Tav. VII - n. 1
 

SCOPERTA D'UN CIMITERO CRISTIANO
CON IMPORTANTI ISCRIZIONI
IN TROPEA DI CALABRIA

di Giovan Battista de Rossi
(1877)


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Tropea, città dell'odierna Calabria, nell'antica regione dei Bruttii sopra uno scoglio delle rive del mare Tirreno, fu sede episcopale almeno dal secolo quinto; essendo a noi pervenuto il nome d'un suo vescovo Lorenzo negli atti del sinodo romano dell'anno 4981. Fino all'anno 1857 niun monumento cristiano quivi era stato rinvenuto; nè anche monumento veruno della romana o greca antichità. Nel gennaio del predetto anno il ch. sig. Ciro Moschitti annunciò la scoperta di due sepolcri con epigrafi cristiane latine e vasellini di argilla, avvenuta presso una torre chiamata lunga: ove è fama e tradizione che sia stata la prima chiesa del luogo; ed ove appaiono molte tombe dal volgo credute di Saraceni2. Il testo delle due epigrafi era del tenore seguente.
 

P BM GAVDENTIUS
FIDELIS QUI BIXIT
ANNIS P M LXV M III
D X CVI BENE FECIT
VXOR ET FILIE EIUS
B              M            S
SATVRNINO QUI VIXIT ANNIS
LX M V D X CVI BENE
FECIT VXOR EIUS CVM FILI
IS SVIS RECESSIT IN PACE

Interrogato allora intorno a queste scoperte, risposi che le due epigrafi sono del secolo in circa quarto o quinto; che il loro stile ha carattere ed indole regionale nelle sigle B M S, B M (bonae memoriae sacrum) in principio, sostituite nel luogo della paga dedicazione D - M - S; e speciale nella formola cui bene fecit: che ciò era indizio d'un gruppo in quel luogo di sepolcri della prisca cristianità di Tropea, in somma d'un cimitero. I quali punti svolsi poi nel Bullettino archeologico napoletano2: ed in quanto alle sigle B - M - S sostituite nel luogo della pagana dedicazione D - M - S, ed al senso sepolcrale del bene facere m'invitò a ripetere e meglio dichiarare il già detto un'insigne epigrafe rinvenuta in Sardegna, illustrata in cotesto Bullettino a. 1873 pag. 129 e segg.
Ricordati questi fatti, sono lieto d'annunziare la novella scoperta avvenuta non è molto a Tropea; che pienamente conferma le predette opinioni e ci dà un insigne gruppo di sepolcri e di epigrafi dell'antico cimitero di quella chiesa. Il ch. sig. Felice Toraldo, cui debbo le notizie che m'accingo ad esporre, intrapreso non so quale lavoro appunto nella diruta torre sopra accennata e appellata lunga, rinvenne entro la torre medesima una antica stanzetta rettangolare coperta di volta costruita; sotto il pavimento della quale erano nascoste tombe una sopra l'altra, coperte da tegoloni di terra cotta, lunghi quanto la bocca di ciascuna arca sepolcrale. Così l'una sopra l'altra a più ordini sono le tombe costruite nelle aree dei cimiteri all'aperto cielo e sotto i pavimenti delle celle sepolcrali, ed anche dei cubicoli sotterranei delle suburbane cristiane necropoli; come nel tomo terzo della Roma sotterranea ampiamente descritto e dichiarato. La volta del cubicolo cimiteriale di Tropea era per sventura distrutta, quando il Toraldo giunse sul luogo ad esaminare i trovamenti. E la sventura è veramente assai grande imperocchè una delle pareti della stanza, che conservava l'intonaco, era dipinta a fresco di colore giallo cupo, e dove incominciava la volta appariva una cornice di rozze linee nere: talchè è probabile in quella volta essere stata dipinta qualche figura o almeno simbolo o segno di cristianità. Rarissime sono fuori di Roma le vestigia d'antiche pitture sepolcrali cristiane: unica sarebbe stata questa nella regione delle Calabrie. Ma alla jattura dei segni di cristianità probabilmente dipinti nella volta del cubicolo, ci danno compenso quelli delle tombe terragne.
Una di queste isolata (cioè non sovrapposta nè sottoposta ad altre tombe) aveva la lastra marmorea alta un metro, lunga 1,85 l'epigrafe della quale do il disegno nella tav. VII n. 1; fermata con calce sulla bocca dell'arca. Le lettere erano anch'esse coperte da calce: credo perchè sopra il sepolcro fu disteso ed edificato il pavimento. Degli epitaffi così nascosti nel sistema delle tombe terragne ho ragionato nella Roma sott. T. III pag. 406. L'iscrizione comincia dalle sigle B - M - S; i punti sono a foggia del greco Y; il suo testo dice: B(onae M(emoriae) S(acrum) fideli in XPO (Christo) Jhesum Hireni qu(a)e vixit annis LXV m(enses) VIII d(ies) X, cui bene fecit vir eius, pr(a)ecessit fidelis in pace, deposita XVIII kal(endas) Maias, qu(a)e fuit conduct(rix) m. Tropeaianae. Dell'interpretazione della sigla M - (in questo modo e contesto inaudita) parleremo poi. L'epigrafe non potrebbe più esplicitamente professare la fede cristiana: la defonta è appellata con formola pienissima ed assai rara fidelis in Christo Jesu.
Ai fianchi della medesima torre fuori del suo perimetro sono state trovate altre simili arche sepolcrali intagliate nella roccia e coperte da tegoloni. Entro una di queste anepigrafa era un vasello di vetro di forma circolare con manico piatto: in un'altra parimente anepigrafa un vasello di terra cotta con doppia ansa.


Tav. VII - n. 2

Sopra una terza arca era distesa la pietra ritratta nella tav. cit. n. 2; appartiene ad un'altra fedele, anch'essa di nome Irene; le forme delle lettere e delle interpunzioni, ed il contesto hanno manifesta parentela con quelle del titolo precedente. Dice: Bonae Memoriae S(acrum) Hireni fidelis qu(a)e vixit ann(os), XL m(enses) VI d(ies) VIII quei bene fecit maritus et flii(i), pr(a)ecessit in pace.


Tav. VII - n. 6

Indi poco lungi sopra una tomba isolata il rozzo titoletto tav. cit. n. 6. Quivi la dedicazione bonae memoriae è scritta per disteso, ma con idiotismo di pronuncia boni mimorie; e per errore del rozzo lapicida D in luogo del secondo O. Nella formola dedicatoria è inserita una piccola ascia, o piuttosto un mazzuolo, che in quel luogo e modo sembra segno dissimulato di croce: nè ciò toglie che sia anche in pari tempo segno e strumento dell'arte di chi fece alla moglie il titoletto. Il quale dice: Fortunula qu(a)e bissit annos plus minus XL, cui bene fecit felia(?) et ma(ri)tus.


Tav. VII - n. 3
 


Tav. VII - n. 4

Fatte poi nuove indagini entro la torre fondata sull'area di cotesto cristiano sepolcreto, e che in sè ne chiuse e nascose un cubicolo, forse la cella principale, furono quivi trovati altri due nuovi epitaffi, delineati nella mia tavola n. 3, 4. Il primo è insignito di due croci monogrammatiche ornamentali accompagnate dalle lettere A, w e dice: B(onae) M(emoriae) S(acrum) Monsis presbiter qui vixit ann(os) L m(enses) jII (octo) d(ies) jII (octo), cui bene fecerunt fili(i), pr(a)ecessit in pace die kal(en)d(arum) Decembris. Il secondo: B(onae) M(emoriae) S(acrum) Leta presbitera vixit ann(os) XL m(enses) VIII d(ies) VIIII, quei bene facit maritus, pr(a)ecessit in pace pridie idus maias.


Tav. VII - n. 5
 


Tav. VII - n. 7

Finalmente nel medesimo sepolcreto sono state raccolte le due piccole pietre tav. cit. n. 5, 7. B(onae) M(emoriae) S(acrum) Paternus qui vixit annis XL m(ensibus) V diebus4jII (decem et octo), cui bene fecit frater ipsius. Nella pietra n. 7 il lapicida segnò il monogramma ed ommise per disattenzione il B delle consuete sigle Bonae Memoriae; imperocchè la sigla M pel prenome Marcus o Marcia in questa famiglia di epigrafi non è punto probabile. Segue: Vector(iae quae vix)it annis XXIII c(ui bene) fecaerunt m(aritus et filii) eius beneme(renti in pace). Le ultime quattro epigrafi delineate nella mia tavola sono incise sopra marmi, che avevano prima servito ad altri usi, scorniciati e in modi diversi intagliati.
Narrata la scoperta, quale dalla diligenza dell'attento relatore mi è stata descritta, dovrei imprendere l'esame epigrafico, cronologico e storico-geografico di sì notabile e raro gruppo di cristiani epitaffi. Ma per attenermi alla più rigorosa brevità. toccherò soltanto dei punti essenziali. E comincio da quello dell'inaudita formola QUE FVIT CONDUCT. M. TRAPEIANAE. Mi scrivono da Tropea, che quivi si aspetta che nelle allegate parole io possa ravvisare alcuna allusione alla martire Tropeana per antonomasia, di nome Domenica. Le notizie degli atti greci e latini del suo martirio e del suo culto in Tropea e nella chiesa greca sono state raccolte dai Bollandisti nel tomo II di Luglio p. 269 e segg. Dalle quali impariamo, che cotesta martire appellata Domenica dai Latini, dai Greci Ciriaca, perchè nata in giorno di domenica, confessò la fede nella persecuzione di Diocleziano lungi da Tropea in luogo incerto (altri dicono nella Bitinia, altri nella Campania); e poi il corpo di lei fu portato a Tropea. Il martirologio romano odierno sotto il dì 6 Luglio dice soltanto: In Campania s. Dominicae virginis et martyris sub Diocletiano etc.... cuius corpus tropeae in Calabria summa veneratione asservatur. Ma negli antichi martirologii e calendari latini niuna menzione si legge di cotesta martire; il cui nome fu aggiunto al martirologio di Usuardo ed al Romano nella seconda metà del secolo XVI dal Molano, dal Galesini e dal Baronio. Non così nelle chiese di rito greco: nei cui libri liturgici greci e greco-slavi, almeno dal secolo decimo o undecimo, si celebra la memoria di cotesta Ciriaca5. I Bollandisti dicono, che nei codici liturgici greci essa è festeggiata non ai 6 ma ai 7 di Luglio. Ciò non è esatto: il ch. p. Martinov nell'Annus ecclesiasticus Gaeco-Slavicus segna ai 6 di Luglio, come nei martirologii latini moderni, la commemorazione Cyriacae seu Dominicae; traendola dal sinassario di Gotha del secolo XI e dai codici di Mosca ed annotando: Cyriaca non est diversa a s. Dominica virgine et martyre Tropeae in Calabria; in codice Vindobonensi (saeculi XII) refertur die sequenti. Adunque cotesta martire fu in origine festeggiata nel medesimo giorno in Tropea e nelle chiese di rito greco, segnatamente del patriarcato costantinopolitano, mentre nelle chiese di rito latino non se ne faceva memoria; e ciò è forte indizio, che quel culto sia stato propagato da Tropea nell'Oriente, quando la chiesa Tropeana fu soggetta a Costantinopoli ed ebbe vescovi di rito greco.
Premesse queste notizie, debbo dire che le parole dell'epitaffio di Irene, quae fuit conduct(rix) m. Tropeianae, non mi suggeriscono verun modo di ragionevole interpretazione, la quale mi possa autorizzare a leggere martyris Tropeianae, e a trovare nella voce conductrix alcuna allusione al trasferimento del corpo di s. Domenica dal luogo del martirio a Tropea, forse sua patria. Del vocabolo conductrix abbiamo due esempi in rescritti di Diocleziano nel codice Giustinianeo (IV, 16, 24; V, 12, 18): ambedue si riferiscono a contratti di locatio conductio ed a donne conductrices nel senso giuridico del vocabolo. Cotesto medesimo senso è costante nell'antica epigrafia, quante volte sono nominati i conductores6. Nè altro valore ha quella voce nella cristiana epigrafia7; ed anche nell'antico linguaggio ecclesiastico. Nel papiro ravennate dell'anno 444 sono nominati i conductores di varie massae (tenimenti rustici) in Sicilia; ed anche i conductores ecclesiae Ravennatis8, la quale nella Sicilia aveva un ricchissimo patrimonio governato, come quelli della chiesa romana, da uno speciale rettore. Ecco adunque, che senza più cercare, nè allegare altri esempi, il citato papiro ci suggerisce l'interpretazione giuridica delle lettere CONDVCT. M. TRAPEIANAE, conductrix massae Trapeianae. La cura di accennare espressamente, che Irene fu conductrix massae Trapeianae mi fa sospettare, che essa sia stata quasi la fondatrice d'una colonia rustica cristiana nella massa Tropeiana. Certo è, che cotesta rivelazione epigrafica d'una massa di siffatto nome presso Tropea, e l'importanza data alla menzione della conductrix di quella massa nel primitivo cimitero di quella cristianità debbono essere attentamente esaminate dagli eruditi Tropeani per illustrare le origini della loro chiesa e della loro città. Il primo, che di quella città ci ha lasciato ricordo, è Stefano Bizantino geografo del secolo quinto; quando anche di un vescovo di Tropea, come sopra ho detto, abbiamo memoria.
Al medesimo punto delle origini della chiesa e della città di Tropea è di non lieve momento l'esame delle epigrafi 3 e 4; quella d'un prete di nome Monsis, questa d'una presbutera di nome Leta. Costei non fu una vedova della categoria appellata prespyterae, que sacris in ecclesia exercitiis vacabant, come scrisse il Du Cange9: il marito superstite ne curò la sepoltura, bene fecit maritus. Qui il vocabolo presbytera significa uxor presbyteri: suo consorte fu probabilmente Monsis presbyter, cui bene fecerunt filii. Ciò merita poche parole di schiarimento. Vano sarebbe il congetturare, che Tropea al tempo di cotesto prete seguisse la disciplina delle chiese orientali; e già fosse, come poi divenne, di rito greco. L'Italia tutta allora e poi per lunga età fu della chiesa occidentale. E il primo vescovo da noi conosciuto di Tropea ci viene innanzi in un sinodo Romano nel 498. Chiunque ha lieve notizia degli antichi canoni sa bene, che la menzione di preti conjugati nelle epigrafi latine delle chiese occidentali e dell'età di queste di Tropea non è da interpretare a tenore della disciplina prevalsa in Oriente; la quale restringe la legge della continenza ecclesiastica principalmente al divieto di contrarre matrimonio dopo l'ordinazione. Questa disciplina, anche nelle chiese di rito orientale, nel secolo quarto da Epifanio era giudicata contraria agli ecclesiastici canoni10; in Occidente fino dagli inizii di quel secolo fu vigorosamente repressa dai concilii11, e poi dalle celebri decretali di Siricio e di Innocenzo e dai canoni africani. La presbytera ed il prete conjugato di Tropea, secondo il rigoroso prescritto delle citate leggi ecclesiastiche, dovettero vivere, come a proposito d'un presbyter e della sua presbytera scrisse il magno Gregorio: presbyter quidam commissam sibi cum magno timore Domini regebat ecclesiam, qui ex tempore ordinationis acceptae presbyteram suam ut sororem diligens ad se propius accedere nunquam sinebat12. Ed anche il prete Monsis probabilmente fu rettore della chiesa tropeana; prima che quivi fosse tanto cresciuta la cristianità, da meritare l'istituzione d'una sede episcopale13.
L'età, alla quale spettano gli epitaffi di cotesto presbyter e di cotesta presbytera, non è difficile a circoscrivere entro un certo periodo. In ambedue è adoperato quel formolario medesimo, che regna nelle altre lapidi del gruppo tropeano: cioè la dedicazione B - M - S in principio; nel testo, dopo il nome e gli anni del defunto, l'indicazione di coloro che curarono la sepoltura nella formola cui bene fecit, bene fecerunt; finalmente la morte accennata colle parole praecessit in pace. La paleografia dei due predetti epitaffi li ravvicina a quelli delle due Irene (tav. VII, 1, 2); che sono forse i più antichi del gruppo, come di tutti è il più importante quello della Irene conductrix massae Trapeianae. Negli uni e negli altri l'interpunzione ha la forma di g  o di U: e in tre soltanto (non nell'epitaffio del prete, che mi pare l'ultimo di tempo) la V è della forma curva o semicurva, che nella scrittura chiamata unciale è propria dei manoscritti; e non rare volte fu imitata nelle lapidi cristiane fino dal secolo terzo volgente al quarto, e fu adoperata nell'editto rerum venalium di Diocleziano. In somma manifesta è l'unità di stile del presente gruppo di ladidi tropeane; anche più stretto ed intimo è il nesso, che lega tra loro le prime quattro della tavola VII. Esaminiamo adunque gli indizi dell'età di tutto il complesso delle nove epigrafi; due rinvenute nel 1857, le altre testè ed oggi qui delineate e divulgate. Lo farò in modo sommario e brevissimo.
In primo luogo i segni grafici della fede cristiana qui sono il monogramma (tav. cit. n. 7); la croce monogrammatica  (vedi sopra); cotesta medesima croce della forma ornamentale divenuta frequente circa il secolo quinto e accompagnata dalle lettere A, w (n. 3); la croce dissimulata nell'ascia o mazzuolo nell'epitaffio n. 6: giammai la croce semplice e nuda sia equilatera, sia d'altra foggia. Ciò è valido indizio del periodo di tempo, che possiamo chiamare il primo secolo della pace; dai primi decennii del quarto alla metà in circa del quinto; come è oramai evidente e le cento volte ho provato e confermato. Al medesimo periodo si addicono le formole dello stile epigrafico. Giammai il principio hic requiescit, quiescit, che in quasi tutta la latina epigrafia ed anche in quella dell'Italia inferiore fu prescelto e frequentato dalla prima metà in circa del secolo quinto e dipoi sempre di più. In vece di quella formola iniziale, qui è frequente nel contesto del titolo il praecessit in pace; una volta recessit in pace, come nella medesima regione dei Bruttii in lapide tuttora inedita di Locrium, fornita della data consolare dell'anno 392. Il praecessit in pace è formola specialmente frequente nella cristiana epigrafia dell'Africa: e poichè non ne conosco altro esempio nei Bruttii, nella Lucania, nell'Apulia, nella Calabria, mentre nel piccolo gruppo di lapidi tropeane ne abbiamo quattro ripetizioni, ciò mi dà forte sospetto che la cristianità di Tropea, città marittima, sia stata, almeno in parte, una piccola colonia di fedeli tragittati dalla non lontana Africa. Indi più volte e per cagioni diverse nei secoli terzo, quarto e quinto emigrarono a gruppi i Cristiani, dicendendo in Italia sulle coste del Mediterraneo e nelle sue isole. E mi conferma in questo sospetto il raro nome del prete Monsis: eccone un secondo esempio appunto nei fasti della chiesa africana. Il martirologio geronimiano ai 18 dicembre fra altri martiri dell'Africa segna Monsitis, genitivo del Monsis in caso retto nell'epigrafe di Tropea. Se potessi dimostrare, che la formola bene facere in senso di curare il sepolcro, ripetuta in tutte coteste lapidi tropeane, fu anch'essa propria della cristiana epigrafia dell'Africa, porrei il suggello dell'evidenza alla mia congettura. Di quella formola ho trattato nel Bull. 1873 p. 133, 134; illustrandola con analoghi esempi romani, non africani. Qualunque sia il grado di probabilità della presunta origine africana del gruppo di fedeli, le cui memorie sono venute in luce dal cimitero di Tropea, queste sono senza dubbio anteriori al tempo, in che avevano la prima menzione di quella chiesa e sede episcopale nel sinodo romano del 498; e ne costituiscono il più antico e prezioso monumento.

NOTE
1  V. Capialbi, Memorie per servire all'istoria della chiesa Tropeana, Napoli, 1852.
2  Bull. arch. nap. 2a serie anno V p. 70.
3  L. c. anno VI p. 13 e segg.
4  Il rozzo lapicida mi sembra avere trasposto e segnato in ordine rovescio le lettere della sillaba BVS, finale di DIEBVS. Potrei fare altre ipotesi circa quello strano SVB dinanzi al CVI; ma quella, che ho proposto, è raccomandata dal contesto di tutte le epigrafi tropeane, e mi sembra la vera.
5  V. Acta ss. T. II Jul. p. 270.
6  V. Mommsen, Romische Staalsrecht 2a ediz. T. II p. 978. Anche nelle figuline sono talvolta nominati i condoctores delle officine ed una volta l'opera fatta ex conductione, Marini, Iscr. doliari ins. n. 211, 1054, 1429.
7  Vedi Bull. 1864 p. 15 ; Gazzera, Iscr. crist. del Piemonte p. 49; Promis in lettera al Troja nelle Memorie e lett. di Carlo Promis raccolte dal dott. G. Lumbroso p. 57.
8  Marini, Papiri diplom. p. 109, 110.
9  V. Du Cange, Glossar. v. Presbyterae.
10 Epiphanius, Haeres. LIX, 4.
11 Concil. Mib. can. 33; Aretal. II can. 2.
12  Dialog. IV, 2.
13 Ma delle sedi episcopali anche negli oppidi, nei pagi e nelle poco numerose comunità di fedeli nei primi secoli vedi il dotto e pienissimo trattato di D. F. Chamard, Les églises du monde Romain, notamment celles des Gauleb, pendant les trois premiers siècles, Paris 1877.
 
 
 

 
 
ARCHEOLOGIA TROPEANA
 di  Salvatore Libertino
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