tra il 1377 e 1466, e quelli di Baccio da Montelupo, vissuto dal 1453 al 1533 - che ebbe singolar tendenza a scolpir Crocefissi in legno. A quelli del Verrocchio si avvicina il bel nostro lavoro e l'età in cui egli visse, tra il 1432 e il 1488, farebbe credere che opera sua o della sua scuola si fosse; provveduto forse dal grande Vescovo tropeano Balbi che donò il ciborio cividalesco di questa Cattedrale; non abbiamo però alcuna prova, neppure indiziaria per dirla opera Verrocchiana. Un profondo cultore di arte riconosce il fare del quattrocento, però non crede sia toscano, ma bensì di artefice che ricordava ancora lo stile gotico. E' notevole nel nostro Crocefisso la ricercatezza di carattere nel Santo Volto e lo studio anatomico del corpo, stile proprio dei crocefissi del 1400 che ci lasciarono Michelozzo, Benedetto da Maiano ed altri, e ciò farebbe credere che fosse opera di autore meridionale che, influenzato dell'arte fiamminga, ne avesse fatto un lavoro che passa tra l'arcaico e il verista. - Tutto questo porterebbe a concludere che potesse essere gagginesca - ma due ragioni vi ostano: Antonello Gaggini lavorò bellissimi Crocefissi ma tutti in plastica, e non si ha traccie di lavori in legno su tale soggetto - e di più egli visse tra il 1480 e il 1536 e non è di tale epoca il Crocefisso nero del Vescovado di Tropea, ma certo anteriore come si è detto.
A Nicotera si venerano anche due vecchi Crocefissi in legno: uno, nella Cattedrale, è opera del modesto scultore in legno, da Napoli, come leggesi nell'Archivio Storico Napoletano, vissuto dalla seconda metà del 1500 alla prima del 1600, ma a confronti fatti, non ha nulla di comune col nostro. Al contrario, con l'altro che si venera in una chiesa dedicata a Gesù-Maria, vi sono alcuni punti di contatto stilistico, e che ivi si ritiene per opera bizantina. Questo pensiero non può aversi per il Crocefisso della Cattedrale di Tropea, che animato di molto sentimento, non può andare oltre il 1400, nè ha nulla di bizantino al confronto di mosaici e di pitture di quel tempo.
Pur non escludendo che possa essere opera di artista toscano certamente è stato lavorato da valoroso scultore, sia anche meridionale, e che non ci è dato conoscere per ora. Speriamo che per la ricerca di confronti con altri Crocefissi in venerazione, non solo nelle provincie meridionali, ma in tutta l'Italia e all'Estero, un bel giorno si possa precisare il lavoratore di questo Crocefisso di Tropea che ispira i più caldi entusiasmi ai devoti ammiratori ed ai cultori dell'arte.
 
 
 
 

 
 
Il Crocifisso nero della cattedrale di tropea
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Felice Toraldo  |  Alfonso Frangipane Antonio Sposaro