CALABRIA PREELLENICA
di Giovanni Pugliese Carratelli (1956)
La storiografia greca ha tentato, fin dal secolo V almeno, una sistemazione dei dati tradizionali circa la Calabria - più precisamente, circa quel settore della regione ch'ebbe per primo il nome di << Italia >> - per l'età anteriore alla fondazione delle colonie greche; ma tra gli elementi storici e i mitici che si incrociano nelle opere (note solo da frammenti) di Antioco, di Ellanico e di Ferecide ateniese, è difficile pervenire a chiara nozione dell'origine e del carattere dei vari popoli di cui si son serbati i nomi, delle loro relazioni, dei tempi e delle situazioni in cui i singoli ethne hanno portato il loro contributo alla formazione del mondo ove si sono inserite le colonie elleniche. Un sussidio ad orientarsi nella nebulosità della tradizione letteraria, e un incitamento a riproporsi in più chiari termini certi problemi, son venuti dalla ricerca archeologica, che deve a Paolo Orsi il maggiore impulso, e dalla più recente indagine linguistica. Le più cospicue rivelazioni della prima sono le necropoli del territorio locrese (Canale, Ianchina, Patariti: sec. IX-VII) e dell'altipiano ipponiate (Torre Galli: sec. X-VI), assai simili nelle forme dei sepolcri, nel rito funebre inumatorio, nelle armi e nei corredi dei defunti, alle necropoli sicule della Sicilia orientale: preziosa convalida della tradizione sull'intima parentela di Siculi e Itali, che diedero tuttavia sviluppi indipendenti al comune patrimonio culturale. L'insediamento di Canale sul Ionio e quello di Torre Galli sul Tirreno, separati da una zona montuosa e folta di foreste, furono esposti ad influssi culturali di diversa intensità. Gli Itali di Canale vennero in relazione con i Greci molto tempo prima che quelli di Torre Galli; e nella regione ove poi sorse Locri Epizefiri le influenze greche, più immediate ed intense, determinarono una più rapida trasformazione delle comunità indigene. I villaggi raggruppati sulle alture di fronte all'acropoli di Locri, ai quali appartenevano le necropoli di Canale, Ianchina, Patariti, furono distrutti dai Locresi al principio del secolo VII; ma gli Itali dell'altipiano ipponiate vissero indisturbati fino al secolo VI, quando anche sul loro territorio si estese il dominio di Locri, che con Medma e Ipponio si assicurava uno sbocco commerciale sul Tirreno. Le tombe scavate nella roccia calcarea di Canale sono identiche a quelle sicule per la loro pianta, costituita generalmente da un atrio quadrato donde un'angusta apertura, occlusa da un monolito, conduce alla camera sepolcrale, trapezoidale o quadrata e di ampiezza più o meno pari a quella del vestibolo; intorno alla camera corre una bassa banchina, e nel centro è una depressione in cui venivamo deposti i morti, la testa sulla banchina, disteso il corpo, con le gambe lievemente piegate. Nel terreno argilloso di Torre Galli furono invece scavate fosse aventi il fondo carenato, talvolta circondate e ricoperte da pietre. (In un'altra necropoli calabra della prima età del ferro, a Torre del Mordillo, le deposizioni erano protette da una rozza volta di macerie; altrove le fosse erano cinte internamente e ricoperte da lastroni di pietra). I morti erano spesso avvolti nelle loro vesti, le donne con i loro ornamenti, gli uomini con le loro armi. Abbondano armi offensive: lance, pugnali, frecce; ma sono assenti elmi, scudi o corazze. A Torre Galli si sono trovate anche alcune spade di bronzo; ma le più sono di ferro, con l'impugnatura rivestita di osso od avorio adorno di incisioni e con guaine di legno ricoperte da sottili lamine di bronzo o di ferro, decorate da incisioni rettilinee. Il tipo, di origine submicenea, difuso nel versante tirrenico dell'Italia centrale, è ignoto a Canale, e non può considerarsi una diretta importazione dalla Grecia: esso dovè raggiungere la costa occidentale d'Italia tra il secolo X e il IX, e vi fu imitato da artefici locali, ai quali, nell'ager Bruttius, offrivano il metallo le miniere della regione. A Canale le lance di ferro superano per numero quelle di bronzo; queste prevalgono a Torre Galli. Tra i recipienti di terracotta per cibi e bevande, deposti accanto ai defunti, si distingue la ceramica indigena, scura, non dipinta nè ben cotta; è assente ceramica policroma quale si trova nelle necropoli di Sicilia, prodotto originale dell'industria sicula. Ma i vasi greci di età varia documentano ampiamente l'esistenza di relazioni commerciali con i Greci, in periodi diversi per le due zone: a Canale, vasi dipinti nello stile <<geometrico>> dei sec. IX-VIII, che per certi elementi decorativi richiamano la ceramica cicladica; a Torre Galli, località remota dalle zone ove sorsero le più antiche colonie italiote, non compare che ceramica corintia dei secoli VII e VI. Gli artefici di Canale imitarono alcune forme di vasi << geometrici >>. Documenti del commercio della regione locrese con paesi greci sono anche le fibule a navicella, rarissime a Torre Galli, ove predomina invece il tipo ad arco, assai meno frequente a Canale. Soltanto in questa necropoli si son trovate collane del tipo noto dalle tombe greche del secolo VIII e vasi di bronzo di fattura greca. L'ambra è in maggior copia a Torre Galli, più aperta ai commerci col nord; il vetro abbonda a Canale. Più rare e tenui le vestigia delle abitazioni dei viventi: a Torre Galli restano le fondazioni di case rettangolari in muratura. Estremamente esigui sono finora i documenti dell'età del bronzo, e assente ogni segno di relazioni col mondo << miceneo >>: ma ciò è dovuto in massima parte al fatto che l'esplorazione archeologica della Calabria non ha ancora avuto sviluppi pari a quella della Sicilia; e sarebbe però imprudente dedurne un limitato progresso civile della regione nell'età che vide fiorire e diffondersi anche verso occidente la civiltà << micenea >>. Son da tener qui presenti i risultati dell'indagine linguistica, che nel distinguere successive fasi di penetrazione indeuropea nella penisola italiana ha ricollegato alla più antica di esse (la << protolatina >>) i Siculi e gli ethne a questi affini, Morgeti e Itali; << i quali (tutti) erano Enotri >>, come autorevolmente asseriva Antioco siracusano. Un punto importante della tradizione antica relativa agli Enotri è che questi non venivano considerati autoctoni, ma immigrati in Italia dall'Arcadia (Dionisio di Alicarnasso), e che la loro origine veniva ricondotta - attraverso genealogie, secondo un procedimento comune all'antica storiografia - all'eponimo dei Pelasgi, con i quali d'altra parte venivano connessi e talvolta identificati gli Arcadi. La designazione di Pelasgi era genericamente attribuita ai più antichi abitatori della Grecia, senza che fosse chiaro il carattere etnico, ellenico o anellenico, di questi: Erodoto, per citar l'esempio più illustre, congetturava (I 57), dall'esame del dialetto di genti che al suo tempo eran considerate discendenti dei Pelasgi in Italia (a Croton = Cortona in Etruria) e nella Propontide, che i Pelasgi fossero << barbari >>; ma anche vedeva in loro (I 58) gli antenati dei Ioni, e degli Ateniesi in specie, assimilatisi in lingua e cultura agli Elleni (Dori) venuti successivamente nel Peloponneso. In ogni caso, la storiografia antica - come ha osservato il Devoto - collega i Pelasgi con l'espansione greca verso l'Occidente: così come i mitografi collegavano con essa i viaggi degli Argonauti e di Eracle. E nella tradizione dell'origine arcadica e dell'affinità pelasgica degli Enotri sembra riflettersi un'oscura memoria di relazioni remote tra la Grecia e le regioni ove più tardi si costituì la << Grande Grecia >>. Tra gli Enotri lo stesso Antioco annoverava anche i Coni (Chones), il cui etnico richiama quello di un popolo (Chaones) tra i più famosi dell'Epiro; e la similarità degli etnici venne infatti rilevata dagli antichi, così come venne notata (v. Strabone, VI 1, 5 p. 256) l'omonimia della Pandosia della Brettia (e di quella della Siritide) con la Pandosia della Tesprozia: omonimia che si estendeva ai fiumi (Acheron) presso cui le due città sorgevano. Della Pandosia brettia, un luogo fortificato su un'altura tricuspidata, << poco sopra >> Cosenza, si diceva, teste Strabone, che era stata la residenza dei re enotri; e questa così rilevante connessione di Pandosia con l'elemento enotrio fa pensare ad una comune origine achea o preachea del toponimo brettio e dell'epirota piuttosto che ad una derivazione di quello da questo. Un'attenta considerazione - nel più vasto quadro delle relazioni tra il mondo egeo e l'Occidente - del processo formativo delle prime colonie italiote e siceliote, e delle tradizioni relative alla loro fondazione, conduce ad ammettere una serie di esplorazioni greche nei mari occidentali e di contatti con le genti della penisola italiana e delle isole vicine (Sicilia, Eolie), se non già l'esistenza di fondaci presso abitati indigeni: necessariamente infatti la nascita di poleis coloniali presuppone un periodo di assestamento, e ancor prima una conoscenza dei luoghi e delle loro risorse, un'esperienza delle possibilità di convivenza con gli indigeni. Il progresso della ricerca archeologica ha portato elementi sempre più numerosi e indicativi in favore di una revisione in tal senso della storia della colonizzazione greca in Sicilia e in Italia e dei suoi antefatti. Specialmente gli scavi nella Sicilia orientale e nelle isole Eolie hanno mostrato come le relazioni col mondo egeo si siano intensificate nell'età << micenea >>, così che all'importazione di prodotti dell'industria ceramica e metallurgica ha fatto seguito una vasta influenza << micenea >> non solo sulle industrie ma su tutto lo sviluppo culturale delle comunità locali. In questa documentazione - non meno indicativa per la prossima Calabria, anche se per questa manca ancora la testimonianza dei monumenti - trova conforto l'idea che nelle tradizioni citate viva un ricordo di relazioni dell'Italìa col Peloponneso << miceneo >>; e non solo di relazioni commerciali, ma di decisive influenze culturali, quali possono aver esercitato da loro insediamenti, non necessariamente cospicui, gli Achei, in punti ove essi - se non già i << Minoici >> - erano venuti per i loro traffici e avevano stabilito pacifici rapporti con gli indigeni. E' significativa, a tal proposito, un'altra tradizione, che Aristotele riporta - probabilmente da Antioco - in un luogo della Politica (VIII 10, p. 1239 b), dove accenna all'origine dei syssìtia (conviti pubblici): questa è riferita per Creta al << regno di Minos >>, ma per l'Italìa ad << età molto più antica >>: << dicono infatti i dotti di quelle genti che vi fu un re dell'Enotria, Italo, dal quale gli Itali trassero il loro nome, sostituendolo a quello di Enotri, e prese nome anche l'Italia...; dicono che questo Italo rese agricoltori gli Itali, ch'erano pastori, e diede loro leggi e tra l'altro fu primo ad istituire i syssitia. Perciò ancora presso alcuni dei suoi discendenti vigono i syssitia e alcune di quelle leggi >>. Quale che sia il valore di questa tradizione << occidentale >>, va rilevato che la storiografia greca del secolo V e del IV non considerava affatto infondata una tradizione che attribuisce un autonomo ordinamento civile all'Italìa non ancora colonizzata, ed anzi la priorità di un'istituzione rispetto a Creta: che pure, patria dei mitici Minos e Rhadamanthys, valeva come la culla delle prime legislazioni. Evidentemente negli storici italioti e sicelioti l'asserito primato di Italo non contrastava al loro sentimento ellenico, in quanto gli stessi Enotri erano visti come genti di origine greca.
Poichè, come si è detto, i dati archeologici - coincidendo con le tradizioni sull'origine degli Enotri ed Itali e Siculi dal Peloponneso, sede dei maggiori stati << micenei >>, e in particolare dall'Arcadia, penetrata di quell'elemento acheo che si è meglio rivelato al nuovissimo esame dei testi << micenei >> - indicano un'influenza non episodica, e verisimilmente la presenza, di Achei nella Sicilia orientale e nella vicina Italia, si è indotti a pensare che la designazione di grandi città della costa ionica, quali Metaponto Sibari Crotone, come colonie << achee >> risalga nè ad una fondazione di coloni venuti dall'Acaia nel secolo VIII, nè, come han supposto critici moderni, ad una persistente generica designazione dei Dori come << Achei >>; ma ad una più antica colonizzazione di Achei << micenei >> nell'arco ionico: una colonizzazione analoga (se non altrattanto intensa) e coeva a quella che ha lasciato memoria di sè nella rodia Achaia e nella cipria Achaion acté (<< costa degli Achei >>), e svoltasi lungo le linee del commercio marino con l'Occidente. Di queste vie del commercio egeo, che dai porti del Peloponneso conducevano alle coste ioniche d'Italia e di Sicilia (Sicanìa), e oltre lo stretto alle Eolie e alle coste tirreniche, una - che poi seguiranno i Rodii - è segnata da toponimi in ussa; di un'altra, dall'isola di Thapos presso l'Acarnania a Temesa nell'Italìa, centro metallurgico, è ricordo nell'Odissea (I 180-184). Lungo queste rotte, le fertili zone pianeggianti del golfo Tarantino offrivano sedi invitanti a genti perennementi stimolate, come i Greci del Pelopanneso e delle isole minori, dal bisogno di grano. Ulteriori sviluppi, quali già si profilano, della ricerca archeologica e linguistica chiariranno per l'Italia e la Sicilia il quadro che si è qui delineato - insistendo sulla regione calabrese - dell'espansione commerciale e culturale egea in Occidente, preliminare alla colonizzazione ellenica dei secoli VIII-VII; e preciseranno il grado della fusione degli immigrati indeuropei con l'elemento indigeno mediterraneo (<< ausonico >>), del quale si riconoscono vestigia, nella Calabria, in idromini quali Aisaros, Sabatus, Tannus e toponimi quali Aprustum, Medma; le fasi dell'evoluzione culturale della regione per effetto di quella fusione e dei successivi contatti col mondo <<minoico >> e << miceneo >>, preludì ad una colonizzazione achea che dovè formare il terreno propizio al rapido fiorire delle città italiote e siceliote. Anche negli studi sulla più antica storia d'Italia è presente ormai l'esigenza di una visione unitaria del mondo antico: una visione che sia consapevole dei nessi e dei perenni scambi di Oriente e di Occidente.
NOTA BIBLIOGRAFICA Oltre agli studi citati nelle mie memorie Tradizione etnica e realtà culturale della Calabria prima dell'unificazione augustea dell'Italia (in <<Relazioni della XXV riunione della Soc. Ital. per il progresso delle scienze >>, V, 1940, pp. 159-178) e La Calabria nell'antichità, Visioni e problemi della ricerca moderna (in <<Archivio Stor. per la Calabria e la Lucania >>, XXIV, 1955, pp. 271-281), si veda: U. ZANOTTI BIANCO, Le ricerche archeol. in Calabria durante l'ultimo cinquantennio (in << Archivio Stor: >> cit., pp. 257-270); G. DEVOTO, Altitalien (in Historia Mundi, III, Bern, 1954, p. 357 ss.); M. PALLOTTINO, Le origine storiche dei popoli italici (in << Relazioni del X Congresso Internaz. di scienze storiche >>, II, 1955, pp. 3-60); P. MAZZARINO, Achei d'Italia e del Peloponneso (in << Archivio Stor. per la Sicilia orientale >>, XXXI, 1935, pp. 89-100).