di Alfonso Lo Torto
Rinvenuto nel 1933 durante i lavori di ristrutturazione della Cappella di S. Margherita, il reperto marmoreo è un frammento (foto n.1) di una sepoltura gentilizia trecentesca che presenta strette analogie stilistiche ed iconografiche sia con il sarcofago di Cristoforo d'Aquino, morto nel 1342 e sepolto a Napoli nella chiesa di S. Domenico Maggiore, sia con il sarcofago di Nicola Merloto, morto nel 1358 e sepolto pure a Napoli nella chiesa di S. Chiara, attribuito dal Toesca ad un ignoto scultore della bottega di Giovanni e Pacio Bertini, sia con quello di Nicolò Ruffo, morto nel 1372 e sepolto a Gerace nella chiesa di S. Francesco1.
Foto n.1
Esposto al pubblico per decenni, questo reperto marmoreo era sostenuto da chiodi in quella parete esterna dell'attigua chiesa, un tempo detta di S. Francesco e poi di S. Demetrio, limitante con il cortiletto che, in origine, immetteva nella Cappella di S. Margherita2, più antica della chiesa medesima e dell'annesso monastero dei PP. Francescani Conventuali (foto n.2). Trafugato da ignoti nel 1987, fu recuperato nel 1991 in contrada "Conicella" dai Carabinieri di Tropea che lo consegnarono al responsabile del locale Museo Civico - Diocesano. Sulla Cappella, sugli stemmi presenti nel frontale della sua facciata e sul bassorilievo, nel corso del tempo erano stati dati, da parte di storici locali3 e di altri esperti4, apporti conoscitivi e diversificate interpretazioni. Recentemente, però, da un esame più minuzioso del reperto marmoreo - che sino ad oggi era stato ritenuto indecifrabile da tutti gli studiosi - sono emersi degli elementi tali che per il futuro incoraggiano una più approfondita ricerca mirata a risolvere definitivamente il problema conoscitivo del reperto medesimo, del destinatario della sepoltura e di una sua eventuale più precisa collocazione storica. Intanto si fa osservare che l'epigrafe, in testa alla lastra marmorea, conserva poche parole iniziali quasi integre, mentre le lettere componenti il rimanente testo sono seriamente danneggiate, se non illeggibili, come quelle del nome del defunto. Nel bordo inferiore destro del detto frammento è invece scolpita, con lettere diverse che fanno pensare ad un altro lapicida, la seguente iscrizione: "SEM P DEUS UT SIBI PARCAT".
Foto n.2
Foto n.3
Grazie a tale epigramma, dopo un attento studio analitico-comparativo delle lettere, non è stato poi difficile ricostruire le altre, molto danneggiate, del bordo superiore (foto n.3) il cui testo epigrafico, felicemente, ci ha restituito la seguente lettura: "MARMORIS HEC FOSSA ANDREE RUGEORII (o RUGEDRII) OSSA MILITIS INANIMA SITTA EI...." (segue la parte mancante della lastra).
"QUESTO SARCOFAGO DI MARMO (CONSERVA) I RESTI INANIMATI SEPOLTI DEL CAVALIERE ANDREA DI RUGGERO A LUI....." (segue la parte mancante della lastra).
Sono evidenti sia le sgrammaticature nell'uso del tardo latino, sia la trasformazione della medesima lingua. Si precisa che con il termine "milites" nel Medioevo si solevano indicare quelle persone appartenenti ad una casta gentilizio-cavalleresca che "erano, in hospicio regis, familiares del re, ed in posizione preminente di fronte a tutti i dignitari dello Stato"5. Al momento si ignora il casato d'origine del sepolto che, trascurato per alcuni secoli, come si può evincere dalla distruzione del suo sepolcro e dalle lettere deteriorate che compongono il suo nome, era rimasto sconosciuto ai vari storiografi locali del '600 e del '7006 fino a quando non fu menzionato nel 1891 nelle "Notizie archeologiche e storiche di Portercole e Tropea" da Nicola Scrugli7, che così scrive: "Pure un archeologo moderno maisì da me molto indietro criticato, ci venne a dire di aver trovato nel numero dei baroni dai quali Carlo l'Illustre, primogenito regio, fu nel 1333 accompagnato, e propriamente tra quelli di Calabria...'Andreas de Rogerio de Tropea dominus certorum feudalium (sic!), quae fuerunt comitis Anphusi tunc comitis Tropeae' - e con un parto di mente ampollosa - 'che questa città sia stata posseduta da molti baroni, or richiamata in trono ed or rimessa in feudo'...".
Foto n.4
A chiarimento di quanto riportato da Nicola Scrugli si precisa che: - Carlo l'Illustre, primogenito di Roberto d'Angiò, re di Napoli, morì il 9 novembre 1328 e quindi la data 1333, dell'esistenza in vita di Carlo l'Illustre, è certamente un refuso; - storicamente risulta che Carlo l'Illustre, in occasione della spedizione militare in Sicilia nel 1325, fu a Vibo Valentia, dove l'8 settembre dello stesso anno emise un privilegio in favore della città di Reggio Calabria8; - la frase sopra riportata "che questa città sia stata posseduta da molti baroni, or richiamata in trono ed or rimessa in feudo" è, da ricerche bibliografiche effettuate, da attribuirsi con assoluta certezza al conte Vito Capialbi di Vibo Valentia9; - il conte Anphuso, a cui il Capialbi fa riferimento, è stato in seguito frainteso dallo Scrugli con Anphuso, figlio di Ruggero II, mentre è invece da identificarsi con il potentissimo conte Anphuso di Tropea, vissuto dalla fine del XII sec. sino agli inizi del 1200 ed appartenente al casato Rotis e de Roto, proprietario di numerosi feudi in Calabria10. Federico II nel 1209, all'epoca re quindicenne, fece imprigionare, sotto accusa di congiura contro la sua reale persona, numerosi baroni pugliesi e calabresi, tra cui Anphuso di Tropea, personaggio prepotente e molto ambizioso, che fu anche punito con la confisca di quei domini illecitamente sottratti al demanio regio11. Foto n.5 Ma se allo Scrugli le notizie riferite dal Capialbi e successivamente criticate dal medesimo Scrugli, servirono soltanto per alimentare una disputa culturale di tipo campanilistico sulla ininterrotta demanialità di Tropea nel corso dei secoli passati, per noi oggi - specialmente alla luce della nostra scoperta - hanno un fondamento storico. Infatti, è accertata l'esistenza di Andrea di Ruggero - il cui nome è stato da noi ricostruito con lo studio del frammento marmoreo - e la sua collocazione in un ben preciso periodo di tempo, come riferito dal Capialbi allo Scrugli sui rapporti tra Carlo l'Illustre e Andrea di Ruggero; come pure sembra accertato il periodo di tempo di una sicura ristrutturazione della Cappella di S. Margherita (foto n.4 e n.5), a proposito dell'allestimento interno della sepoltura di Andrea di Ruggero e dell'inserimento dei tre stemmi 16 nella facciata della Cappella12. Inoltre, non si deve dimenticare che, per tentare di ottenere una visione cronologica ed organica degli eventi storici che si sono susseguiti, bisogna tenere presente in primo luogo la lettura araldica più appropriata dello stemma angioino, situato ad architrave sugli altri due stemmi della facciata della Cappella, la cui appartenenza è da riferirsi ad un re ancora in vita quando Andrea di Ruggero morì, e cioè a Ludovico d'Ungheria13, ovvero a Luigi il Grande (foto n.6).
Foto n.6
In passato l'arme angioina è stata attribuita ad Andrea d'Ungheria14, ma questa attribuzione non sembra appropriata, sia perchè Andrea d'Ungheria fu solamente duca di Calabria e mai re di Napoli, sia perchè secondo le regole araldiche precise del tempo, "quando gli scudi araldici erano particolarmente usati sul campo di battaglia e nei tornei, si rese necessario distinguere il capo di una famiglia dai suoi figli e parenti, che dovevano anche loro essere distinti da ogni altro. Era generalmente accettato che le armi originali, senza alterazioni, indicassero il capo della famiglia. Quindi le armi di ogni altro membro erano caricate con concessioni, marchi, discendenze (chiamate in Francia "brisure"). Questa divenne un'usanza generalmente accettata in Europa, e ne furono interessati principi ed alta nobiltà...."15. Tale stemma, pertanto, poichè non presenta alcuna "brisura" di differenziazione dal ramo principale angioino di Ungheria, non doveva appartenere ad Andrea, marito di Giovanna I, nè tanto meno agli Angioini all'epoca regnanti a Napoli, ma al casato principale degli Angioini d'Ungheria; di conseguenza è da riferirsi a Ludovico d'Ungheria (Luigi il Grande). I due stemmi di minori dimensioni posti a piedritto e sconosciuti in araldica, relativi ai casati Andrea di Ruggero e Guarnieri16, presentano un riquadro costituito da un fregio quadrilobato, di stile gotico, entro cui l'insegna di ciascun casato è scolpita su uno scudo di tipo appuntito in fondo.
Foto n.7
Foto n.8
In secondo luogo bisogna tenere presente la lastra tufacea, in cui è riprodotta l'arme di Andrea di Ruggero (foto n.8), che si conserva nella casa patrizia della famiglia del defunto marchese ing. Pasquale Toraldo di Tropea17. Intanto, in attesa di una ricerca più estesa e più dettagliata nei vari aspetti (storico, artistico, architettonico, bibliografico, archivistico), dall'esame dei risultati emersi dalla lettura del nome decifrato e dalle varie ricerche sin qui effettuate, si possono ricostruire gli eventi, alcuni dei quali sono storicamente accertati, altri emergono dal presente lavoro, altri ancora sono solo ipotizzati perchè privi di riferimenti documentabili, ma ritenuti conseguenziali agli stessi eventi e più aderenti alla realtà storica. Riassumendo, possiamo brevemente dire che Andrea di Ruggero, barone ed aristocratico facente parte dei "milites", e quindi dei "familiares" del re, visse sin dagli inizi del 1300 e fu contemporaneo di Carlo l'Illustre18. Riuscì ad infeudarsi Tropea19 dopo la prima discesa e la conseguente occupazione militare del Regno di Napoli da parte di Ludovico d'Ungheria - detentore legittimo dello stemma maggiore situato ad architrave sui due stemmi di minori dimensioni (Andrea di Ruggero-Guarnieri) - avvenuta nel dicembre del 1346 in seguito al barbaro assassinio del fratello Andrea, marito di Giovanna I, regina di Napoli. Come si sa, Andrea d'Ungheria, fratello di Ludovico d'Ungheria, fu condotto a Napoli nel 1333 dal padre Carlo Martello, alla giovane età di sette anni, per sposare Giovanna, figlia di Carlo l'Illustre e futura regina di Napoli (1343). Gli fu precettore fra' Roberto dei Predicatori, che nel 1344 divenne, come già detto, vescovo di Tropea. Il giovane Andrea fu assassinato ad Aversa nella notte tra il 18 ed il 19 settembre 1345 da congiurati che dissentivano dalla sua incoronazione a re di Napoli e che erano al corrente dell'arrivo della bolla papale20. Furono suoi camerieri due giovani di nobile famiglia tropeana, Raimondo e Tommaso Pace, che sicuramente godevano della piena fiducia del vescovo fra' Roberto, per tale onorevole incarico. Questi due giovani tropeani, accusati di partecipazione all'assassinio di Andrea, furono torturati a morte, sebbene tutti gli storici siano stati concordi nel ritenerli innocenti; anche il Boccaccio ne fa allusione in "Filippa di Catania"21. Dal febbraio 1347 in poi, e per tutta la primavera di quell'anno, "fè poi il re Ludovico chiamare tutti i Baroni e i Sindaci del Regno acciò li prestassero pubblico omaggio"22. Pertanto, riteniamo che anche Andrea di Ruggero si sia recato a Napoli e fu probabilmente questa la circostanza dell'infeudamento di Tropea con il conseguente atto di sottomissione al nuovo dominatore del Regno di Napoli. Per tale circostanza è probabile l'intervento presso Ludovico d'Ungheria, a favore del di Ruggero, di fra' Roberto, singolare personaggio che ha certamente influito sulla storia tropeana di quel tempo23. Questi viene menzionato per la prima volta nel 1333, dopo il matrimonio tra Giovanna I e Andrea d'Ungheria, entrambi di appena sette anni, celebrato il 26 settembre 1333 con dispensa papale del 3 novembre 133324. Allora, il re d'Ungheria Caroberto, "lieto di aver lasciato il figliolo con certezza di aver a succedere a sì opulento Regno, si partì da Napoli e tornò in Ungheria, avendo lasciato alcuni Ungari che servissero il figliolo e tra gli altri, come vuole il Costanzo, con grandissima autorità un Religioso chiamato Fra' Roberto, che avesse da essere Maestro di lettere e di creanza di quello"25. Divenne vescovo di Tropea nel 1344. Fu un religioso storicamente conosciuto come personaggio potentissimo e temuto sin dal tempo di re Roberto, tanto che dopo la morte di questi (1343), "si era talmente impadronito del Regno, che dei Reali parenti della regina vedendosi privi del rispetto, che soleano avere al tempo di Roberto, andò ciascuno nelle sue terre; la qual partenza diede non poco sospetto al frate, di aver un giorno a precipitare dalla grandezza ove si trovava; perciò scrisse a Ludovico Re d'Ungheria, fratello di Andrea, che venisse a pigliarsi il possesso del Regno, come dovuto a lui per eredità dell'Avo..."26. Non dimentichiamo che a quel tempo era ancora in atto e vivissima la controversia storica sulla legittimità giuridica dell'investitura di Roberto d'Angiò a re di Napoli. Dopo la morte di Carlo III (1309), il regno di Napoli sarebbe spettato a Carlo Martello, primogenito reale e padre di Ludovico ed Andrea; ma la Chiesa, ritenendo il Meridione un suo feudo sin dai tempi antichi, concesse il Regno di Napoli a Roberto, fratello di Carlo Martello. In tale controversia storica, fra' Roberto fu un sicuro ed accanito fautore della fazione ungherese e pertanto fu molto protettivo verso il giovane Andrea d'Ungheria. Il Troyli, infatti, citando lo storico Pietro Giannone, riferisce che alcuni baroni che desideravano impedire l'incoronazione di Andrea a re di Napoli, avendo saputo che era in arrivo la bolla pontificia, "stante ancora la dappocaggine di Andrea, e l'insolenza degli Ungari, diedero la spinta a coloro, che aveano congiurato di ucciderlo, d'accelerar la sua morte, temendo che scoverti i loro disegni, non fossero per opera di Fra' Roberto pigliati e decapitati subito"27. Dopo l'assassinio di Andrea d'Ungheria le cose cominciarono a cambiare per il vescovo di Tropea, "perchè fra' Roberto con gli altri ungari, impauriti non aveano ardire di uscire in pubblico..."28. Successivamente, però, la regina Giovanna I, temendo la vendetta del cognato Ludovico e nel tentativo di farsi scagionare dall'accusa di partecipazione all'assassinio del marito, mandò il vescovo di Tropea in Ungheria, in qualità di ambasciatore29. Se il vescovo di Tropea fra' Roberto fu scelto dalla regina Giovanna I per una così delicata missione, sicuramente era ancora in auge e considerato molto vicino e nelle buone grazie di Ludovico d'Ungheria. Fra' Roberto compare vescovo di Tropea sino alla data 24 maggio 1348. Il 17 luglio del 1351 a Tropea è attestata la presenza di un vescovo di nome Giovanni. Dunque, la morte di fra' Roberto avvenne prima del 17 luglio 1351. Il 14 giugno 1357, ebbe poi l'episcopato di Tropea Rolandino de Malatachiis de Regio, O.E.S.A. professoris, "per obitum Roberti extra Romanam Curiam defuncti"30. In quel periodo, però, imperversava la terribile "peste nera", un enorme flagello che dall'Asia, attraverso il Brutium, si propagò per quasi tutta l'Italia e "non ci fu casa che non ne sentisse danno"31. Lo stesso Ludovico d'Ungheria, dopo appena quattro mesi di permanenza nel Regno di Napoli, "fatte di molte preparazioni in diversi luoghi del Regno", lasciò i suoi soldati a guardia delle fortezze militarmente occupate e se ne partì il 24 maggio 134732. Andrea Di Ruggero, divenuto feudatario della città di Tropea sulla quale esercitò i suoi poteri per pochi mesi, aderendo alla causa ungherese, insignì il Castello della sua arma, di cui un esemplare si conserva nella casa degli eredi dell'ing. Toraldo, già menzionato. Tropea, pertanto, non subì direttamente il dictat militare ungherese. Conclusasi la pace tra Giovanna I e Ludovico d'Ungheria nel 1352, all'atto della consegna delle fortezze che quest'ultimo deteneva in Calabria, compaiono menzionate: "la città di Monteleone (Vibo Valentia); quella di Seminara; quella di Nicotera e la fortezza di Stilo". Questo dato ci induce a credere che Tropea, sin dall'inizio della invasione ungherese, fosse infeudata ad Andrea di Ruggero, evidentemente riconosciuto partigiano della frazione ungherese33. Foto n.9 Questo feudatario con moltissime probabilità era imparentato con la nobile famiglia tropeana dei Guarnieri34 che si insigniva di quello stemma, sconosciuto nei testi araldici, posto a piedritto nel lato sinistro di quella sorta di finestrella prendi-luce della Cappella di S. Margherita di cui era proprietaria (foto n.9). Con il beneficio di Bonifacio IX dell'11 settembre 1397, la Cappella, prima detta di S. Bartolomeo Apostolo, divenne patronato di un maresciallo del Regno di Sicilia, noto come "Sabatino de Sancto Angelo", per sè e per i suoi successori35. Sabatino de Sancto Angelo fu sicuramente di casa Guarnieri perchè tre anni dopo, "nel 1400 Barnaba Caputo, trasferitosi da Cosenza a Tropea, contrasse matrimonio con la vedova del Conte di Montefortino di casa Guarnieri"36, ereditando metà del "ius patronatus" della Cappella, che trasmise ai suoi discendenti. Al momento si ignora se "la vedova del Conte di Montefortino di casa Guarnieri" - che sposò Barnaba Caputo - sia stata la moglie di Sabatino de Sancto Angelo o di un figlio di questi. Poi la famiglia Guarnieri - il cui ultimo rappresentante maschile è forse da identificarsi con quel Giovanni Guarnieri, sindaco di Tropea nel 1482 assieme a Frezza Luigi37 - si estinse dentro la nobile famiglia d'Aquino, quando "nel 1508 Catarinella Guarnieri, ultima della illustre sua casa in Tropea, sposò Giovan Matteo d'Aquino"38, che ereditò l'altra metà del patronato della Cappella. Nel citato Fascicolo Diocesano del 1601 c'è la conferma che le famiglie Caputo e d'Aquino di Tropea divennero eredi discendenti della famiglia Guarnieri, alla estinzione di quest'ultima39. Il Summonte, citando lo storico Carlo Sigonio, fa discendere la famiglia Guarnieri dai Normanni. Dopo la storica battaglia di Civitate del 1053, combattuta tra le forze pontificie ed i Normanni: "Leone IX sommo Pontefice voluto reprimere la potenza de' Normanni, domandò aiuto a Enrico Imperadore, il quale avendo preposto al suo esercito un capitano tedesco detto Guarniero, venuto a giornata,fu superato e morto da Goffrido predetto, fratello di Ruberto Guiscardo, che dal Sigonio è chiamato Unfrido; onde vogliono, che a guisa degli antichi romani, e egli, e i suoi posteri furon detti Guarni dall'estinto Guarniero..."40. Tale dato sulla genealogia del casato dei Guarnieri, riferito dal Summonte, sembra concordare perfettamente con il contenuto storico dell'istrumento del notaio G. Saiace del 26 maggio 1673. Da questo istrumento (foto n.10), risulta che le nobili famiglie Caputo e d'Aquino - ereditarie dell'antica e nobile famiglia Guarnieri - erano compropietarie della Cappella di S. Margherita; risulta altresì la data, il nome del fondatore e la preesistenza della medesima Cappella al convento francescano: "prima era una Cresiola (chiesetta) fundata nell'anno 1071 da Matteo Duca e Conte di Montefortino, e poi fu aggregata al detto Convento, dopo molti anni fundato". Il Convento francescano fu infatti fondato nel dicembre 1295, a seguito dello strumento relativo alla donazione della chiesa di S. Pietro ad Ripas fatta dal vescovo Giordano di Tropea ai frati dell'Ordine Minore41. Al momento si ignorano il luogo, la natura e la data precisa della morte di Andrea di Ruggero, ma gli eventi storici ci inducono ad ipotizzare che egli sia deceduto durante la prima fase della dominazione ungherese, ossia nell'arco di tempo compreso tra la data dello infeudamento (febbraio - marzo 1347) ed il 13 novembre 1347, e comunque non oltre la fine dell'armistizio (febbraio 1350 - aprile 1351) stipulato tra Giovanna I e Ludovico d'Ungheria. Il 13 novembre 1347, infatti, Amelio de Baucio ebbe l'incarico affinchè, con i consigli e gli aiuti opportuni, favorisse il recupero delle posizioni della regina di Sicilia. Di questo incarico venne data comunicazione all'Università di Tropea42
. Foto n.11
A quella data, evidentemente, Andrea di Ruggero era già deceduto e Tropea era ritornata demaniale sotto Giovanna I, che in precedenza, dopo la morte di Andrea d'Ungheria, aveva sposato Luigi, principe di Taranto. Foto n.5 Durante la ristrutturazione della Cappella che ospitò il sepolcro di Andrea di Ruggero, lo stemma di quest'ultimo (foto n.11) fu collocato, a titolo di onore, accanto a quello dei Guarnieri: entrambi (foto n.5) sorreggono l'insegna reale degli Angioini d'Ungheria, come si è già detto. Andrea di Ruggero, infine, il discusso feudatario di Tropea, fu pietosamente tramandato ai posteri con questa iscrizione poco chiara: "SEM P DEUS UT SIBI PARCAT", scolpita con caratteri diversi da quelli del bordo superiore della lastra marmorea e, con buona probabilità, posteriormante alla committenza originaria del sarcofago ad un artista napoletano43. Pertanto si può ben condividere il motivo economico e pratico sottolineato dal Negri Arnoldi: "Il fatto che le opere di più certa provenienza napoletana si trovino in città di mare è d'altronde una conferma del quasi esclusivo uso del trasporto marittimo per tali pesanti, ingombranti e delicati oggetti, il cui trasporto via terra rappresentava tempi, rischi e costi che forse noi troppo spesso sottovalutiamo"44.
NOTE