PASQUALE LO TORTO
Uomo e magistrato
di Filippo Lo Torto
Pasquale nacque per fare il magistrato, il giudice, come altri nascono pittori, poeti, musicisti, ed infatti non ebbe bisogno che alcuno lo avviasse al senso della giustizia, dell'onestà e dell'ordine, o gli insegnasse ad essere coraggioso e deciso nel suo operare e nei suoi convincimenti. La ricchezza interiore rappresentata da queste doti, innate, la tempra datagli dalla vita (a ventisei anni si trovò una nidiata di orfani, cui pensare), gli conferirono una grande umanità, che sempre permeò il suo operato nella famiglia, nel lavoro e nella convivenza sociale, e che costantemente veniva evidenziata dai cronisti che lo seguivano nelle vicende giudiziarie, allorchè riferivano delle sue requisitorie, e la notazione ritornava puntualmente e non rilevava se si trattasse di processi di mafia, di delitti comuni o cosiddetti "d'onore", o a carattere sociale (Pasquale fu protagonista anche di alcuni processi per "sciopero" che erano i primi per quei tempi, quando coscienza e situazioni sindacali non erano certo quelli di oggi e quando ancora si sperava nell'applicazione delle norme costituzionali in materia). Tutta la sua vita, di magistrato e di uomo, fu improntata al raggiungimento di un obiettivo: essere giusto, senza cedimenti e debolezze, e nel contempo non infierire su chi aveva sbagliato; essere generoso e comprensivo, sempre però operando con la finalità che la "pena" inflitta inducesse il responsabile a sentirsi tale ed a ravvedersi e a darsi nuovi modelli di comportamento; rispettare i valori ed i diritti umani e civili, in una scala che vede al primo posto il diritto alla vita ed alla libertà.
Ha quasi il sapore di profezia quanto si legge nella scherzosa poesia che affianca la caricatura fattagli da un amico, entrambe pubblicate nel giornalino del Regio Convitto Nazionale di Palermo, datato Anno XIX E.F. (anno scolastico 1940-41). Lasciato il Convitto Nazionale, Pasquale inizia la vita di uomo e di giudice: assume servizio come Uditore Giudiziario a Roma, subito dopo viene trasferito a Reggio Calabria, si sposa. Si completa in questo modo il binomio lavoro/famiglia cui Egli dedica tutto se stesso, mai trascurando alcuno dei due, anzi esaltando l'uno e l'altra nei valori più nobili e pregnanti, ed a costo di grandi sacrifici personali. Ciò che Pasquale è stato per la famiglia, vive nel cuore di noi tutti; ciò che Egli diede al suo lavoro di Magistrato non si pretende di rappresentarlo qui compiutamente, sia perchè molto intensa fu la sua vita, sia perchè a ravvivarne il ricordo bastano pochi squarci.
Sembra sufficiente, perciò, in un ambito di essenzialità, riportare la relazione compilata dal Procuratore della Repubblica di Palermo in occasione della sua partecipazione allo scrutinio per la promozione a Magistrato di Corte di Appello, relazione in cui viene evidenziato il curriculum dalla nomina in servizio all'anno 1963, vale a dire quasi fino alla data della sua morte, avvenuta il giorno di S. Lorenzo del 1964.
Dalla relazione assai lusinghiera riportata nelle pagine precedenti, necessariamente redatta nella forma richiesta dall'occasione, non appaionio tuttavia, nè potevano apparire, alcuni aspetti particolari dell'attività di Pasquale, che hanno fortemente caratterizzato il suo lavoro di rappresentante del Pubblico Ministero, responsabile di dover sostenere le ragioni della Pubblica Amministrazione, e che hanno confermato le sue spiccate doti di custode della legge e di cultore del diritto, mosso dal continuo anelito di pervenire - attraverso legge e diritto - a forme di giustizia sempre più rispondenti ai tempi e alle attese dei soggetti, quasi sempre gente comune, destinatari delle norme e coinvolti dalla loro applicazione in sede penale. Sembra di poter cogliere alcuni momenti qualificanti sulla strada, breve, percorsa da Pasquale come Magistrato, chiamato appunto al ruolo del Pubblico Ministero e, dunque, dell'accusatore, in difesa di tutti i cittadini, e delle loro coscienze, offesi da un atto delinquenziale, momenti che di seguito verranno brevemente richiamati.
IL DELITTO D'ONORE
L'impegno di Pasquale svolto a smontare uno dei "paradigmi" più saldi e radicati nel nostro meridione, comunemente conosciuto come il "delitto d'onore", parte da lontano. Infatti, anche se la sua appassionata battaglia trova il momento più significativo ed intenso in Palermo, già nel 1952 nel processo a carico del Maresciallo dei Vigili del Fuoco Pietro Cuzzocrea, di Reggio Calabria (uccisore dell'insegnante elementare Giuseppe Foti, che aveva sedotto la 17enne Filomena Cuzzocrea), Egli diede una condanna ad anni 8 per omicidio volontario, ammettendo le attenuanti genericheed i motivi d'ira ma evitando la fattispecie dell'omicidio "per causa d'onore". Il rigetto dell'attenuante legata al motivo d'onore non deriva dal fatto che Pasquale si senta fuori dalla sua terra, o non avverta o non comprenda il rimescolio di sentimenti e pregiudizi caratteristico della gente del Sud, vissuta sempre tra briganti ed invasori dai quali - per la dilagante atavica miseria - ha imparato a difendere ed ha difeso solo "l'onore" della donna e della famiglia. Ne è prova la circostanza che Egli, non potendo e non volendo rifiutare l'ambiente, i costumi e la storia della terra in cui viveva ed operava, e spinto nel contempo dal bisogno di non negare all'imputato ciò che umanamente gli si può riconoscere, chiede - come nel processo Sortino - che la Corte conceda le attenuanti consigliate "dalla territorialità del delitto". Le radici del rifiuto, invece, vanno ricercate nella "facilità con cui si uccide" e che lo sospinge a battersi con ogni risorsa e mezzo per tutelare la Società offesa e per stabilirne la dignità ed il valore della vita umana e "ricordare a tutti che la vita è il bene più grande che Iddio ci ha dato ed appunto perchè ci viene da Dio, a nessuno è dato di toglierla al proprio simile". E, come testimoniano i giornali dell'epoca, l'opinione pubblica ne fu coinvolta, e molteplici furono i consensi per la crociata di civiltà che partiva dalla terra di Sicilia.
E l'eco non si arresta sulle pagine dei gionali e dei settimanali, anzi quando il regista Pietro Germi distribuì il film "Divorzio all'italiana" la questione del delitto d'onore fu riproposta in un dibattito che, ormai, interessava tutto il Paese. Dal libro omonimo del film, ecco un breve stralcio (su dati del giornalista Mauro De Mauro, che molti ricordano come una delle grandi vittime della mafia ).
IL DIRITTO DI SCIOPERO
Le funzioni di rappresentante del P. M. diedero a Pasquale anche l'occasione di occuparsi di alcuni processi in cui si poneva la necessità di discutere del diritto di sciopero e del mododi esercitarlo, e ciò in tempi nei quali si avviavano i primi incerti passi in una materia così vasta e delicata, che tanto sviluppo doveva poi avere nel nostro Paese in conseguenza della trasformazione dell'economia da agricola in industriale, e del successivo passaggio alla terziarizzazione. Il 2 febbraio del 1956, in una trazzera delle campagne di Partinico, Danilo Dolci - personaggio che attendeva ad attività di natura sindacale in un'atmosfera di tipo "apostolico" (aveva fondato, a tal fine, il "Borgo di Dio") - era riuscito a far radunare un manipolo di manifestanti per far effettuare lavori stradali necessari, ma non eseguiti dalle pubbliche Amministrazioni competenti, al fine di rivendicare il diritto al lavoro per gli stessi manifestanti disoccupati. Il Dolci, per garantire il successo dell'operazione, definita "sciopero alla rovescia", aveva tenuto segreto il luogo del raduno ed aveva fatto convergere i partecipanti alla spicciolata, in ore notturne (per non replicare il fallimento dello "sciopero della fame" organizzato per il 30 gennaio precedente e mandato in fumo dall'intervento della Polizia). Sulla trazzera arrivò anche la Forza Pubblica e seguirono tafferugli, arresti e naturalmentele incriminazioni dei presunti responsabili per: riunione in luogo pubblico senza preavviso all'Autorità di P. S., invasione dei terreni, resistenza, ecc. Non fu facile per il P. M. Lo Torto "giovane e valoroso magistrato dall'oratoria serena, pacata e dalla logica serrata e suasiva" (da IL GIORNALE DELLA SICILIA del 31 marzo 1956) prendere la parola in aula, quando i fatti di Partinico erano seguiti da una folta ed eletta schiera di politicie di intellettuali (secondo un'abitudine, ancor oggi invalsa, di prendere posizione contro le istituzioni e chi deve applicare puntualmente le leggi, anzichè adoprarsi preventivamente - utilizzando opportunamente gli strumenti della democrazia e le leve della cultura - per riformare le istituzioni e le disposizioni che le disciplinano). Tuttavia Egli non vacilla e - senza indugi - porta la causa nel naturale alveo dibattimentale e processuale ed afferma che la Costituzione Repubblicana sancisce lo sciopero come un diritto inviolabile del cittadino, "lo sciopero però nella sua normale estrinsecazione. lo sciopero come manifestazione di protesta dei lavoratori contro i datori di lavoro e che si estrinseca nella astensione dal lavoro. Solo la manifestazione di protesta che si estrinseca in questi sensi trova tutela nella Suprema Legge dello Stato. Ogni altra formaa di protestaa è degenerazione del concetto di sciopero". E, pur chiedendo la condanna degli imputati per i reati loro ascritti, non esita ad aggiungere che non avrà motivo di opporsi se i giudici, nella loro saggezza ed umanità, riterranno che il carcere sofferto dagli interessati sia stato sufficiente ad ammonirli.
A distanza di cinque anni, Pasquale ebbe a trattare ancora di questioni sindacali e di scioperi. Va sottolineato che la sua maggior cura, nell'iniziare la requisitoria, fu quella di chiarire alla folla "che assiepava l'aula" la materia del contendere, di fugare ogni equivoco sul fatto che non si discuteva sul diritto di sciopero, ma si giudicava su atti di violenza e di aggressione.
DELITTI COMUNI E PROCESSI DI MAFIA
Un magistrato chiamato a rappresentare il P.M. viene a trovarsi di per sè, in forza della parte che deve sostenere, in una posizione diversa dagli altri giudici in quanto - per difendere la società da chi la minaccia e cerca di scardinare i principi del vivere civile - egli deve accusare, e pertanto deve fornire concreti e ponderati elementi ad altri magistrati, che sono tenuti a formulare il giudizio finale di condanna o di assoluzione (e, quindi, a seconda dei casi, in contrasto anche con le tesi del P.M. stesso). Il giudice che accusa in Sicilia ed a Palermo deve, poi, essere - e la storia contemporanea, quale emerge dalla stampa dei giorni nostri, ce ne da ampia conferma - una sorta di missionario, destinato ad affrontare oltre che gli insuccessi professionali (assoluzioni con varie formule, per esempio) anche e soprattutto rischi e pericoli a carattere personale, pagando in ipotesi non rare con la propria vita. Pasquale non arretrò mai ed affrontò senza tentennamenti la realtà dura del suo lavoro, profondendo massimo impegno e puntualità puntigliosa in tutti i processi nella celebrazione dei quali il suo ufficio lo coinvolgeva, sia che si trattasse di perseguire comuni delinquenti che di processi di mafia. I processi per delitti comuni, sebbene l'arco della sua attività professionale a Palermo non abbia superato il decennio, sono numerosissimi, e tutti lo vedono protagonista, tenace sostenitore della necessità di cercare il vero, di tutelare l'offeso, di punire il colpevole per dare - da una parte - un costruttivo esempio di giustizia e - dall'altra - al reo la possibilità di riscattarsi attraverso la pena, il cui connotato essenziale doveva consistere nell'essere "umanamente giusta". Tra questi, grande eco ebbe quello relativo al sequestro Di Cristina, definito all'epoca come "il più importante processo della sessione" (Giornale di Sicilia del 20 gennaio 1959), sia per la personalità del sequestrato che per le modalità e le circostanze della consumazione del delitto. Pasquale chiese una dura condanna per i responsabili. I processi di mafia, invece, non sono moltissimi perchè - com'è a tutti noto - non è facile portare la mafia nelle aule di giustizia ed anche quando si riesca a farlo, ciò succede dopo istruttorie lunghe e defatiganti, che impegnano gli inquirenti per anni. Bisogna, inoltre, ricordare che la morte, giunta prematura a 48 anni non compiuti, vietò a Pasquale di proseguire nell'impegno contro la delinquenza mafiosa, assunto sin dall'inizio con decisione e coraggio. Basti pensare che nel 1962, nel processo per "i fatti di Corleone", connessi con l'uccisione del medico Navarra, egli chiedeva due ergastoli, ed uno dei destinatari della massima pena era Liggio Luciano. Ed in un altro processo, definito "d'alta mafia" e connesso ai "crimini di Borgetto", non esitò a presentare la richiesta di quattro condanne all'ergastolo, confermando la propria saldezza, nonostante l'impari lotta che in Sicilia un giudice deve ingaggiare contro il muro dell'omertà. Sembra opportuno richiamare un brano di un'intervista radiofonica, curata da Aldo Scimè, il cui testo fu poi pubblicato sul quotidiano "L'ORA" di Palermo del 19 gennaio 1963.
Per completare l'immagine professionale, si può ricordare anche l'impegno di Pasquale come pubblicista e studioso di problemi connessi all'attività che svolgeva.
Ricordare Pasquale nel suo lavoro non è stato, tutto sommato, difficile, anche perchè la documentazione disponibile, ed in parte richiamata, ha consentito di tracciare un profilo ben definito ed obiettivo, scevro soprattutto da facile retorica e da eccessi emotivi ed affettivi. Molto meno agevole sarebbe stato, invece, proporsi di delineare la figura dell'uomo, perchè non sarebbe stato possibile mettere del tutto da parte i sentimenti, e pertanto ciò che Egli è stato come marito, padre, fratello ed amico, si spera possa per chi lo conobbe permanere nella memoria e, per gli altri, emergere dalle notizie contenute in queste pagine. In tale speranza, sembra utile concludere riportando un articolo sulla criminalità giovanile, per l'accorato appello che Pasquale rivolge ai genitori "a non restar fuori della mischia", a "restare vicino alle proprie creature" ed a "controllare amorevolmente letture, compagnie e spettacoli" dei figli; ed un breve componimento, nella stesura autografa, ispirato al Natale. Come si può notare, questo piccolo brano non porta una data, e forse non a caso: infatti, il sentimento d'amore che vi sgorga, non può essere fermato da una data, perchè è fuori del tempo.