Tropea in un disegno (rivisitato) del Campesi
TROPEA Villaggio Vacanze del '700
di Napoleone Nello Scrugli (2002)
Tropea ha perso le sue mura nel 1870 e con esse l'arroccarsi superbo sulla propria gloria. I viaggiatori dell'avventura e del Grand Tour che fino allora si erano spinti fin qui incuriositi dalla Perla del Tirreno ne ricavavano un'impressione ambigua: Tropea non conosceva nè piazze nè affacci pubblici sul mare, le sue strade erano poco salubri, eppure faceva circolare idee e cultura. Fino, talora, a saturarne, come nel caso del nobiluomo Giuseppe Toraldo che - lo ricorda una lapide sull'imponente palazzo di famiglia - riuscì nell'impresa di tradurre la Gerusalemme Liberata in latino. Tra le sue mura bizantine Tropea vide affermarsi una scuola medica degna della rinomata Università di Salerno, con i cinquecenteschi fondatori della chirurgia plastica, i fratelli Paolo e Pietro Vianeo, con i Comerci e i Bongiovanni che conquistarono la stima delle corti di mezza Europa e soprattutto con un ospedale attivo fin dal Trecento. Non c'era ancora l'arioso corso Vittorio Emanuele (aperta solo nel 1880) e così Pasquale Galluppi, formatosi nelle ottime scuole locali, saliva a uno dei 24 Casali che circondavano Tropea. Camminando, non distoglieva lo sguardo dai libri di quel Kant che fece conoscere a tutta Italia. Il Comune, allora, coi suoi Casali, si estendeva da Zambrone al Monte Poro fino a tutto il Capo Vaticano, e contendeva a Reggio il primato di centro più popoloso della Calabria. Proprio a quegli anni risale l'impronta generale del paese attuale, quella di un Villaggio Vacanze del Settecento. Un anonimo urbanista collettivo aveva saputo creare tra i volumi degli edifici il miracolo di un refolo che ancora resiste a rinfrescare i cosiddetti piani nobili. C'è molta gente che spiega con esigenze di circolazione dell'aria la presenza su molti muri di buchi profondi, che i più dotti fanno risalire a banali trucchi per non pagare i balzelli attivi solo sulle case ultimate. I portali in granito, grandiosi rispetto ai vicoli, non avrebbe altro scopo che quello di introdurre, grazie agli incastri delle scalee, all'ampiezza dei piani alti.
Tropea del Berotti (rivisitata)
In quello stesso Settecento cui rimanda l'architettura del paese, anche la campagna circostante esercita il suo fascino sulle colte casate napoletane, come testimonia un personaggio de "Il cardillo addolorato" della Ortese quando sceglie Tropea per acquistarvi una Villa. Oggi, scomparse le grandi distese di gelsi, il fascino del gaudente Settecento lo si trova soltanto muovendosi per l'ordito ancora medievale centro storico. Fino a 120 anni fa l'asse del paese era formato dalle attuali vie Indipendenza e Roma, che collegavano le due uniche porte, la Vaticana e la Marina, che, da dietro il Duomo, una lunga rampa collegava al porto, un approdo naturale tra il paese e l'ex isolotto San Leonardo. A percorrere oggi l'asse ovest-est si passa da un affaccio spettacolare sulle Eolie e sugli arenili del Mare Grande all'assoluta originalità del Duomo, più volte ristrutturato e sempre a dispetto della sua "decifrabilità". Lungo il percorso, lasciato sulla destra l'imponente Palazzo Gabrielli col suo scenografico atrio, si attraversa l'allegro bazar che ormai caratterizza ogni moderno Villaggio-Vacanze. I negozi di souvenirs, di coralli, di gastronomia tipica o di abbigliamento, si espandono anche in piazza Ercole, l'ombelico del centro, sovrastata dalla Casina che oggi ospita la Pro-Loco e un tempo il Sedile di Portercole: vi si riuniva il Senato dei Nobili che eleggeva uno dei due Sindaci in carica per tutto il lungo periodo in cui Tropea ha goduto dei privilegi di Città demaniale (non infeudata). Dell'altro Sedile non resta traccia: si chiamava Africano e radunava gli Onorati, i borghesi, che esprimevano l'altro Sindaco. Tornando al bazar, le botteghe di diramano su due direttrici: il Corso attuale e via Roma, e qui, a pochi passi del Duomo concedono una pausa salutare: una libreria minuscola ma ben fornita. La gestisce Caterina Demaria, una lunga carriera da giornalista di denuncia iniziata a Il Mondo fondato da Mario Pannunzio: consigliando buone letture, può riportarci alla lentezza di fine Settecento, quando molte dimore patrizie di Tropea racchiudevano biblioteche fornitissime delle ultime novità della Francia dei Lumi. Solo la lentezza può aiutare a leggere la fitta trama di vicoli che si dirama a settentrione del Duomo. Questo edificio è il simbolo dell'autonomia cittadina: le sue forme romanico normanne si lasciano alle spalle i secoli in chiaroscuro del dominio greco orientale, quando di Tropea era detto il vino migliore alla corte di Bisanzio, ma la cittadina non era al sicuro dalle invasioni saracene che portarono ad almeno tre lunghi Emirati. Traccia del dominio arabo resta per lo più nel dialetto locale, in termini come "balata", il calpestio del balcone, e "gebbia", la vasca di orti e giardini.
La libreria di Caterina Demaria a via Roma in Tropea
Tra i molti tesori custoditi nel Duomo i tropeani hanno eletto a simbolo comunitario il dipinto di scuola giottesca che raffigura la Madonna della Romania. E' detta così perchè rimanda a un icona che si vuole giunta miracolosamente da Oriente, dall'unico impero romano rimasto. Solo la ricognizione dell'antico abitato compiuta dalla sacra immagine, il 9 settembre, dà conto dell'orgoglio di appartenenza della gente tropeana. Con quella processione la Madonna passa da sovrana accanto alla dozzina di chiese rimaste nel centro storico, più o meno nello stesso posto in cui sorgevano altrettanti conventi, scomparsi o radicalmente trasformati. Tra le chiese quella che conserva le forme più antiche, trecentesche, è, seminascosta da una rientranza su Largo Galluppi, dedicata a Santa Margarita, protettrice dei marinai. Contrariamente alla quasi totalità delle città calabresi, Tropea ha sempre avuto un ottimo rapporto col mare arrivando a commerciare il suo olio, le sue sete grezze, il grano dei propri Casali con Messina, Palermo, Genova, Amalfi, Pisa, Marsiglia. E il mare è rimasto, secondo gli scettici, l'unica "miniera" sfruttata da una città il cui caolino si trasforma, presso i maestri ceramisti, nel celebrato "giallo" di Tropea e le cui coperte "impennacchiate" raggiungevano via mare anche la Catalogna. A scalfire i limiti soffocanti di un turismo eminentemente balneare si stanno attrezzando comunque realtà di diversa natura. Se ancora è difficile immaginare l'impatto del nuovo porto sul turismo a venire, buoni segnali giungono proprio dal cuore della città. In due vecchi palazzi Caffè Italiano e Villa Dante offrono da tempo lezioni di cultura e lingua per circa cento stranieri al giorno, da marzo a novembre. E tra i tanti diversivi proposti loro nel tempo libero ci sarà, dal primo agosto, una visita alla Pinacoteca episcopale sistemata nel seminario del Duomo per merito della cocciuta intraprendenza del canonico Ignazio Toraldo. Vi si trova una completa antologia dei dipinti presenti nelle chiese locali, dal XII al XIX secolo. Finora l'unico museo era l'ingenua raccolta di ex-voto e reliquie confinata in pochi, angusti locali, nel santuario di S. Maria dell'Isola, edificato dall'ordine benedettino su un insediamento di monaci basiliani. Il santuario e l'enorme masso su cui sorge, la cosidetta Isola, costituiscono il "logo" naturale del Villaggio-Vacanze in stile Settecento. Anche Tropea è un enorme masso da cui spiccano costruzione miracolosamente sospese sul vuoto. Dalle tre balconate sul mare non è raro che qualcuno, al tramonto, guardi verso l'Isola. Nei suoi occhi si potrà leggere l'orgoglio di chi si sente tutt'uno con questo scoglio, dove gli antenati hanno più volte riedificato le proprie case sfruttando le indicazioni suggerite dai terremoti. E non ha più la soffocante protezione di alte mura.