di Maria Teresa Iannelli
Nell'antichità, il Golfo Hipponiate (attuale golfo lametino) era particolarmente rinomato per la quantità e l'alta qualità del tonno che si pescava, come testimoniano gli scrittori antichi Atheneo ed Aeliano. In età moderna, fin dal '600, lungo questa costa, sono sorte diverse tonnare (fabbriche per la lavorazione del tonno), documentate da atti di archivio (Bivona, Pizzo tonnara grande e piccola o "delli Gurni", Briatico tonnara "delli Bracci" o "della Rocchetta", Santa Venere) delle quali alcune sono state demolite; per fortuna, qualche altra è ben conservata e visitabile (Tonnara di Bivona, in corso di restauro); altre ancora (ubicate tra Zambrone e Pizzo) sono sorte tra fine '800 e primi del '900, e sono rimaste in funzione fino agli anni cinquanta; da queste ultime, attualmente sono attive due industrie (Callipo e Sardanelli), che hanno spostato i loro impianti dalla marina alla mezza costa. Il signor Callipo, proprietario di una delle moderne fabbriche del tonno che abbiamo visitato, ci spiega che questo tratto della costa Tirrenica è particolarmente fortunato, per il fatto che vi si possono pescare i tonni in due particolari momenti del loro ciclo riproduttivo: quando passano per andare verso la Sicilia a depositare le uova (tonno in discesa) e quando ritornano dopo averle deposte (tonno in risalita). Lo studio e la ricerca archeologica della costa in esame, partendo da queste considerazioni storico-economiche, ha individuato due "tonnare" romane, di cui una alla Rocchetta di Briatico meno conservata, l'altra in località Sant'Irene, molto monumentale e quasi intatta per la maggior parte. La visita alla "tonnara" romana di Sant'Irene non potrà seguire le solite modalità, visto che si tratta di uno scoglio a mare, da raggiungere a nuoto; esso è distante solo qualche centinaio di metri dalla spiaggia, tanto da essere alla portata dei numerosi bagnanti che affollano la piccola spiaggetta di Sant'Irene, e a disposizione delle immbarcazioni che trovano comodo attraccare allo scoglio, mediante le varie bitte del suo porticciolo. A Sant'Irene, in età romana, la pesca e la lavorazione del tonno si svolgeva secondo le modalità riferite dallo scrittore antico Columella, che, in un capitolo della sua opera, il De re rustica, descrive la pesca e la costruzione degli stabilimenti per la lavorazione del pesce. Dal promontorio di Sant'Irene, dove ora sono i resti di una torre quattrocentesca, il tonno veniva avvistato; e, mediante le barche, ed un sapiente sistema di reti, opportunamente posizionate, il pesce che non era ucciso, veniva fatto entrare in un sistema di vasche, costruite sullo scoglio a mare e comunicanti, forse con un sistema di ponteggi di legno, con quelle costruite sulla spiaggia; qui, il pesce veniva conservato sotto sale; infine, in salsa (garum), o in pezzi salati, veniva stivato in contenitori di argilla (anfore), e trasportato e commerciato in varie località, attraverso imbarcazioni che dai porticcioli delle tonnare, arrivavano e venivano smistate nel vicino porto di Hipponion-Valentia. La fabbrica romana è costituita da due gruppi di vasche: quelle per tenere in fresco il pescato, scavate (in numero di quattro) nella roccia dello scoglio, altre (di cui rimangono solo i resti), per la conservazione e la salagione del pesce, costruite su una spiaggetta, ad ovest dello scoglio stesso, su di esso, oltre alle vasche, che sono collegate tra di loro e con il mare, attraverso un sistema di canali, alcuni dei quali coperti a volta, è stato ricavato un porticciolo che si sviluppa su tre lati e si apre in direzione del porto di Hipponion-Valentia. La salsa di pesce e il prodotto salato erano molto richiesti dai romani che li consumavano in gran quantità nei loro banchetti, tanto che in tutto il mondo romano si sviluppò e si diffuse largamente l'industria legata alla lavorazione del pesce, per la quale si costruirono veri e propri stabilimenti tipo quello di Sant'Irene appena descritto, che sembra essere stato un complesso di medie proporzioni. Le moderne fabbriche di cui si è detto sono le ultime testimonianze di una tradizione che ha i suoi precedenti nell'età romana, in esse vengono lavorate, secondo lo stesso procedimento in uso presso i Romani, le uova di tonno; il prodotto, molto raro e ricercato sul mercato, è chiamato, con espressione dialettale "vatarico" (corrispondente al termine italiano di "bottarga"), che è chiaramente mediato dal greco tarychos, termine usato per indicare la salsa prodotta con le interiora dello sgombro.